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III GIORNO DELL'OTTAVA DI NATALE: San Giovanni Apostolo e Evangelista
27 dicembre 2009
Giovanni Gv 21, 19c-24
Riferimenti: Giovanni 1Gv 1, 1-10 - Salmo - Rom 10, 8c-15
Giovanni 1Gv 1, 1-10
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena. Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
La prima lettera, la più importante delle tre attribuite a Giovanni Evangelista, vuole opporsi a false idee circolanti nelle Comunità cristiane conosciute, e che mettono in serio pericolo la comunione tra i fratelli cristiani. Queste nuove convinzioni riguardano soprattutto Gesù. Così Giovanni vuole approfondire la coscienza della comunità cristiana stessa, perché possa camminare nella luce di Gesù, Verbo della vita. Come data probabile e luogo di composizione si può pensare ad Antiochia o ad Efeso tra il 100 e il 105 d.C. L'inizio della lettera è lo sviluppo un inno al Verbo di Dio, volutamente ricollegato al Prologo del Vangelo di Giovanni. Il Verbo della vita è la vita stessa, porta la vita agli uomini, riceve questa vita dal Padre e la possiede allo stesso modo con cui la vive il Padre. Questa vita, che è mistero (si sente continuamente il richiamo dell'inizio del Vangelo), si è fatta concretezza nell'esperienza di un "noi" (5), che non è, perciò, testimonianza di un'unica persona, ma esperienza di coloro che lo hanno accolto, avendo accettato di sentirlo, avendo avuto la costanza di scrutarlo, la pazienza e la fiducia di contemplarlo, la certezza di toccarlo. Questa esperienza si è posta “all'inizio” (1) come rivelazione e quindi come un itinerario nel mistero di Dio. Essa così viene manifestata come "vita eterna presso il Padre" e quindi, manifestata, diventa comunione con coloro che lo hanno accolto: comunione con il Padre e con Gesù. È una comunione aperta perché permette di essere conosciuta, comunicata, addirittura scritta affinché si possa leggere, vedere, ascoltare. Il proprio cuore si apre alla gioia piena di coloro che lo stanno manifestando e alla gioia di chi ascolta. Giovanni, avendo a che fare, e lo si capirà poi nel corso del testo via via, con persone che pretendevano di aver raggiunto una conoscenza superiore del mistero di Cristo e quindi disprezzavano i fratelli, rimprovera che si metta in crisi la comunione, oscurando la luce. Volendo Giovanni sintetizzare il messaggio attraverso una esperienza difficilmente esprimibile, egli semplicemente dice che è stata sperimentata la luce: la luce di Dio, che si è manifestata loro senza alcuna tenebra. L'essere in comunione tra fratelli significa, allora, accettare di vivere nella luce e rifiutare di camminare nelle tenebre. Nello stesso tempo si manifesta la stessa comunione che Gesù aveva sviluppato con i suoi discepoli. Lo sforzo di essere in comunione purifica il cuore dall'oscurità e della menzogna, che, tuttavia, tendono a lacerare ogni comunione con colui che è stato conosciuto, visto, contemplato, toccato, e quindi con coloro che sono credenti nella propria comunità cristiana. La comunione con il Verbo di vita appare nella "comunione degli uni con gli altri". Ma questa non è facile, anzi può, spesso, diventare un paradigma pericoloso, ambiguo, colmo di difficoltà e di lacerazioni che può condurre al male. La comunione con gli altri ha bisogno del sangue di Gesù che ci purifichi da quel peccato che noi sperimentiamo ogni giorno. La comunione con la Chiesa ci permette di essere in comunione con Dio. In questa comunione non devono esserci individualismo, chiusura, solitudine. Esiste, dice Giovanni, una specie di circolarità che nasce dal Verbo che si è comunicato ai discepoli, i quali sentono di dover essere in comunione con Lui. Ma questo è possibile se si comunica ad altri la stessa impensabile pienezza che porta gioia. E questa gioia e pienezza si comunicano accettando, nello stesso tempo di essere in comunione e di non essere all'altezza. Così ci si ritrova a dover aver sempre più bisogno di Gesù, mentre lo si comunica. Come sua comunità, dobbiamo riconoscere l'importanza dell’incontrare la pienezza, correre insieme il rischio della comunione con gli altri, e accettare di riconoscere la nostra fragilità e la nostra impotenza. Ma sappiamo che "Egli, che è fedele" ci perdonerà, ci purificherà e ci sosterrà. Se non riconosciamo questa vocazione verso gli altri nell'impegno della comunione (e Giovanni è continuamente cosciente delle lacerazioni esistenti nella sua comunità) e se, nello stesso tempo, non riconosciamo la nostra povertà, allora escludiamo Dio dalla nostra vita perché, in questo caso, Egli non è più luce ma menzogna e perciò "la sua Parola non è in noi".
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Rom 10, 8c-15
Fratelli, Questa è la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!
