II Domenica dopo l’epifania

17 gennaio 2010

Giovanni 2, 1-11
Riferimenti: Ester 5, 1-1c. 2-5 - Salmo 44 - Efesini 1, 3-14

Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito, i nostri padri ci hanno raccontato l'opera che hai compiuto ai loro giorni, nei tempi antichi. Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti, per far loro posto, hai distrutto i popoli. Poiché non con la spada conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli; ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto, perché tu li amavi. Sei tu il mio re, Dio mio, che decidi vittorie per Giacobbe. Per te abbiamo respinto i nostri avversari nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori. Infatti nel mio arco non ho confidato e non la mia spada mi ha salvato, ma tu ci hai salvati dai nostri avversari, hai confuso i nostri nemici. In Dio ci gloriamo ogni giorno, celebrando senza fine il tuo nome.

Ester 5, 1-1c. 2-5
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, ella si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi. Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura ^ Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!». Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla. Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Aman al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Aman, per compiere quello che Ester ha detto». E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.

Il libro di Ester è stato tramandato in due forme diverse: una più breve, presente nel testo ebraico, l’altra più lunga nella versione greca dei LXX. Oltre che per la diversa estensione, le due forme si differenziano anche nei nomi, nei numeri, nelle date e soprattutto nella sensibilità religiosa. Prima di san Girolamo la Chiesa cattolica di lingua latina usava la forma testuale greca: e così hanno fatto sempre, fino ad oggi, la Chiesa greco-cattolica e la Chiesa ortodossa. San Girolamo tradusse, invece, il testo ebraico di Ester, ponendo in appendice sei ampie sezioni proprie del testo greco. Con la diffusione della Vulgata, il libro di Ester venne accolto in questa forma da tutta la Chiesa cattolica latina, fino al Concilio ecumenico Vaticano II e le stesse prime due edizioni della Bibbia, a cura della Conferenza Episcopale Italiana (1971; 1974), seguono questa forma. In questa terza edizione della traduzione della Bibbia a cura della C.E.I. viene offerta la versione integrale del testo greco. Ma poiché è convinzione generale della Chiesa che tutte e due le forme testuali del libro di Ester, la greca e l’ebraica, sono ispirate, è parso opportuno conservare, assieme al testo greco, quello ebraico, conosciuto e letto con amore dai fedeli per tanti secoli fino ad oggi (dalla premessa al libro di Ester a cura della CEI, nella nuova traduzione della Bibbia) Il libro di Ester è un bellissimo testo che viene continuamente riletto nella festa di Purim. Il mondo ebraico vi intravvede, da una parte, l'attenzione e la protezione di Dio verso il suo popolo, e dall'altra esprime il ringraziamento dell'essere stato scelto da Dio e salvato. Alla corte del re persiano Assuero, Mardocheo, un giudeo appartenente a una famiglia di deportati a Babilonia, prima sventa un tradimento verso il re e, quindi, introduce a corte la figlia adottiva, Ester, che il re, tra le tante, sceglie come regina. Un nemico giurato di Mardocheo, Aman, ottiene l'autorizzazione per attuare un pogrom (una strage) contro il popolo ebraico. Ester, che vuole difendere il suo popolo, invita il re e Aman a un banchetto e intercede per il proprio popolo. Il re, finalmente, si ricorda della onestà di Mardocheo e condanna a morte Aman. Anzi i Giudei sono autorizzati ad opporsi agli assalitori e punire i loro nemici nel giorno che era già stato fissato da Aman per la strage. Da qui la commemorazione della liberazione per le molte stragi che questo popolo ha subito, in particolare durante il nazismo. La regina è descritta in tutto il suo splendore, si comporta con molta dignità, ma ha il cuore angosciato per la paura. La visione del re è come una manifestazione potente e terribile di Dio: lo splendore, la gloria, la bellezza. La regina aveva osato avvicinarsi al re senza essere stata chiamata e questo aveva riempito di collera il re. Ma davanti a sé non vede una provocatrice, ma una persona debole, terrorizzata. Dio interviene (qui il testo è omesso) e "volse a dolcezza l’animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia". Il re la consola, le dice di essere "fratello (v. 9)" (garanzia di legame che rassicura Ester, nonostante la sua origine ebraica), e parla il linguaggio dell'amore: "la bacia (v 12)". Il re garantisce che accoglierà qualunque richiesta di Ester: "Fosse pure metà del mio regno, l'avrai" e di questo testo si ricorderà Marco nel suo Vangelo (6,23), quando racconterà la morte di Giovanni Battista a causa della stessa promessa e il giuramento fatto alla figlia di Erodiade (Salomé) in un banchetto. La richiesta di Ester è semplicemente quella di un invito ad un banchetto, preparato per il re e per il primo ministro Aman. In questo banchetto, per opera di Dio, si ricostituirà la giustizia verso il popolo. Nel banchetto di Erode si consumerà la tragedia di Giovanni battista, il più grande dei profeti.

Efesini 1, 3-14
Fratelli, benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In ui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Questa lettera riporta sicuramente le linee teologiche nello spirito di Paolo che è custode fedele della rivelazione di Gesù e, tuttavia, si discute se la lettera sia stata scritta (o dettata, come spesso avveniva) da Paolo stesso e, allora, si tratterebbe di un testo che, tradizionalmente, viene collocato agli inizi degli anni 60 durante la prigionia a Roma, o sia stata scritta da un discepolo attorno agli anni 80- 90. La benedizione che inizia questa lettera è la forma più significativa della preghiera ebraica, perché, in ogni momento della giornata, viene espressa dai credenti come ringraziamento per gli interventi di Dio nel suo popolo, per i benefici concessi e, quindi, per essere stati chiamati a far parte del popolo. Questo testo potrebbe essere anche un inno cantato nelle celebrazioni liturgiche, e qui si celebra la benedizione a Dio, Padre di Gesù Signore per i doni che egli ha fatto ai cristiani. Si richiamano tre momenti essenziali:
- "ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale" (3),
- "predestinandoci ad essere per lui figli adottivi" (5),
- "facendoci conoscere il mistero della sua volontà" (9).

