Ultima domenica dopo l'epifania

14 febbraio 2010

Luca 19, 1-10
Riferimenti: Siracide18, 11-14 - Salmo 102 - 2Cor 2, 5-11

Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; nel giorno della mia angoscia piega verso di me l'orecchio. Quando ti invoco: presto, rispondimi. Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane. Per il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa. Sono simile al pellicano del deserto, sono come un gufo tra le rovine. Veglio e gemo come uccello solitario sopra un tetto. Tutto il giorno mi insultano i miei nemici, furenti imprecano contro il mio nome. Di cenere mi nutro come di pane, alla mia bevanda mescolo il pianto, davanti alla tua collera e al tuo sdegno, perché mi sollevi e mi scagli lontano. I miei giorni sono come ombra che declina, e io come erba inaridisco.

Siracide 18, 11-14
Vede e conosce che la loro sorte è misera, per questo moltiplica il perdono. La misericordia dell'uomo riguarda il prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente. Egli rimprovera, corregge, ammaestra e guida come un pastore il suo gregge. Ha pietà di quanti accettano la dottrina e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.

Il capitolo 18 presenta un inno a Dio creatore e pastore (vv 1-14), un'esortazione all'amore del prossimo (vv 15-18) e un profilo dell'uomo previdente (vv 19-29). I primi 14 vv sono un inno allo splendore di Dio e la manifestazione della propria povertà. Tuttavia proprio questa esperienza, che si misura soprattutto nella brevità della vita, ci riporta a sentirci “come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia”. La sapienza, il cui autore è il Siracide, vissuto nel secondo secolo avanti Cristo, invita a ripensare a Dio come colui che “è paziente” con gli uomini. Questi versetti sono un capolavoro di intuizione e di esperienza. La compassione che Dio ha gli permette di moltiplicare pazienza e misericordia. E la sua misericordia non solo si allarga sugli uomini che ha creato capaci di compassione verso il proprio prossimo, ma si estende su ogni essere vivente. Così tutto il mondo è fasciato dall'amore e dalla misericordia di Dio, e quindi è prezioso e ogni essere vivente porta i segni della vita come un regalo e una custodia che Dio offre. E non c'è solo un amore iniziale, ma anche un amore educativo. Così il Signore assomiglia al pastore di un gregge che sviluppa almeno quattro impegni perché la vita si sviluppi, acquisti una sua dignità e una sola regola: Egli "rimprovera, corregge, ammaestra e guida". Il suo perdono e la sua pietà si allargano su coloro che accettano di essere istruiti e zelanti per le sue decisioni.

2Cor 2, 5-11
Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma in parte almeno, senza voler esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; e anche per questo vi ho scritto, per vedere alla prova se siete effettivamente obbedienti in tutto. A chi voi perdonate, perdono anch'io; perché quello che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l'ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere in balìa di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni.

Agli inizi della lettera di San Paolo ai Corinzi è sviluppata una lunga difesa del proprio comportamento come apostolo, che aveva garantito la sua venuta nella comunità, ma poi vi aveva rinunciato "solo per risparmiarvi". Il rinvio infatti è stato una scelta di discrezione e di saggezza (1,23), altrimenti avrebbe dovuto "venire con tristezza" (2,1) e quindi creare scompiglio in tutta la comunità. Perciò ricorda di aver scritto in un "momento di grande afflizione e col cuore angosciato tra molte lacrime" (2,4) per dimostrare “l'affetto immenso” che porta loro. Questa lettera, che non ci è mai giunta insieme alle altre, doveva essere molto severa. E tuttavia dimostrava attenzione a questo popolo che egli ama. Il brano che leggiamo fa riferimento ad un offensore anonimo, e tuttavia non si sa nulla dell'offesa che probabilmente è stata un'offesa personale. A parere di Paolo, tuttavia, è coinvolta un po' tutta la comunità. Il termine castigo poteva andare dalla semplice ammonizione verbale alla scomunica. Dal contesto sembra che si tratti di una punizione pesante mentre la comunità sembra si sia dissociata dal colpevole schierandosi dalla parte di Paolo. Paolo comunque è preoccupato perché chi ha offeso possa "essere ingoiato" da un dolore troppo forte. E in questo termine s'intravvede anche una riferimento a Satana, poiché, a volte, questo verbo viene usato per descrivere attività sataniche (1 Pietro 5,8). L'apostolo ritiene di dover perdonare e chiede che anche tutta la comunità debba essere coinvolta nel perdono insieme a lui. Dal versetto 11 si fa, poi, esplicito riferimento a Satana. Egli vuole impedire l'azione missionaria dell'annuncio della fede e il metodo migliore è arrivare a seminare discordia e divisione di animi. Nel perdono viene anche ricordata l'esemplarità, perché si possa imparare a scoprire reciprocamente attenzione e "benevolenza", ci sia solidarietà e si aiuti l'altro a sentirsi in un popolo di fratelli e sorelle che sanno capire e sanno accogliere.

