IV Domenica di Avvento

6 dicembre 2009

Luca 19, 28-38
Riferimenti: Isaia 4, 2-5 - Salmo 23 - Ebrei 2, 5-15

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

Isaia 4, 2-5
Il tuo giuramento sarà: Per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia. Allora i popoli si diranno benedetti da te e di te si vanteranno". Dice il Signore agli uomini di Giuda e a Gerusalemme: "Dissodatevi un terreno incolto e non seminate fra le spine. Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, perché la mia ira non divampi come fuoco e non bruci senza che alcuno la possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse. Annunziatelo in Giuda, fatelo udire a Gerusalemme; suonate la tromba nel paese, gridate a piena voce e dite: Radunatevi ed entriamo nelle città fortificate.

Pur se riferito al testo di Isaia del secolo VIII, questo brano sembra molto più recente poiché parla di avvenimenti che si sviluppano dopo l'esilio del VI secolo. Il profeta vuole garantire che le promesse del Signore vengono mantenute lungo la storia, nonostante le sconfitte e le tragedie della guerra e nonostante le invasioni che la accompagnano. Nella nuova Gerusalemme i sopravvissuti ricostituiranno un tempo nuovo, perché riconoscono il dono del "germoglio del Signore", facilmente identificato, dopo poco tempo, con il discendente di Davide. La città sarà purificata, ingrandita, rinnovata. Chi l’abiterà sarà detto santo, e Gerusalemme laverà il sangue, modificherà il comportamento delle donne altere di cui si parla nel capitolo precedente (3,16- 26), e la rovina della città si trasformerà in bellezza e splendore. Si sogna, così, che in questo futuro il Signore regala un nuovo governo degno del re Davide al nuovo re, mentre la presenza di uomini e donne che hanno affrontato la sofferenza finalmente riconoscono Dio come Signore. E sempre il Signore compie la purificazione del mondo dove questi vivono, e ci saranno ancora i segni della nuova creazione. I segni fanno riferimento sia al tempo dei re sia al tempo dell'esodo: insieme la nube e la consacrazione che il popolo ha fatto di sé a Dio: è finalmente l'assemblea santa. Su questo popolo di salvati, il Signore ricostruisce il tempo nuovo della liberazione: la nube di giorno e il fuoco fiammeggiante nella notte significano la presenza sul popolo prima che non sul tempio o nel tempio. La nube e il fuoco sono presenti anche nel Nuovo Testamento, segni di trionfo e di santità. Gesù sale al cielo e lo Spirito, come vento e come fuoco, scende sugli apostoli, su coloro che credono in Gesù e, via via, su tutti coloro che si riuniranno alla stessa fede nel Figlio di Dio. È molto interessante l'immagine del germoglio: fragilissimo, spunta da un tronco secco che si pensava ormai inaridito. Il germoglio ha una vita povera eppure vivacissima. Con la presenza di Dio su questo popolo, il germoglio crescerà e diventerà bellezza e splendore per Israele.

Ebrei 2, 5-15
Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato: Che cos'è l'uomo perché ti ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu te ne curi? Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi; e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato. Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.

