|

Penultima domenica dopo l’Epifania
7 febbraio 2010
Marco 2, 13-17
Riferimenti: Daniele 9, 15-19 - Salmo - Timoteo 1, 12-17
Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in ogni tempo. Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza, perché vediamo la felicità dei tuoi eletti, godiamo della gioia del tuo popolo, ci gloriamo con la tua eredità. Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso. |
Daniele 9, 15-19
In quei giorni. Daniele pregò il Signore dicendo: “Signore, nostro Dio, che hai fatto uscire il tuo popolodall’Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome qual è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi. Signore, secondo la tua giustizia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l’iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso tutti i nostri vicini. Ora ascolta, nostro Dio, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è devastato. Porgi l’orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre distruzioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome! Noi presentiamo le nostre suppliche davanti a te, confidando non sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo”.
Daniele, che si presenta come centrale in questo libro, non è praticamente l'autore. Si tratta di un'opera anonima composta in tre parti da autori diversi, con intenti e ambienti diversi. Si colloca normalmente al secondo secolo avanti Cristo, utilizzando materiale scritto in epoche precedenti (quarto-terzo secolo avanti Cristo). Nel Nuovo Testamento il testo di Daniele è citato molte volte. Il messaggio, che si vuole inviare, è quello di non dimenticare la propria fede nel Dio di Israele. Pur integrandosi e collaborando socialmente nel popolo in cui si è stati deportati, non deve venire compromessa l’identità religiosa e politica di un popolo perché il riferimento è sempre il Dio dei padri a cui si offre la propria vita e il proprio destino. La fiducia di ciascuno si appoggia a Dio che ha potere sovrano, mentre il potere politico ha un tempo limitato ed è destinato ad essere travolto. La supplica per il perdono è divisa in due parti distinte dalla invocazione: "ora Dio nostro". La prima parte fa riferimento all'elezione del popolo, ricordando i prodigi di salvezza che nella Scrittura sono menzionati per casi simili. Dio è intervenuto con mano forte e quindi, ancora oggi, riconosce l’autore, "ti sei fatto un nome" perché ancora le opere di Dio sono ricordate nel tempo in cui l'autore scrive. La visione di Gerusalemme distrutta si richiama alle "opere di giustizia che il Signore ha voluto fare” E tuttavia “Allontana da noi il tuo giusto castigo e il tuo furore verso Gerusalemme". La riflessione sulla tragedia che è avvenuta non si può esaurire solo per i peccati della generazione, ma si allarga ai "nostri peccati e alle colpe dei nostri padri". Quello che sta avvenendo è purtroppo il crollo di qualsiasi dignità per il popolo di Dio: è diventato un "uno obbrobrio per tutti i nostri vicini". Nella seconda parte vengono ricordate, invece, la ricchezza di Dio e la volontà del Signore. L'appello è fatto non tanto per comportamenti o meriti che ci possono essere stati. La preghiera si fa supplica perché “Gerusalemme è la città di Dio" (v16). Tutta questa parte si gioca sulla parola: "ascolta". Almeno tre volte si chiede d’ascoltare e risente di quella ricchezza di rapporto che c'è tra Dio e il suo popolo. Tutto Israele prega avendo a misura della propria supplica: "Ascolta Israele, ascolta Dio". Ma poi i verbi di supplica si moltiplicano nel: "Porgi l'orecchio, guarda, apri gli occhi, perdona, agisci senza indugio". Anzi, a ben vedere, ai vv 18-19 si ripetono due volte quattro imperativi rivolti a Dio, che richiamano anche la preghiera di Salomone (1 Re 8, 30) nel Tempio di Gerusalemme. Il numero quattro potrebbe far riferimento ad un universale perdono che il popolo d'Israele sogna mentre prega perché il Signore le consegni la nuova verità di accoglienza. |
Timoteo 1, 12-172
Carissimo, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Questa è la prima di tre lettere dette “lettere pastorali”, attribuite a San Paolo che egli indirizza a Timoteo (due lettere) e a Tito (una lettera). Timòteo è a capo della Chiesa di Efeso, Tito nell'isola di Creta. Timoteo si era aggregato all'équipe apostolica di Paolo nel suo secondo viaggio missionario (At 16,1-3) ed era rimasto tra i suoi discepoli più fedeli. La lettera perciò potrebbe essere stata scritta, da Paolo, alla fine del suo primo periodo di prigionia a Roma, dopo il 64 (At 28,16) oppure è stata scritta da qualche discepolo di Paolo, dopo la morte di questi, sviluppando riflessioni ricevute in eredità dalla scuola di Paolo e adattandole alla situazione dell'organizzazione delle chiese che si stavano sviluppando. L'esperienza personale di Paolo, prima nemico e persecutore della Chiesa e poi fedele convinto, dimostra l'assoluta gratuità della chiamata di Dio. E’ una verità racchiusa nella frase: " Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori”. La conversione, per Paolo, è stata veramente un’esperienza di salvezza poiché rischiava di perdere totalmente il senso della sua vita. Così il ringraziamento a Dio è per la fede in Gesù e per il ministero che lo ha portato a svolgere un “servizio a Cristo” nella comunità cristiana. Egli, dice, agiva da miscredente perché: "Non sapevo quello che facevo". Non è una scusa, per Paolo, dotto maestro di Israele e finissimo esegeta della Scrittura, ma testimonianza che la sua fede può essere solo un dono di Dio che gli ha capovolto pensieri e cultura. |
