
VII Domenica dopo Pentecoste
11 luglio 2010
Giovanni 6, 59-69
Riferimenti : Giosuè 24,
1-2a. 15b-27 - Salmo 104 -Tessalonicesi 1, 2-10
| Rendete grazie al Signore e
invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A
lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il
Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre
il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi
prodigi e i giudizi della sua bocca, voi, stirpe di Abramo, suo
servo, figli di Giacobbe, suo eletto.ì È lui il Signore, nostro
Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato
della sua alleanza, parola data per mille generazioni,
dell'alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento a
Isacco. L'ha stabilita per Giacobbe come decreto, per Israele
come alleanza eterna quando disse: “Ti darò il paese di Canaan
come parte della vostra eredità”. |
| Giosuè 24, 1-2a.
15b-27 In quei giorni.Giosuè
radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani
d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si
presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo:
Sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri
hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel
cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo
il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il
Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio,
che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto,
dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni
dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino
che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali
siamo
passati. Il Signore ha scacciato dinanzi a noi tutti
questi popoli e gli Amorrei che abitavano la terra. Perciò anche
noi serviremo il Signore, perché egli è il
nostro Dio». Giosuè disse al popolo: «Voi non potete servire il
Signore, perché è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non
perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri
peccati. Se abbandonerete il Signore e servirete dèi stranieri,
egli vi si volterà contro e, dopo avervi fatto tanto bene, vi
farà del male e vi annienterà». Il popolo rispose a Giosuè: «No!
Noi serviremo il Signore». Giosuè disse allora al popolo: «Voi
siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelti il
Signore per servirlo!». Risposero: «Siamo testimoni!».
«Eliminate allora gli dèi degli stranieri, che sono in mezzo a
voi, e rivolgete il vostro cuore al Signore, Dio d’Israele!». Il
popolo rispose a Giosuè: «Noi serviremo il Signore, nostro Dio,
e ascolteremo la sua voce!». Giosuè in
quel giorno concluse un’alleanza per il popolo e gli diede uno
statuto e una legge a Sichem. Scrisse queste parole nel libro
della legge di Dio. Prese una grande pietra e la rizzò là, sotto
la quercia che era nel santuario del Signore. Infine, Giosuè
disse a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra sarà una
testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che
il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per
voi, perché non rinneghiate il vostro Dio».
Giosuè 24, 1-2a. 15b-27
Giosuè ha sostituito Mosè alla guida del popolo, dopo essere
stato il suo giovane aiutante nel peregrinare nel deserto (Es
33,11); alla morte di Mosè, aveva preso il suo posto per
“realizzare” la conquista della terra promessa. Giosuè era
diventato la concreta testimonianza di una storia di popolo che
ormai stava perdendo la memoria poiché le vecchie generazioni,
anche quelle che avevano avuto testimonianze dalle proprie
famiglie, erano finite. Così Giosuè, «ormai vecchio e molto
avanti negli anni» (Gs 23,1), compie il rinnovamento
dell’Alleanza che già Mosè, ormai vicino alla morte, aveva
celebrato a Moab, prima che il popolo, diretto
da Giosuè, passasse il Giordano. E, con la medesima celebrazione
nella terra ormai conquistata, al centro del territorio, a
Sichem, viene sancita la scelta fondamentale (di questa
celebrazione v’è un anticipo qualche capitolo prima, in Gs
8,30-35). Il testo, che oggi abbiamo letto, mentre non riporta
una prima parte (dai vv 3-14) in cui Giosuè sintetizza la storia
di questo popolo, da Abramo fino ai giorni dell’insediamento in
Canaan, ci conduce alla concretezza di una scelta del Dio che ha
accompagnato. Tutto il popolo di Israele è invitato a riflettere
e a scegliere. Esso può contare su una catena di testimonianze,
appena enunciate, che traccia un itinerario di secoli, percorso
dall’assistenza del Signore in cui Giosuè crede: gente dispersa
e schiava è diventata un popolo. E il Dio che è intervenuto è
stato un Dio ignoto fino al tempo della liberazione dall’Egitto.
