FAMIGLIA DI GESU', MARIA E GIUSEPPE

Beato l'uomo che teme il Signore
31 gennaio 2010

Matteo 2, 19-23
Riferimenti: Siracide 44, 23 - 45, 1a. 2-5 - Salmo - Efesini 5, 33 - 6, 4

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore, nel consesso dei giusti e nell'assemblea. Grandi le opere del Signore, le contemplino coloro che le amano. Le sue opere sono splendore di bellezza, la sua giustizia dura per sempre. Ha lasciato un ricordo dei suoi prodigi: pietà e tenerezza è il Signore. Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda sempre della sua alleanza. Mostrò al suo popolo la potenza delle sue opere, gli diede l'eredità delle genti. Le opere delle sue mani sono verità e giustizia, stabili sono tutti i suoi comandi, immutabili nei secoli, per sempre, eseguiti con fedeltà e rettitudine. Mandò a liberare il suo popolo, stabilì la sua alleanza per sempre. Santo e terribile il suo nome. Principio della saggezza è il timore del Signore, saggio è colui che gli è fedele; la lode del Signore è senza fine.

Siracide 44, 23 - 45, 1a. 2-5
In quei giorni. La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza Dio fece posare sul capo di Giacobbe; lo confermò nelle sue benedizioni, gli diede il paese in eredità: lo divise in varie parti, assegnandole alle dodici tribù. Da lui fece sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti. 1a Amato da Dio e dagli uomini: 2 gli diede gloria pari a quella dei santi e lo rese grande fra i terrori dei nemici. 3 Per le sue parole fece cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli diede autorità sul suo popolo e gli mostrò parte della sua gloria. 4 Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. 5 Gli fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube oscura e gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d’intelligenza, perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza, i suoi decreti a Israele.

L'autore di questo testo, vissuto attorno al secondo e terzo secolo avanti Cristo (250-175), viene chiamato “figlio di Sira, Ben Sira o Siracide”. Inizialmente scrisse il libro in ebraico e poi fu tradotto in greco. Egli è di professione uno scriba, cercatore di sapienza, con cautela, si misura con la nuova cultura greca con cui viene a contatto. Con spirito missionario si è dedicato alla formazione dei giovani in una scuola a Gerusalemme (51,23). Il capitolo 44 del libro del Siracide si pone alla ricerca della sapienza, presente negli antenati che furono illustri e virtuosi: “Facciamo l’elogio degli uomini illustri” (44,1). Così con citazioni o semplici allusioni tratte dai libri della Scrittura, dal Pentateuco fino a Giobbe, e poi via via ai profeti, sono ricordati tratti particolari della loro vita in comunione con il Signore. Il testo che oggi leggiamo fa riferimento a Giacobbe: “La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza Dio fece posare sul capo di Giacobbe e gli diede il paese in eredità: lo divise in varie parti, assegnandole alle dodici tribù ” (44,23). Poi il Siracide parla di Mosè “amato da Dio e dagli uomini” (45,1). Ci sono circa 12 verbi che sviluppano l'azione di Dio verso il liberatore di Israele, uguagliato alla gloria degli angeli (2a), forte davanti i nemici (2b,) glorioso davanti ai re (3b), intercessore ascoltato per allontanare minacce (3a). Egli partecipa alla gloria della santità di Dio (3d, 4a), in grado di udire la voce di Dio, di entrare nella nube misteriosa, di ricevere i comandamenti, faccia a faccia. Il compito di Mosé è quello di offrire, per la mediazione, la legge di vita e di intelligenza di Dio attraverso la propria coerenza e la responsabilità. Egli deve spiegare la sua alleanza e i suoi decreti a Israele. È sempre importante ricordare che per l'alleanza ci si deve giocare in termini di fedeltà. Il Siracide, come tutto il mondo ebraico, ha sviluppato l'impegno della sapienza poiché è l'unico che può garantire la fedeltà a Dio attraverso il rispetto delle leggi (sono i decreti e tutto ciò che circonda la preoccupazione di essere veramente rispettosi e coerenti con la Parola di Dio). Dio non torna indietro. Dio ha posto un'alleanza e l'ha giurato su se stesso. E tuttavia il gioco delle due libertà, di Dio e dell'uomo, del Dio liberatore e del popolo liberato. Ma è un gioco continuamente a rischio a causa della libertà dell’umanità continuamente incerta e facilmente infedele. Da qui l'attenzione con cui il Signore si preoccupa di inviare maestri, testimoni, messaggeri, profeti: il testo di oggi ci fa ripensare a colui che è "amato da Dio e dagli uomini" per questo tentativo fedele di Dio di rendere possibile l'alleanza con l'Eterno.

