II Domenica dopo Pentecoste
6 giugno 2010

Matteo. 6, 25-33
Riferimenti  : Siracide18,1-2. 4-9a. 10-13 - Salmo  135 - Romani. 8, 18-25

Lodate il nome del Signore, lodatelo, servi del Signore, ] voi che state nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio.  Lodate il Signore: il Signore è buono; cantate inni al suo nome, perché è amabile.  Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele come suo possesso. Io so che grande è il Signore, il nostro Dio sopra tutti gli dei.  Tutto ciò che vuole il Signore, egli lo compie in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi.  Fa salire le nubi dall'estremità della terra, produce le folgori per la pioggia, dalle sue riserve libera i venti. ] Egli percosse i primogeniti d'Egitto, dagli uomini fino al bestiame.  Mandò segni e prodigi in mezzo a te, Egitto, contro il faraone e tutti i suoi ministri.  Colpì numerose nazioni e uccise re potenti:  Seon, re degli Amorrèi, Og, re di Basan, e tutti i regni di Cànaan.  Diede la loro terra in eredità a Israele, in eredità a Israele suo popolo.  Signore, il tuo nome è per sempre; Signore, il tuo ricordo per ogni generazione.
Siracide18,1-2. 4-9a. 10-13

1Colui che vive in eterno ha creato l'intero universo. Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? Non c'è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. Quando l'uomo ha finito, allora comincia, quando si ferma, allora rimane perplesso. Che cos'è l'uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei giorni dell'uomo, cento anni sono già molti. Come una goccia d'acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell'eternità. Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente.

Il libro del Siracide è chiamato così dal suo autore "Gesù, figlio di Sira", ma è stato detto anche Ecclesiastico ("libro da leggere nell'assemblea"), perché l'opera era molto letta nella comunità ecclesiale. Il libro non ha uno schema preciso, ma si apre su un ampio orizzonte che abbraccia i molteplici aspetti positivi e negativi dell'esistenza umana: l'amicizia, la morte, l'avarizia, il creato e i suoi elementi, il prestito, il governo, le donne, l'uso della lingua, il giuramento, l'adulterio, la libertà, i figli, la salute, il vino, i banchetti, gli schiavi, i viaggi, il lavoro intellettuale e quello manuale. Nella sua descrizione, il Siracide presenta una visione serena del mondo e della vita, sorretta dalla presenza di Dio e dalla bontà della sua provvidenza. Il brano di oggi è tratto dalla prima parte: "La sapienza guida la vita dell'uomo (l,1-23,28)". L'autore, probabilmente, ha scritto questo libro nei primi decenni del II sec. a.C., destinandolo agli Ebrei che sperimentarono, nella loro terra, la dominazione della cultura greca dei Tolomei prima e dei Seleucidi dopo. Composto originariamente in lingua ebraica, il Siracide si è conservato completo soltanto nella versione greca. Tra il 1896 e il 1964 sono stati ritrovati diversi manoscritti, prima al Cairo, poi presso il Mar Morto (Qumran e Masada), contenenti buona parte del testo originario ebraico. Ma il testo del Siracide, proprio per la sua diffusione in lingua greca, non lo si è riconosciuto nella Bibbia ebraica. Perciò è detto "deuterocanonico", presente nell'elenco dei libri, riconosciuti ispirati solo tra i cattolici. Nella cornice di un appassionato inno al creatore (vv. 1-7), l'autore biblico sente lo stupore di trovarsi davanti a Dio "che regge il mondo con il palmo della mano e tutto obbedisce alla sua volontà" (v 3). L'uomo non ha assolutamente nessuna capacità di scoprire la grandezza di Dio e di lodarlo. E nell'universo va davvero considerato lo stridente confronto tra l'onnipotenza di Dio e la nostra pochezza. Di fronte a tanto splendore e bellezza cresce il contrasto con l'uomo, con i suoi interrogativi di fondo: Chi è? A che serve? Quale il suo bene e quale il suo male? Che cosa sono 100 anni di fronte a un giorno dell'eternità ? E' vero che la breve vita è scandita dal peccato e dalla miseria, ma Dio si manifesta ancor più paziente e ricco di misericordia. Ci troviamo tutti noi davanti alla sua misericordia, capace di intrecciare l'universo e la nostra povera generosità che a malapena riesce a perdonare solo a chi gli è più vicino. Il testo apre alla contemplazione del mondo e quindi alla pienezza di Dio che si mostra nella splendore dell'ordine e della legge e che traspare nel cammino del popolo di Israele, piccolo e fragile esso stesso, accolto, condotto dalla mano di Dio che è il pastore universale. Ma tutto questo è possibile solo se superiamo la superficialità, se riconosciamo i nostri limiti, la nostra povertà, le nostre fragilità e sappiamo aprire gli occhi sul mondo di Dio che è continuamente presente nella nostra vita. Questo testo obbliga a guardare intorno a noi ed obbliga a guardare dentro di noi. Porsi degli interrogativi a cui rispondere con coraggio e con chiarezza, scendendo nelle profondità dei significati e dell'esperienza quotidiana, aiuta a scoprire un cammino su cui Dio ci ha avviato e su cui ci accompagna.