"Dio che aveva già parlato nei tempi antichi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente ha parlato a noi per mezzo del Figlio". Questo è l'inizio della Lettera agli ebrei. Solo Gesù è la parola nuova e ultima, più grande di tutte le parole che lo hanno preceduto. Egli ricrea, come all'inizio della creazione, il mondo nella bellezza e nella purificazione e, chiamato dal Padre, è ora assiso alla destra della maestà di Dio. Questa lettura teologica, insieme, sviluppa la dimostrazione che il Figlio è superiore agli angeli (1,5- 14) e impegna ciascuno di noi nella vocazione di seguirlo. Ma, in sottofondo, ci sono anche le discussioni tra comunità ebraiche e comunità cristiane. Il mondo ebraico ritiene che solo il sacerdozio levitico sapesse assolvere il fondamentale rapporto di comunione con Dio creatore e legislatore e quindi, i cristiani non hanno una mediazione con Dio. Gesù, infatti, non essendo della tribù di Levi, secondo la mentalità ebraica, non può essere sacerdote. Così la Chiesa nascente è accusata dl non avere nessuna mediazione, nessun sacerdozio, nessun perdono dei peccati. Il cielo è drammaticamente irraggiungibile. L'autore di questa lettera, a noi sconosciuto ma profondamente conoscitore della teologia ebraica e del significato del tempio e del sacerdozio ebraico, risponde: il sacerdozio ebraico ha tentato attraverso vari elementi rituali (purificazione, offerte, vesti) di collocarsi come un ponte tra cielo e terra: tra il mondo di Dio e quello degli uomini. Ma, di fatto, il sacerdozio ebraico è rimasto aggrappato al mondo degli uomini. Proprio quel Figlio, superiore agli angeli, si manifesta nella sua totale umanità fino al punto da essere travolto dalla morte in una somiglianza e in una vicinanza tra noi inconcepibile. Il mistero di Dio con noi ci svela fondamentalmente attraverso la sua debolezza, più che attraverso la sua potenza. Anzi Egli è il vero uomo, colui che è entrato nella nostra carne e ha condiviso con noi la nostra realtà. Lo scandalo della croce "è il vero atto sacerdotale”: nel progetto di Dio Cristo muore "a vantaggio di tutti" (aspetto di dono, come lotta contro il male, e di alleanza) per essere garanzia e guida (aspetto partecipativo). Solo Gesù è riuscito a passare al mondo di Dio per la morte per amore. E attraverso la risurrezione ha dimostrato che il Padre ha accolto ed ha gradito l’amore totale di Gesù. Proprio colui che tutti dicono maledetto e, sotto la croce, lo sfidano a mostrarsi gradito a Dio perché, finalmente, se giusto, Dio deve schiodarlo, proprio Lui è l'unico che si può dire sacerdote vero. Egli, infatti, ama come Dio ama. E’ misericordioso come Dio è misericordioso. In tutto questo, Gesù, immagine visibile e concreta del Padre, tutto riunisce in fraternità. Così “colui che santifica e coloro che sono santificati” fanno parte della stessa realtà umana e perciò sono fratelli: Gesù e gli uomini “hanno in comune il sangue e la carne” (2,14), ma anche la stessa vocazione, ricevendo da Lui la stessa santità. In tal modo Gesù esprime la sua solidarietà, non solo diventando un uomo come noi, ma ha accettato di passare attraverso la morte stessa per ridurre all’impotenza “il diavolo che ha il potere della morte” Così, dice l’autore della Lettera agli ebrei, libera l’umanità, tenuta sotto soggezione dal maligno per il timore della morte stessa. E’ stato pagato con la vita il prezzo del riscatto: il prezzo dell’amore vale ed è più potente di qualsiasi prezzo. Possiamo, allora, senza paura, contare su una libertà conquistata, su una mediazione misericordiosa e fedele che purifica ed è in grado di rimettere i peccati. A patto che ci rivolgiamo con fede a Lui. Egli così costituisce l’Assemblea santa dei figli di Dio.

Luca 19, 28-38

Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: "Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete?, direte così: Il Signore ne ha bisogno". Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto. Mentre scioglievano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché sciogliete il puledro?". Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno". Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!".

