III Domenica dopo l’epifania

24 gennaio 2010

Matteo 15, 32-38
Riferimenti: Numeri 13, 1-2. 17-27 - Salmo 104 - 2 Cor 9, 7-14

Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto. Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva come un manto, le acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia sono fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra. Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti; ne bevono tutte le bestie selvatiche e gli ònagri estinguono la loro sete. Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le fronde. Dalle tue alte dimore irrighi i monti, con il frutto delle tue opere sazi la terra. Fai crescere il fieno per gli armenti e l'erba al servizio dell'uomo, perché tragga alimento dalla terra: il vino che allieta il cuore dell'uomo; l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore. Si saziano gli alberi del Signore, i cedri del Libano da lui piantati. Là gli uccelli fanno il loro nido e la cicogna sui cipressi ha la sua casa. Per i camosci sono le alte montagne, le rocce sono rifugio per gli iràci. Per segnare le stagioni hai fatto la luna e il sole che conosce il suo tramonto. Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. Sorge il sole, si ritirano e si accovacciano nelle tane.

Numeri 13, 1-2. 17-27
Il Signore disse a Mosè: "Manda uomini a esplorare il paese di Cànaan che sto per dare agli Israeliti. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti dei loro capi". Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Cànaan e disse loro: "Salite attraverso il Negheb; poi salirete alla regione montana e osserverete che paese sia, che popolo l'abiti, se forte o debole, se poco o molto numeroso; come sia la regione che esso abita, se buona o cattiva, e come siano le città dove abita, se siano accampamenti o luoghi fortificati; come sia il terreno, se fertile o sterile, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi e portate frutti del paese". Era il tempo in cui cominciava a maturare l'uva. Quelli dunque salirono ed esplorarono il paese dal deserto di Sin, fino a Recob, in direzione di Amat. Salirono attraverso il Negheb e andarono fino a Ebron, dove erano Achiman, Sesai e Talmai, figli di Anak. Ora Ebron era stata edificata sette anni prima di Tanis in Egitto. Giunsero fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi. Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d'uva che gli Israeliti vi tagliarono. Alla fine di quaranta giorni tornarono dall'esplorazione del paese e andarono a trovare Mosè e Aronne e tutta la comunità degli Israeliti nel deserto di Paran, a Kades; riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese. Raccontarono: "Noi siamo arrivati nel paese dove tu ci avevi mandato ed è davvero un paese dove scorre latte e miele; ecco i suoi frutti.

Il racconto di oggi inizia i capitoli 13 e 14 del libro dei Numeri. Dopo l'avventura e l'incontro con Dio sul Sinai, gli avvenimenti qui riportati indicano una svolta nel cammino verso la terra che Dio offre al suo popolo. Il popolo sa che la terra dovrà essere conquistata e che nessuno la regalerà loro. Via via che si avvicina alla terra, loro assegnata, sorgono le preoccupazioni per il nuovo insediamento. Il Signore vuole preparare coloro che accompagna e incoraggia i primi approcci di conoscenza del terreno, del territorio, degli abitanti, delle culture. E’ un problema di consapevolezza che non può e non deve mancare ad ogni persona, perché è la base indispensabile per la responsabilità. Il capitolo 14 prepara i lettori a scoprire la motivazione di un infinito peregrinare nel deserto e ricorda l'insuccesso del progetto di Dio attraverso uno schema frequente che si ripete nella Scrittura. Sorge la paura e quindi l'insubordinazione da parte del popolo. Si scatena la diffidenza per la possibilità di un cammino di speranza con il Signore, e si manifesta, di conseguenza, la delusione di Dio espressa attraverso l'ira. Ma Dio è fedele al suo popolo e quindi, nel cuore di Mosé, si fa strada il coraggio per l'intercessione. Dopo la sommossa, un gruppo di coraggiosi si muove per conquistare, ugualmente, la montagna, trasgredendo però la raccomandazione di Mosé che li supplica di non combattere: "Perché trasgredite l'ordine di Jahweh?". Ma essi attaccano e sono travolti. Il comando dell'esplorazione della terra incomincia dal sud della Palestina con scelte persone che devono essere capi. Sono i rappresentanti di tutte le tribù. E’ tutto il popolo che si muove e non devono emergere interessi di parte. L’esplorazione è fatta seguendo le indicazioni di Mosé e, a conferma di quello che avrebbero detto, (e cioè hanno scoperto abbondanza, ricchezza, potenza e forza tra gli abitanti del paese) portano un grappolo d'uva così pesante da dover impegnare la forza di due uomini. La verifica che essi hanno fatto, dopo la fatica del deserto, dà ragione alla munificenza e all'amore di Dio per il suo popolo, poiché il Signore ha conservato questa grande ricchezza per gli schiavi che egli ha liberato. Gli esploratori impiegano 40 giorni e al ritorno riempiono di stupore e di paura il popolo che aspetta. Un popolo, che non conquista la propria libertà con la propria fatica, anche senza le catene, continua ad essere schiavo e non c'è fiducia, né coraggio, né parola di garanzia che sappiano sostenerlo, poiché uno schiavo è sempre impaurito. L'immagine del benessere è espresso con lo scorrere di latte e miele come di un torrente: un'immagine improbabile nel deserto, segno di abbondanza, di gratuità e di benessere.