 Romani. 8, 18-25

Fratelli, ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Il testo di oggi è preceduto da alcuni versetti che ci aiutano a comprendere più profondamente il significato di questo brano, che è una intuizione splendida di tutta la realtà creata. San Paolo, infatti, dice: "E voi non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio". (vv. 15-16). La paternità di Dio, che ci è stata offerta e comunicata da Gesù, ci fa: "eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria" (v 17). Così lo Spirito infonde nei cristiani la vita di Dio e, a somiglianza di Gesù, viviamo la sua stessa sofferenza nel seguirlo. E tuttavia questa vita non è paragonabile all'eterna "gloria futura" che godremo. Anzi questa sofferenza ci fa intravvedere una "ardente aspettativa della stessa creazione" alla bellezza e alla libertà iniziale. Questa creazione, ora, - dice Paolo- è stata sottomessa alla caducità, alla schiavitù, alla corruzione e grida il suo dolore. È stata coinvolta in un progetto assurdo, opposto a quello di Colui che l'ha fatta. Il peccato e l'egoismo l'hanno travolta. Ora l'uomo è colto dallo spavento di fronte al male che fa e alle conseguenze dei suoi errori: vede minacciate la fertilità della terra, la salubrità dell'aria, la sanità dell'acqua; constata i danni provocati alle piante e agli animali, sa di aver riempito i fondali marini di rifiuti tossici e di bombe... Questa creazione attende di essere redenta: vuole essere ricondotta nel progetto di Dio che, all'inizio, aveva contemplato con compiacimento quanto aveva fatto, perché "era molto buono" (Gen 1,31). Si intravedono qui il grande progetto di un mondo bello, regalato all'uomo e alla donna perché fosse un giardino da godere in un'umanità che si sviluppa. Ma si intravede anche la deformazione che l'umanità ne ha fatto perché si è sottratta alle regole di vita che Dio gli aveva offerto, costruendosi progetti di autonomia e di male (idoli) o elevando a significati assoluti le cose create (Rom 1,23-25). In tal modo la creazione, "non per sua volontà", ha subìto la "schiavitù della corruzione" a cui l'ha ridotta l'uomo. Così, attendendo ansiosamente che si manifesti la gloria di Dio nell'umanità, in tal modo viene superata la morte e la creazione stessa viene liberata dal male. Paolo invita a non disperare e a non interpretare il grido di dolore del creato come quello di un morente. È piuttosto simile a quello della partoriente che sta per dare alla luce una nuova vita. I cristiani non rimangono insensibili al gemito del creato, non si abbattono, ma recuperano coraggio, energia, responsabilità per rendere la stessa creazione migliore, superando la fame, la sete, la miseria e ripulendola dagli inquinamenti già avvenuti o che potrebbero avvenire, perché rispettosi della bellezza che Dio ci ha offerto come dono a tutti. Con questo impegno, che ha anche una valenza educativa verso le nostre comunità, la Parola di Dio porterà a compimento la nuova creazione, nonostante le nostre pochezze e fragilità.


Matteo. 6, 25-33
In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

Visione del lago di Genezareth dal monte delle Beatitudini.
Lo scenario davanti al quale Gesù ha proclamato i fondamenti della sua dottrina
 
Il Vangelo di Matteo è dominato, in questo testo, dalla parola "non preoccupatevi (meglio sarebbe dire non affannatevi: il verbo greco, nel brano, è ripetuto 6 volte) ed è preceduto dalla riflessione sulla scelta tra Dio e la ricchezza. "Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza" (v 24). Nella vecchia traduzione veniva riportata la parola ebraica "Mammona", un termine che indicava i beni e i possedimenti. Non aveva un significato negativo, ma deriva dalla radice "aman" (come il nostro Amen) e vuol dire "stare saldo". Perciò la ricchezza (Mammona) è una realtà a cui mi affido e mi appoggio. Mi dà garanzia, ma può diventare un idolo, quando lo metto alla pari e quindi lo contrappongo a Dio stesso. Gesù usa poi, al posto di "servire", i verbi: amare, odiare, preferire, disprezzare. Bisogna scegliere di servire (e qui "servire" ha un significato religioso: ubbidire, decidere totalmente, mettersi a disposizione). II discepolo deve abbandonarsi con fiducia nelle mani del Padre. Non ci si deve "affannare" (in greco "merimnao" viene da "meros": parte, pezzo). Il discepolo non deve "andare in pezzi", perdendo la propria unità e serenità. Non si vuole qui fare l'elogio alla pigrizia, come se ci si debba sforzare di vivere nel fatalismo e nell'attesa di un paracadute di viveri dal cielo. Come uomini e donne adulti, siamo impegnati nei nostri compiti e nella nostra vocazione di persone che trasformano il mondo, ma "non ossessionati dal cibo e dal vestito" (pur elementi fondamentali per la vita, non è un caso che vengano qui ricordati due tipi di lavori: quello degli uomini che è la coltivazione della terra e quello delle donne che è il filare). Chi segue Gesù "cerca prima il Regno e la sua giustizia". Cercare il Regno significa cercare il senso della vita, i valori fondamentali che la costituiscono, il significato che Gesù ci propone. Il Regno è, infatti, la presenza di Gesù nella vita, scoperta di una novità che trasforma e rivela il volto del Padre e la sua volontà. Si traduce allora la giustizia del Regno che è la bellezza e l'armonia, la misericordia e l'accoglienza. Così nella ritrovata unità del cuore non mancherà l'essenziale, oltre che la pace. I pagani si occupano solo del mangiare e del bere. Vivono solo in funzione del benessere e del danaro. Ma, come credenti in Gesù, siamo chiamati a scelte più grandi. Abbiamo qui anche la misura della nostra fede ed il livello della nostra fiducia e speranza. Se ci preoccupiamo solo delle cose, del benessere e del danaro, del mangiare e del bere, qualunque cosa facciamo o qualunque preghiera diciamo, ci scopriamo pagani e non incontriamo più il Signore e la sua giustizia. Il seguito del testo è prezioso anche per l'equilibrio interiore: "Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena" (v.34).