In questo capitolo Paolo parla del fallimento di Israele che non ha saputo accogliere la presenza di Gesù. Eppure Mosé aveva dato alcuni suggerimenti per individuare la presenza di Gesù e la sua Parola. Ma Gesù non è stato accolto. Accogliere Gesù non è facile anzi, non è possibile ad una persona se non è aiutato dallo Spirito: "Nessuno può dire Gesù è il Signore se non nello Spirito Santo" (1Cor 12,3). Accogliere Gesù richiede un profondo e coraggioso atto di fede per cui con la bocca e con il cuore crediamo e accettiamo che Gesù è il Signore vissuto tra noi, crocifisso e risorto. La bocca e il cuore sono due vie importanti per esprimere la fede. Il cuore è il luogo delle scelte, delle decisioni, delle appartenenze. In questo caso il cuore proclama la signoria di Gesù sulla nostra vita e quindi la sua unicità e il suo valore per poterci unire in pienezza. La bocca esprime ciò che il cuore accoglie. "Con la bocca si esprime ciò che si ha nel cuore", dice Gesù (Luca 6,45). Dire: "Gesù è il Signore" significa manifestare con consapevolezza, all'interno di una comunità dove si vive e ci si confronta, la scelta fondamentale di Gesù. Con questa scelta, comunque, compiamo una professione di fede che porta il dono di Dio. È questo l'elemento che unifica, al di là delle differenze somatiche o culturali: "Non c'è distinzione fra giudeo e greco". Il mondo della fede abbatte le barriere di differenze razziali, di culture diverse, di condizioni sociali ed economiche, di temperamenti, di caratteri. Gli ultimi due versetti percorrono l'itinerario per giungere alla fede piena Andando a ritroso, per invocarlo bisogna aver creduto. Per credere bisogna aver sentito parlare. Per sentirne parlare ci vuole qualcuno che annunci; per annunciare è necessaria una vocazione da parte di Dio che conduce alla fede. Ma allora diventano splendidi i passi di chi ti raggiunge, di chi ti corre incontro, di chi ti cerca. Sono i passi che richiamano quelli di Gesù missionario itinerante nella terra d’Israele. Sono i passi premurosi di chi si sa conoscere la sofferenza e soccorre. |
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Giovanni Gv 21, 19c-24
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Pietro: «Seguimi». Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
Il capitolo 21 presenta alcuni racconti sulla condizione di vita dei discepoli e, in particolare, ha come punto di riferimento Pietro prima e Giovanni poi. Si parla della pesca miracolosa, della scoperta di Gesù che è il solo capace di rendere possibile la vocazione alla salvezza degli uomini. Egli incoraggia a gettare le reti in un posto dove non avrebbero mai pensato e in un tempo che non avrebbero mai scelto. Gesù riabilita Pietro con il dialogo sull'amore, e quindi sulle scelte di responsabilità verso la Chiesa che nasce. Infine un dialogo tra Gesù e Pietro si sviluppa sulla sorte della vita e della morte di Giovanni. Gesù, dopo la consegna a Pietro della sua responsabilità pastorale, lo invita a seguirlo; e Pietro accetta, alla fine di drammatiche esperienze, di tradimenti, di dolore stupito che deve portare la propria fragilità, di paure, di ottusità di fronte al nuovo ed al divino. Ma la domanda che Pietro fa a Gesù per Giovanni, allora, potrebbe essere interpretata come preoccupazione pastorale. “Come pastore, mi debbo occupare anche di lui?” Per Pietro Giovanni è un discepolo misterioso. Lo intravvede come un discepolo fedele, capace di amare e di rischiare la sua vita per il maestro, custode di confidenze e di rivelazioni che solo a lui Gesù aveva fatto quando, nell'ultima cena, era rimasta sospesa nell’aria la domanda sul traditore. Pietro interpella Gesù, anche perché Gesù gli ha svelato il senso della morte di discepolo: sarà la testimonianza simile a quella del maestro. Così, simile a Gesù nel ministero e nella morte, si sente anche responsabile e, in un certo senso, preoccupato di tutti coloro che seguono il Signore. Pietro vuole dimostrare sicurezza, attenzione, ma anche desiderio di sapere quali itinerari nuovi Giovanni ha saputo scegliere. Gesù, però, non dando una risposta precisa, vuole probabilmente far capire che esiste una indipendenza del cammino di ciascuno, sempre seguendo Gesù. “ Finché io venga”. Vanno richiamate alcune venute di Gesù. La prima è quella di essere venuto per "avere la capacità di diventare figli di Dio” se accolto (1,12), e poi la discussione nell’ultima cena su: “Come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” e Gesù risponde: “«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (14,23). E arriverà anche il momento dell'ultima venuta, quando la creazione sarà completata. Gesù sta dicendo a Pietro: "Tu segui me" e impegna così ogni persona ad avere un proprio cammino di responsabilità che risponda alla chiamata del Signore, senza intermediari all'interno del cammino adulto. Ognuno risponde di persona per ogni grande rapporto a Cristo. Ed ognuno è fratello di Gesù (21,23), ognuno è responsabile.
In conclusione:
1. La comunità cristiana ha, come fondamentale vocazione, l’esperienza della condivisione con Gesù per poter formare poi, nel tempo e nello spazio, una comunità di credenti, umili, coerenti. Questa comunità diventa luce come Gesù stesso (I lettura).
2. Il credere in Gesù è riconoscerlo come Signore, vincitore della morte, dono che Dio fa a ciascuno (II lettura).
3. Ognuno, nella sua vocazione, mentre è legato ad una comunità, sviluppa, nel posto dove vive, una sua testimonianza fino alla conclusione della storia propria e del mondo (Vangelo).
4. Giovanni rappresenta il discepolo aperto al mondo di Dio che, attraverso i segni che Dio offre, intravvede la bellezza della sua presenza e, attraverso la sua Parola, fattasi carne, porta continuamente ad una chiarezza e ad una conoscenza di comunione con il Dio Trinitario e con il mondo.
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