Efesini 5, 33 - 6, 4
Fratelli, Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito. 1 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. 2 Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3 perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. 4 E voi, padri, non esasperate i vostri figli,ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.

Paolo si è fermato lungo tempo ad Efeso (At 19), dove ha vissuto un'intensa stagione di evangelizzazione e di riflessione teologica (1 Cor 16,9). Vi subisce persecuzione, forse anche la prigionia per la sommossa degli orefici (1 Cor 15,32) e a Mileto chiama per il suo discorso di addio gli anziani di Efeso. Questa lettera potrebbe essere stata scritta a Roma negli anni 61-63 oppure prima, da Cesarea (58-60). E tuttavia, riportando sicuramente le linee teologiche nello spirito di Paolo, custode fedele della rivelazione di Gesù, potrebbe essere un testo scritto da un discepolo attorno agli anni 80 - 90. Il camminare nella sapienza (Ef 5,15-20) conduce a superare contrasti, discordie, incomprensioni familiari che rivelano, spesso, la volontà di prevaricazioni che l'uno vuole avere sull'altro. Perciò quest’ultima parte della lettera è suddivisa nel richiamo ad una morale familiare che ha destinatari precisi: 5,22-33 il rapporto della coppia, 6,1-4: il rapporto tra padri e figli, 6,5-9: il rapporto tra schiavi padroni. Nel testo di oggi viene solamente accennato il rapporto tra marito e moglie che è di reciprocità e di attenzione. Quindi si ferma al rapporto tra figli e padri. Tutta questa parte, tuttavia, deve essere letta alla luce del versetto 21: "Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri”. I richiami alla sottomissione comportano sempre un riferimento a un apporto reciproco che escluda il dominio del forte sul debole, del ricco sul povero, di chi sta in alto su chi si trova in basso. "Nel timore di Cristo” non si fa riferimento alla paura, ma piuttosto alla trepida sollecitudine nella disponibilità al servizio. Paolo deve fare i conti con la cultura del tempo e con la teologia ebraica: perciò egli riprende il tema della sottomissione che era considerata d'obbligo per la donna, per i figli, per gli schiavi, e lo rilegge in termini cristiani di reciprocità rispettosa dei valori che Gesù ha portato e quindi, anche nella concretezza, si richiama ad una responsabilità controllata e matura. Paolo parla dell'ubbidienza: non tanto di un'ubbidienza astratta, appoggiata all'emozione e all'intuizione, ma dell'accettare e quindi dipendere da persone: i genitori, i superiori, l'autorità. Per i figli, obbedire ai genitori nel Signore, significa sviluppare un rapporto pensato e maturo in una famiglia cristiana dove si impara a conoscere Dio, Padre di Gesù. Probabilmente nelle prime comunità cristiane, quando una famiglia accettava in blocco di diventare credente e si faceva battezzare, coinvolgeva anche tutti i figli, accettando così di essere educatori nella linea di Gesù. L'impegno educativo non è certo dimenticato dal mondo ebraico. Anzi, se ne parla come di dovere dei figli richiamando il comando di Dio nel libro dell'Esodo (Es 20,12; Deut 5,16). La promessa di vita lunga e felice sulla terra fa riferimento alla terra di Canaan: è uno degli elementi fondamentali dei doni di Dio (insieme ad una figliolanza numerosa e all'abbondanza). Vi si parla del "primo comandamento, unito alla promessa”. Non si vuole tanto ricordare che è il primo della seconda serie degli impegni sociali quanto si vuole sottolineare il valore di questo comandamento per costituire una società. Si parla di ammonizione: "Non esasperare” perché la provocazione provoca l'ira (4,26), e sfocia, nella bestemmia (4, 31) e negli oltraggi. L'aspetto negativo viene corretto da due verbi: "La correzione" e "l'ammonizione". La “correzione” usa tutti i metodi utili a convincere, “l’ammonizione” (l'esortazione) viene sviluppata nella parola. La correzione e ammonizione, se riassumono anche i metodi duri e spesso ostili e crudeli delle scuole greco-romane, sono temperate "nel Signore." L'educazione dei figli ha come modello di imitazione Gesù. Ubbidire ai superiori come a Cristo e non perché ci vedono e ci lodano. - l'autorità ha la sua grandezza nel rappresentare Dio, ma in questo stesso suo valore trova i suoi confini: impone finché è rispettata la coscienza. - l'autorità è servizio, aiuto e non dominio, non egoismo, non pretesa: ma risorsa per far crescere; l'autorità è vicina al Signore. - l'autorità, se è servizio, mentre educa, deve essere educata. Con la collaborazione. - l'autorità deve essere informata, sostenuta, incoraggiata. - l'autorità si accetta, si desidera, si venera come vera e manifesta volontà di Dio. Ma esiste un'autorità nei confronti degli adulti ed un’autorità nei confronti dei ragazzi. Per la prima è necessario il confronto e quindi la comprensione degli elementi che bisogna valutare e scegliere, per la seconda si giocano la saggezza e l’attenzione perché l'altro cresca nella sapienza. Ma bisognerebbe fare di tutto per spiegare i perché.