2 Cor 9, 7-14
Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene, come sta scritto: ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno. Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale poi farà salire a Dio l'inno di ringraziamento per mezzo nostro. Perché l'adempimento di questo servizio sacro non provvede soltanto alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti ringraziamenti a Dio. A causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti; e pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi.

La seconda lettera ai Corinzi pare sia stata scritta nell'autunno del 57 a.C. e mantiene, come tema di fondo, la difesa di Paolo e del suo apostolato. In tutto il testo si sente l'angoscia di non essere capito, e quindi nella prima parte (capitoli 1-7) ricorda le tribolazioni patite, difende il suo atteggiamento di apostolo nei confronti della comunità e riflette sul suo ministero. Nella seconda sezione, Paolo cambia registro (e il brano di oggi ne fa parte) e richiama istruzioni riguardanti una colletta a favore della chiesa di Gerusalemme. Egli esorta alla generosità e alla gioia di donare. Nella terza parte (capitolo 10-13) Paolo ritorna, in modo brusco, alle ragioni del suo comportamento e si difende dalle accuse mosse dagli avversari. Paolo, nel soggiorno a Gerusalemme per il Concilio (51 d.C.), si rende conto delle difficoltà che quella Chiesa sta vivendo per il moltiplicarsi dei poveri, a cui si dedica con coraggio, e per l'esaurimento delle risorse. Così la chiesa di Gerusalemme non può permettersi di continuare un sostegno generoso e adeguato. Perciò, in questa lettera, al capitolo 8, Paolo presenta l'esempio delle chiese della Macedonia che offrono una prova di amore, avvertendo l'esigenza di una vera uguaglianza. Nel capitolo 9 si sviluppano riflessioni e motivi di tipo sapienziale e teologico. - Ciascuno dia con generosità e libertà "quanto ha deciso nel suo cuore", ma dia con gioia, poiché "Dio ama chi dona con gioia" (il testo è tratto da Pr 22,8). - L'esempio migliore ci viene dal modo di operare di Dio che fa abbondare la grazia affinché coloro che credono in Gesù possano vivere serenamente e offrire con generosità. - Dire ai fratelli che avete "sempre il necessario in tutto" suppone che Paolo sa conoscere e apprezzare l'esistenza di un lavoro onesto e concreto. I componenti di questa comunità, infatti, sviluppano con corresponsabilità le loro risorse, e Paolo sa che, con l'aiuto di Dio, si possono permettere sia la sobrietà ("il necessario") che "le opere di bene". Si parla qui di "autarchia" (parola greca), che esprime l'autosufficienza e l'indipendenza da tutti. Ma Paolo introduce anche il richiamo alla ricchezza come dono di Dio (Deuteronomio 8,17-18). Tuttavia il fine della ricchezza è la condivisione. ("Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo viviamo per il Signore”: Rom 14,7). - Dio "farà crescere i frutti della vostra giustizia". - Dal dono, frutto del proprio lavoro e della benedizione di Dio, si passa al ringraziamento del povero il quale prega e dà lode a Dio. I poveri "ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza al Vangelo e la vostra generosità di comunione con loro e con tutti". Si può intravedere un riferimento a Matteo5,16: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. - Questo testo andrebbe accostato al brano di Luca (16,9), che rimette sempre in discussione il senso della ricchezza: "Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne". In altri termini, il paradiso ci sarà aperto dai poveri che ci accoglieranno ringraziando, avendo intercesso per noi.