Luca 19, 1-10

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

 

Luca racconta l'incontro di Gesù con Zaccheo. L'ultimo periodo del suo ministero, prima della morte in croce (18,1-21,38) sta volgendo al termine. Nelle vicinanze della città santa, a Gèrico, predica per la terza volta la sua passione (18,31), guarisce il cieco seduto lungo la strada (18,35-43) ed entrato in città parla con la gente e si fa invitare da Zaccheo. I due fatti che vengono ricordati di seguito: la guarigione del cieco e l'incontro con Zaccheo si illuminano a vicenda. Tutti e due desiderano vedere Gesù. C'è una folla che attornia e che vorrebbe impedire l'incontro di ambedue. La parola importante è "vedere". Tutti e due hanno fede e lo cercano. Tutt’e due ritrovano l'insperabile perché hanno avuto fiducia in lui. E se loro lo cercano, egli si preoccupa di incontrarli. Gèrico è una città di commercio, circola un discreto capitale, è luogo di dogana per le merci che provengono dall'Oriente. Vi si trovano funzionari imperiali, commercianti, esattori di imposte. Il mestiere di esattore è infamante, poiché l'ebreo che vi si dedica (pubblicano) tradisce due volte il popolo: perché ruba esigendo tasse senza un criterio di giustizia e perché consegna agli idolatri (romani) il ricavato, mantenendo per sé, ovviamente, una grossa parte di ricchezza. Zaccheo è un capo dei pubblicani, e perciò autorità potente e ricca. L'accenno al fatto che sia piccolo può corrispondere al rifiuto, alla insignificanza, ma anche al fatto di superare qualsiasi disagio e onorabilità, pur di incontrare Gesù. Probabilmente gli sono state chiuse le porte in faccia, o immaginava che potesse succedere, se avesse chiesto di salire sul terrazzo di qualche casa. - Zaccheo ha un desiderio vero, profondo, radicato di vedere Gesù. E se non si preoccupa del giudizio degli altri ha però un nome che può sembrare una beffa. Il suo nome significa: "il puro, il giusto". - Gesù accetta, in un gioco di sguardi e di pensieri. Quest’uomo, ritenuto da tutti, ormai, un perduto e un maledetto, sarà il segno della impensabile novità: è come una scommessa. Dio sa fare l’impossibile e può convertire questo ricco maledetto. "Nulla è impossibile a Dio" (18,27). - "Oggi devo restare a casa tua". L’"Oggi" è il tempo della salvezza che è giunto anche per Zaccheo. "Devo" indica una scelta del Padre a cui Gesù si adegua per svolgere l'opera affidatagli. - "Fermarmi" è il verbo dell'amicizia che esprime comunione senza rimproveri. - "in fretta" ricorda il momento irripetibile dell'incontro cui bisogna rispondere subito e con gioia, come nei Vangeli dell'infanzia (Le. 1,39; 2,16). - Gesù, entrando in casa di Zaccheo, peccatore pubblico, non teme di contaminarsi, suscitando proteste e scandalo e spezza la fatalità della maledizione. Zaccheo mostra un profondo cambiamento di cuore, impegnandosi nella restituzione e nell'aiuto ai poveri (nel "Levitìco" si obbliga alla restituzione dei beni rubati con l'aggiunta di un quinto, il 20% (5, 20-24). Zaccheo vuole restituire il 400%. - Gesù ricorda che 'figlio di Abramo’ non è solo il discendente naturale, ma chiunque ha fede e compie le opere del Padre suo. In questo caso si sviluppa responsabilmente e liberamente un’opera di solidarietà.