 |
Marco 2, 13-17
In quel tempo. Il Signore Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi e i farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. Udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Marco colloca il testo della vocazione di Levi subito dopo la guarigione del paralitico che con un procedimento fortunoso è stato calato dal tetto. La guarigione avviene, in una casa (non in una sinagoga), all'interno di una ricerca teologica. C’è un uomo paralitico, portato da quattro portatori che, in tutti i modi, lottano contro le difficoltà e l'esclusione (non possono entrare nella casa) e forzano le situazioni. Il paralitico e i quattro portatori rappresentano tutto il mondo (il numero quattro è il numero della terra). Nel mondo il peccato paralizza qualunque modo di arrivare a Dio. Ma se c'è speranza di liberazione, Gesù sa liberare. Una vera liberazione avviene solo quando i peccati sono stati perdonati. Marco sta sviluppando nel primo capitolo l'inizio di una novità sconcertante: Gesù libera dai demoni, guarisce la suocera di Pietro, monda dalla lebbra un lebbroso, guarisce il paralitico. Ma il problema fondamentale che Gesù incontra non è la paralisi, non è la malattia, ma è il male che sclerotizza tutte le possibilità, che uccide tutta la libertà, che rinchiude e spezza le speranze, che crea divisioni. Gesù è venuto a combattere il peccato. Marco conclude il brano precedente dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile" (2,12). E Marco continua, dicendo "Uscì di nuovo lungo il mare". Il mare (che è il luogo del maligno) è ponte verso i pagani ed è in relazione con l'idea dell’Esodo (Mar Rosso) e quindi con la missione e la liberazione. Gesù invita Levi, un esattore di tasse. Questo è uno di quei personaggi che venivano considerati avidi di danaro, interessati sfruttatori, rinnegati dal punto di vista religioso e politico. Per questo motivo era proibito accettare da loro l’elemosine e perfino cambiare denaro ai loro banchi. Non si preoccupavano della legge religiosa e avevano, ovviamente, spesso incontri con i pagani. In una parola erano considerati peccatori, miscredenti, rifiutati da Dio, privi di diritti civili. Non venivano accettati come testimoni nei processi e impure erano considerate anche le loro famiglie. Levi, così, rappresenta la primizia di coloro che sono fuori di Israele, Giudei o pagani, che costituiranno il gruppo della comunità di Gesù. Gesù sta smantellando le esclusioni e le selezioni che venivano fatte dagli uomini in nome di Dio. Il banchetto che viene fatto "in casa sua" (difficile dire se in casa di Gesù o in casa di Levi) è simbolo di amicizia, di libertà e di gioia. Richiama il banchetto messianico. Non esclude nessuno dalla tavola, tutti sono uguali e tutto è aperto ai popoli pagani. Gesù sta in mezzo tra i due gruppi: quello degli esattori/miscredenti e quello dei discepoli. La reazione, comprensibile, viene dai farisei e dagli scribi che interpellano i discepoli ma concentrano tutta l'ostilità su Gesù che sta violando la legge. Probabilmente noi non avremmo le stesse motivazioni, ma se sostituissimo gli esattori/miscredenti con la parola “mafiosi”, ci sentiremmo anche noi sconcertati dal fatto che Gesù va a mangiare con loro. Gesù sente l'obiezione e risponde difendendo il proprio operato. Si parla di "quelli che sono forti" e "quelli che stanno male". “Quelli che sono forti”, in Isaia, rappresentano i capi oppressori del popolo e “quelli che stanno male” rappresentano il popolo abbandonato dei suoi dirigenti. In questo caso la riflessione si gioca su oppressori-oppressi. Tra gli oppressi ci sono anche i peccatori esclusi dalla società religiosa e civile e che sentono il bisogno di un liberatore, gli oppressori sono quelli che escludono. Non è solo un problema religioso ma anche un'ingiustizia verso le persone. Così Gesù è indicato come medico che opera con i peccatori: il paralitico è liberato dal passato (2,5 i suoi peccati) e ci riceve la vita (2,10. 12). Quanto alla chiamata per il regno che egli sta costituendo, Gesù non accetta la distinzione peccatori/miscredenti da una parte e giusti dall'altra (in cui si riconoscono i farisei che rispettano la Legge) ma afferma un drammatico giudizio sui giusti (che vale anche per tutti noi benpensanti"). I giusti sono coloro che pensano di essere dalla parte di Dio, sono soddisfatti di se stessi, non credono d'aver bisogno di un cambiamento. I maestri della legge, credendo di conoscere la volontà di Dio fino in fondo e ritenendo di essere corretti non accettano di rimettere in discussione il loro stile di vita, le esclusioni, le ingiustizie consapevoli o inconsapevoli. I peccatori invece riconoscono la propria situazione di ingiustizia e sono disposti a cambiare vita e a seguire Gesù.
|