Matteo 15,32-38

Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada". E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini". Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

 

Matteo ripropone per due volte il gesto di Gesù dello spezzare il pane per un popolo che ha camminato con lui: il primo racconto (14,13-21) si colloca in una comunità di origine ebraica che si radica nel contesto dell'Antico Testamento (non a caso ci sono richiami al numero 5 e al numero 12). Il secondo racconto (che leggiamo oggi) si sviluppa all'interno di una riflessione di apertura ai pagani ed è stato conservato, con tutta probabilità, in una comunità cristiana di origine pagana che richiama il banchetto di Dio per tutti popoli (si risente, in questo caso, il ricordo del profeta Isaia). Gesù si preoccupa ed ha "compassione per la folla... perché non hanno da mangiare" ed è da tre giorni con lui. I tre giorni possono significare la fatica e la ricerca di senso, l'esperienza del bisogno, la ricerca del pane di vita ("chi mangia di questo pane non aveva più fame": Gv 6,51), il blocco della insicurezza e della perplessità, nonostante le guarigioni. Come gli apostoli che hanno vissuto la loro fatica e la loro perplessità nei tre giorni della morte del Signore. Alla fine dei tre giorni la risurrezione, la pienezza, lo sfamarsi. Il numero sette delle ceste avanzate può essere la completezza (cielo e terra) e può richiamare al servizio che dovrà essere continuato nella Chiesa dai sette diaconi che presiedevano alle mense (atti 6,3-6: dai nomi rileviamo che sono giovani di origine greca) e quindi la continuazione nelle comunità cristiane delle celebrazioni eucaristiche. Così anche il numero 4 può richiamare un popolo che viene dalle quattro parti della terra, moltiplicato per 1000, e cioè un popolo innumerevole. Questo brano invita la comunità cristiana a ripensare globalmente al significato dell'incontro con Gesù nel momento più significativo e più evidente della settimana: la liturgia domenicale. La gente incontra e si incontra, cercando il significato e il senso che Gesù dà alla vita. Gesù pone i gesti della liberazione, conoscendo la fatica, la sofferenza, il disagio di ciascuno. Quindi la Parola di Dio e la comunione sono il ritrovare la forza, la gioia di sentirsi amati e accettati, la disponibilità di sapere che esistono ancora spazi e possibilità per quelli che verranno. Essi potranno sfamarsi e, pur scoprendo di provenire dai quattro punti della terra, verificheranno di essere insieme diversi e uniti dalla liberazione e dalla presenza di Gesù che ci rende coraggiosi, liberi e disponibili a portare speranza. Così la liturgia domenicale è un punto di arrivo, con i propri malati, schiavitù, insufficienze, paure, e insieme la propria ricerca e la propria fame. Ma sfamati, è il punto di partenza, il discendere dal monte, è il ridistribuire, con la Parola e la fedeltà di Gesù, le sette sporte ed incontrare gli altri ed offrire loro questa notizia e, insieme, questa esperienza.
In conclusione:
1. Il mondo, spesso, ci impaurisce perché, forte di una propria potenza, può schiacciare e uccidere (I lettura).
2. La comunità cristiana ha ricevuto dal Signore le risorse innumerevoli perché diventino aiuto a coloro che sono in difficoltà (II lettura).
3. Gesù è capace di aprire il cuore, di liberare dalla paura, di sostenere nelle difficoltà e apre al banchetto della gioia per la sua comunità che è per tutti i popoli (Vangelo).