Egli si svelò e fu conosciuto proprio per il suo inatteso
interessamento e quindi per la potenza del suo intervento
assolutamente imprevedibile. Prima di loro gli dei del culto dei
padri erano stati quelli della terra che abitavano. Ma chi ha
salvato questo popolo è stato un Dio che
Giosuè, personalmente, aveva sperimentato nonostante
l'insufficienza della forza umana. L’intervento gratuito di Dio
gli ha aperto gli occhi per cui, dichiara, lui e la sua gente
hanno deciso di “servire il Signore”, ovvero di avere il Signore
come unico punto di riferimento, religioso, morale. Anche il
popolo accetta di essere destinatario, in prima persona, dei
fatti passati di salvezza che si prolungano nella propria
storia. E se Giosuè ricorda le conseguenze impegnative, facendo
presente che tradire un’alleanza è più grave di non averla mai
sancita, il popolo accetta insieme la propria storia e le scelte
passate che continuamente si compiono. In ogni messa noi
ripetiamo, proclamando il CREDO, la stessa adesione nell’unico
Dio uno e trino che ci ha creati, ci ha amati fino alla morte e
ci ha alimentato di verità e grazia. Noi ripetiamo insieme,
“nella nuova ed eterna Alleanza”, come un popolo fatto uno dalla
fede, unanimemente, la scelta fatta 2000 anni fa dalla prima
comunità cristiana e ripetuta lungo i secoli, pur tra tutte le
traversie, le sconfitte e i tradimenti. |
Tessalonicesi 1,
2-10 Fratelli, rendiamo sempre
grazie a Dio per tutti voi,ricordandovi nelle nostre preghiere e
tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la
fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza
nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.
Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da
lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto
per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito
Santo e con profonda convinzione: ben sapete come ci siamo
comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete
seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto
la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito
Santo, così da
diventare modello per tutti i credenti della
Macedonia e dell’Acaia. 8Infatti per mezzo vostro la parola del
Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la
vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non
abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come
noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli
idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai
cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il
quale ci libera dall’ira che viene.
Tessalonicesi 1, 2-10
Paolo ha iniziato la sua predicazione nel mondo greco e a
Tessalonica, città ricca, riferimento di commercio con un porto
frequentato. Come farà normalmente, comincia a frequentare la
sinagoga di sabato, come faceva Gesù, per partecipare insieme
con i connazionali alla santificazione del sabato. Paolo vi
giunge verso gli anni 50 d.C. e, contrariamente alle proprie
attese, ha poco successo con i connazionali
mentre un approccio con il mondo pagano permette di iniziare un
buon rapporto, costituendo una piccola comunità. Ne fanno parte
anche non poche donne della nobiltà (At 17,1-9). Ma una
ribellione, istigata dai giudei della città, obbliga Paolo a
fuggire, lasciando assolutamente incompleto il proprio lavoro.
Le vicende successive nel mondo greco lo deludono per cui,
arrivato a Corinto, si ferma per limitarsi alla frequentazione
della sinagoga. Qui tuttavia l'arrivo di Silvano e Timoteo,
collaboratori della comunità di Tessalonica, fa scoprire che
veramente il Signore ha costituito una realtà rigogliosa,
coraggiosa, fedele proprio in quella comunità, così
precipitosamente abbandonata. Con tale
meraviglia S. Paolo scrive questa sua lettera nel 51 d.C., che è
la prima in assoluto tra i libri del Nuovo Testamento ed elenca,
per la prima volta, nominando e unendo insieme le “virtù
teologali”: “fede (operosa), amore (faticoso) e speranza
(perseverante)”. Tutto ciò avviene per la forza dello
Spirito Santo, in Gesù Signore nostro e Paolo
intravvede nel progresso spirituale di questa comunità l'opera
di Dio che porta a compimento la grandezza delle sue opere.
Paolo riconosce che questa comunità ha saputo lottare con
coraggio e con lucidità contro la paura: perciò si avverte la
gioia ed emergono i ricordi di persone che si vogliono bene. E
anche se soggetta ad angherie e sopraffazioni da parte dei
giudei e da parte del mondo pagano, la risposta generosa della
loro fede ha mostrato, da una parte, che è stato seguito
l'esempio del Signore e, dall'altra, nella concretezza
dell'esempio di Paolo, i credenti di Tessalonica sono diventati
"modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia”.