"Betfage, il piccolo villaggio tra Betania e Gerusalemme, sul monte degli Ulivi, ove Gesù mando a prendere l'asino ed il puledro"  

Luca, nel suo testo, continua a richiamarsi a molteplici simboli che raccontano, nello stesso tempo, la novità dell'evento che si sta svolgendo, l'ambiguità delle interpretazioni diverse, la determinazione di Gesù che aveva iniziato il suo cammino, con decisione (9,51), verso Gerusalemme. L’ingresso nella città santa è preceduto da un’accoglienza splendida e inimmaginabile di un ricco peccatore: Zaccheo (19,1-10) e dal racconto della parabola delle mine (19,11-27). (La mina era una moneta il cui valore corrispondeva a 100 danari; e un danaro era la paga giornaliera di un lavoratore), somigliante alla parabola dei talenti (Mt25,14-30), pur sapendo che un talento era una somma molto più grande, equivalente a 60 mine. Luca ci ricorda con Zaccheo la disponibilità di Dio che cerca e accoglie chiunque in ogni momento, uomo o donna, anche i peccatori, e nella parabola delle mine le responsabilità dell'uomo e della donna del saper vigilare. A questo punto, preparando il racconto della conclusione del cammino di Gesù tra gli uomini verso il Padre, Luca parla delle due realtà di Gerusalemme: la grande città amata e la grande città ribelle, città di Dio e tomba dei profeti. Gesù vuole entrarvi come un re mite e disarmato. Egli manterrà la sua regalità, ma continuerà a voler essere un re senza potere, senza prestigio, e senza danaro. Così prenderà in prestito un asino. Il racconto si preoccupa di richiamare simbolismi, legati al culto del tempio: “Mai nessuno vi é salito” . E, infatti, l’animale ha requisiti di una bestia destinata al sacrificio. Per il Signore che lo cavalca, l'itinerario che percorre sull’asino ha come conclusione la sua offerta sacrificale e quindi, per Gesù, il sepolcro (23,53). I padroni dell’asino accettano, rispettosi, e Gesù sale sulla cavalcatura e, per quanto non sembri così spettacolare, sono ricordati l’incoronazione di re Salomone (1Re 1,38) e i vestiti distesi sulla strada trionfale (2 Re 9,13). E tuttavia non era usuale stendere mantelli sulla strada ma piuttosto si stendevano sulle scale, davanti al trono (id). Ma qui non si celebra una persona che siede sul trono, ma il riconoscimento di chi cammina verso il suo destino di re forte e potente. Sembra che i discepoli, per primi, entusiasti finalmente di un gesto, carico di riferimenti profetici e di vocazione messianica, siano stati i fautori di un percorso, il più appariscente possibile: sono loro che incominciano a gettare sull'asino i mantelli, che fanno salire Gesù, che incominciano a stendere le vesti sulle strade. Attorno a Gesù c’é tanta gente, costituita da amici e discepoli: c’è gioia e c’è solennità per questo ingresso che vuol apparire fastoso: la lode esplode “per i miracoli che avevano visto”. Il canto ricorda con chiarezza la regalità di Gesù che, tuttavia, troverà la sua umiliazione nella morte in croce (23,38). Eppure egli viene nel nome del Signore e porta la pace. Qui ritorna lo stesso canto degli angeli di Betlemme sul posto della nascita (2,14). Il canto si è trasformato in grido di gioia e di consapevolezza dei discepoli che accolgono, attendono e cercano la pace. Ma allude anche a quel pianto su Gerusalemme che ha rifiutato la pace, poiché ha rifiutato Gesù: "Se avessi compreso anche tu in questo giorno quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi" (19,42). Questa pace sarà ricuperata solo alla fine, con l’incontro con Gesù, nel Cenacolo, dopo la risurrezione. In conclusione: 1. Quando tutto è inaridito e sembra assolutamente vana la speranza, da un ceppo secco Dio farà nascere la vita che purificherà il mondo (I lettura). 2. Colui che viene è un alleato che apre in pienezza ad una umanità fraterna nel grembo di Dio (II lettura). 3. Gesù costruisce un mondo nuovo, ma non vuole illudere nessuno: egli viene nella pace e per la pace è disposto a morire. Perché nella pace scopriamo l’amore profondo che ci fa tutti grandi e unici agli occhi del Padre. Ma stiamo davvero cercando la pace, con tutti e per tutti? (Vangelo).