Matteo 2, 19-23

In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

 

 

 
Egitto. La piramide di Gizeh nelle vicinaze di Matariyeh. E' in questa cittadina, ove ai tempi di Gesù esisteva una fiorente comunità ebraica, che, secondo la tradizione, si sarebbe rifugiata la Sacra Famiglia.  

Nel Vangelo di Matteo viene continuato il racconto dei fatti tragici che accompagnano la nascita e l'infanzia di Gesù. Da buon lettore della Bibbia, l'Evangelista costruisce il racconto accostando Gesù a Mosè e a Giacobbe. Devono essere queste le attenzioni per interpretare la discesa in Egitto e il ritorno. Il racconto, di fatto, è un racconto teologico, preoccupato di aiutare a capire che qui c'è un avvenimento di Dio nella fragilità della sua proposta, che ha già trovato esempi nella storia passata e che ha superato gli ostacoli perché il Signore protegge il suo progetto. In alcuni scritti rabbinici era descritta al Faraone la nascita di Mosè e a questa notizia egli ordinava di uccidere i primogeniti degli Ebrei (Es. 1,15.22). Anche Erode, uditi i Magi, ordina la strage degli innocenti (Mt. 2,16). - Mosé sfuggì al massacro (Es. 2,1-10) e Gesù sfugge alla morte rifugiandosi all’estero. - Mosé è richiamato in Egitto (Es. 4,19). Il messaggio, che viene inviato a Giuseppe per il ritorno, usa un verbo al plurale: "Sono morti, infatti, quelli che cercavano di uccidere il bambino". Corrisponde alle stesse parole dette a Mosé: "Sono morti quelli cheinsidiavano la tua vita" (Es 4,19). Così Gesù è il nuovo Mosé, salvato da Dio per un progetto di salvezza del suo popolo. E il primo Vangelo dell’infanzia, diviso in 5 parti (riferimento ai cinque libri della legge di Mosé), propone Gesù come un legislatore più grande della legge mosaica fino a superarla (Mt. cc.5-8: "In antico fu detto ma io vi dico.... "). Un altro parallelo è fatto con Giacobbe-Israele, padre delle 12 tribù del popolo ebraico. In Gen. 46,3: "Non temere dì scendere in Egitto perché là io ti farò diventare un grande popolo e ti farò ritornare" disse il Signore a Giacobbe. E quando tornò era diventato un popolo. Cosi Gesù deve passare dall'Egitto per diventare un popolo (Egitto è lontananza, separazione, sofferenza, esilio, rifiuto). La morte di Erode padre (4 a.C.) segna, probabilmente, la prospettiva di un ritorno. Così le date, comunque, ci fanno pensare che Gesù sia nato qualche anno prima (attorno al 7-6 a.C.). Gli successe Archelao che sperava di diventare, con l'appoggio di Roma, re della Giudea e della Samaria. Ma, a motivo della sua crudeltà e dispotismo, Augusto imperatore romano gli concesse solo il titolo di etnarca ("Signore di un popolo). In seguito venne deposto e confinato in Gallia, dove morì nel 18 d.C. Viene ripreso il testo di Osea 1,11: "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio" che dal profeta è inteso come "nazione ebraica" ma nel Vangelo si intende come rapporto parentale nuovo e misterioso. Tutto il racconto mostra una vita minacciata dal male, ma protetta da Dio attraverso la sua provvidenza e attraverso i buoni (Giuseppe, Maria, i Magi, coloro che accolgono) perché nel mondo si manifesti il bene. Giuseppe ritorna a Nazareth e la citazione del profeta si rifà a Isaia 11,1 dove si legge: “Spunterà un virgulto dal tronco di Iesse" dove si può leggere un’assonanza con nazir (consacrato) e neser (virgulto). Probabilmente aveva anche un particolare significato perché gruppi di discendenti di Davide, emigrati per paura delle persecuzioni, sono chiamati Nazareni. E facevano richiamo al discendente di Davide (Marco 10,47). Il cieco, a Gerico, avendo inteso che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare dicendo: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me". Le esigenze del progetto di Dio sono grandi, sconvolgenti: bisogna lasciare ancora tutto. Eppure la nuova famiglia si fida di Dio e affronta il suo futuro.