E nell'entusiasmo Paolo si esprime con enfasi: " la vostra fede
in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno
di parlarne". Le ultime parole sono una
sintesi del credo apostolico: i cristiani sono stati liberati
dalla morte dell'idolatria e sono entrati al servizio del Dio
vivente che ha ridato la vita a Gesù e, attraverso Lui, anche a
coloro che attendono il suo avvento glorioso. Paolo stesso
incomincia a rendersi conto del valore, della imprevedibilità,
della responsabilità e dell’urgenza della Evangelizzazione dove
Dio e i credenti operano insieme e non uno senza l’altro.
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Giovanni 6, 59-69
In
quel tempo. Il Signore Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a
Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola
è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli
mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste
il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la
carne nonmgiova a nulla; le parole che io
vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non
credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non
credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho
detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel
momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon
Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Giovanni 6, 59-69
Questo testo è la conclusione del discorso sul pane, che occupa tutto il cap.
6, fatto nella sinagoga di Cafarnao, sviluppo e spiegazione del gesto dei pani
che sono stati spezzati per 5000 persone al di là del lago. Il filo logico è
molto complesso e molto tortuoso. Gli ascoltatori sono stati condotti dallo
stupore del pane distribuito, a chiedersi se Gesù poteva diventare un
condottiero che libera Israele. Poi sono stati condotti alla ricerca del
significato del seguire Gesù e quindi ad intravedere in Lui il vero dono di Dio
di cui la manna nel deserto era, semplicemente insieme, un gesto di misericordia
ma anche un segno. Poi sono stati condotti ad accettare che solo in Gesù esiste
il vero rapporto con il Padre. Infine si sono sentiti dire che
devono entrare in una comunione con Gesù così intima e così profonda da
assomigliare al rapporto tra chi mangia e ciò che si mangia. Gli ascoltatori
hanno tentato inizialmente di accogliere le proposte di Gesù, hanno cominciato a
reagire quando si sono resi conto che addirittura ci si contrapponeva a Mosé,
hanno avuto il coraggio di resistere fino in fondo, quando il Signore ha parlato
di: "mangiare il mio corpo e bere il mio sangue". Ma, alla fine, la maggior
parte, “ molti dei suoi discepoli", stupiti di tali assurdità, al limite
dell'eresia, hanno abbandonato Gesù, pur essendo stati suoi
ammiratori entusiasti. Pur nella difficoltà le persone che lo hanno ascoltato
fino alla fine si rendono conto che Gesù sta esigendo da loro un rapporto
essenziale e unico. E si rendono anche conto, pur non comprendendo pienamente,
che Gesù li chiama al suo stesso destino, ad un progetto di vita che ha bisogno
di essere riletto alla luce dello Spirito. Tutto ciò che hanno ascoltato non va
riletto secondo la carne, che in questi casi "non giova a
nulla" e che anzi fa irrigidire, scoraggia, annebbia la lettura della Parola di
Dio e fa allontanare. Gesù garantisce che lo Spirito è capace di dar loro la
vita, che lo Spirito viene dal Padre e rende capaci di immettersi nella fede in
Gesù. Il confronto tra la carne e lo Spirito, il confronto tra la fede e
l'abbandono, il confronto tra il mangiare con Lui o il lasciarlo: la conclusione
di questo testo ci rimanda alla Eucaristia, alla possibilità di seguirlo
mangiando insieme con Lui o di abbandonarlo, al segno della comunione o al segno
del rifiuto. Il gioco tra parola di Gesù, esigente e
irreversibile, e la libertà che ci riconosce, in questo testo, pur drammatico,
si conclude, da parte dei dodici in una fiducia incondizionata in Gesù, pur
nella testimonianza di una incapacità a comprendere fino in fondo. Perciò
l'Eucaristia non è il dono per i santi, ma è il viatico per i poveri e Gesù lo
ha ripetuto con chiarezza. Essa è “il sangue dell'alleanza, versato per molti,
in remissione dei peccati" (Matteo 26,27- 28). Gesù chiede ai
12 e chiede anche a noi se vogliamo trovare altri punti di riferimento nella
nostra vita. Pietro, a nome di tutti, risponde: «Signore, da chi andremo? Tu hai
parole di vita eterna». Così questa liturgia - incomincia con la responsabilità
di un'alleanza con il Signore che libera, - continua con lo sguardo stupito di
quanto il Signore sa moltiplicare i suoi doni per tutti, - conclude nella
fiducia di essere radunati e accolti, se ci fidiamo, anche se peccatori poveri. |