"In Gesù” o “in Cristo Gesù", frequentissimo in Paolo (almeno 81 volte nelle sue lettere o in quelle a lui attribuite), si riscopre il riferimento alla pienezza della fede che passa, ovviamente, attraverso la rivelazione fatta da Gesù. "Santi e immacolati": è il progetto che il Signore Gesù fa per ciascuno di noi e che compie per la Chiesa "(5,27) , rigenerata nel battesimo e sposa di Cristo. L'itinerario per raggiungere questa santità passa per la "la carità".Così noi siamo presenti nel progetto di Dio “prima della creazione del mondo", orientati verso una figliolanza per cui Dio è Padre di Gesù e Padre nostro, in un disegno di amore per cui tutta l'umanità è chiamata alla gioia senza fine, "lode e gloria della sua grazia”. Tutto questo avviene non per le nostre opere buone, ma perché gratuitamente il Signore ci ha chiamati a questo progetto di bellezza e di grazia. Per questo itinerario, che si apre nel tempo e nello spazio, siamo redenti e perdonati gratuitamente per il sangue di Gesù (7), introdotti nella sapienza di Dio, nella conoscenza del suo progetto. E già nella comunità cristiana, per la presenza di Gesù, vi siamo introdotti e ci stiamo incamminando verso l'unificazione in Gesù di tutte le cose Questa gratuità è espressa attraverso l'eredità che il Signore sta attuando, prima "in noi che già abbiamo sperato nel Cristo" (sono gli ebrei che hanno atteso il Messia e Paolo si mette tra questi), ma "anche in voi" - e si rivolge ai pagani come destinatari della lettera- "che avete ascoltato la parola della verità e avete ricevuto il sigillo dello Spirito". Questo brano è ricco di un’enorme speranza, poiché, mentre intravede la fatica, la sofferenza di Cristo, il bisogno di perdono, prospetta il cammino verso una pienezza nel progetto del Padre. Dai “segni dei tempi” di Giovanni XXIII e del concilio Vaticano II, alle esigenze di una autorità mondiale (CV di Benedetto XVI), alla consapevolezza di un mondo che sempre più ha bisogno di pace, alla responsabilità di non accettare che ci siano condannati alla schiavitù e alla fame, ritroviamo i segni di un cammino faticoso in cui c'è tutta la nostra responsabilità, ma possiamo intravedere anche l'azione di Dio che fa sorgere attese nella speranza di ciascuno.

Giovanni 2, 1-11

In quel tempo. vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

Giovanni, con il miracolo di Cana posto all'inizio del suo Vangelo, per un verso sconcerta poiché, tra le tante fatiche e dolori che gli uomini vivono, Gesù incomincia i suoi segni, semplicemente, portando vino agli sposi in una festa di nozze di poveri. Tanto più che è il primo dei sette "segni" che Giovanni racconta tra i moltissimi che potrebbe raccontare (20,30) è, addirittura, posto ai vertici della gloria di Gesù: "Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (2,11). Il significato teologico è invece profondissimo: Gesù porta dono e rigenerazione al mondo. Questo segno è posto alla fine di una settimana, al “settimo giorno”, dopo che Giovanni si è preoccupato di raccontare avvenimenti che si sono svolti nei giorni precedenti, scandendo il “Il giorno dopo (29), il giorno dopo (35), il giorno dopo (43), il terzo giorno (2,1)” tenendo presente che Giovanni inizia tutto il suo Vangelo con "in principio". Così chiaramente ricorda l'inizio del tempo della creazione (Gen 1) e le nozze di Cana corrispondono alla pienezza e al completamento della creazione e quindi al riposo di Dio. Il testo di Giovanni, per la profondità con cui affronta il messaggio di Gesù, perciò, si presenta carico di richiami, di storia biblica, di anticipazioni, di progetti, di novità. Il matrimonio, nella Scrittura, è preso a significato di un rapporto di alleanza profondo e totale che Dio ha con il suo popolo (Israele è la sposa). Gesù interviene a questo banchetto, ma manca il vino della gioia (il profeta Isaia, quando parla del regno, lo prospetta come un banchetto con vini eccellenti e raffinati 25,6). Israele (la sposa) non vive più con gioia l'incontro con Dio, ma si è fatta serva, preoccupata del rispetto cavilloso e angoscioso della legge, per cui manca completamente un'alleanza piena. Persino l'acqua manca perché le giare sono vuote, e manca il vino. Le nozze di Cana rappresentano Israele deluso. La madre di Gesù è Maria, ma può rappresentare anche quella comunità in cui Gesù è nato e da cui è stato educato. Non ricorre al capotavola, né ai capi religiosi che sono incapaci di organizzare una vera festa. Ricorre a Gesù. E se egli dice che non è ancora giunta la sua ora, la fede della sua comunità è capace di costringerlo ad iniziare i segni nuovi di Dio. Quando passerà da questo mondo al Padre (13,1), darà l'acqua nuova che zampilla per la vita eterna (4,14) che scaturisce dal suo costato (19,34): acqua della vita e sangue di amore. La religiosità che Gesù vuole proporre, allora, è consapevolezza di speranza, è accoglienza coraggiosa, è attenzione ad un amore pieno e profondo, è novità per tutti coloro che sono rassegnati e delusi. Ogni religiosità, anche la nostra, deve fare i conti con le nozze di Cana.