
VIII Domenica dopo Pentecoste
18 luglio 2010 –
Matteo 22, 15-22
Riferimenti : Samuele 8, 1-22a - Salmo 88 - Timoteo 2, 1-8
| Signore, Dio della mia salvezza, davanti a
te grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l'orecchio al mio lamento. Io sono colmo di sventure, la
mia vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che
scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza. È
tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel
sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano
ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle
tenebre e nell'ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con
tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei
compagni, mi hai reso per loro un orrore. Sono prigioniero senza
scampo; si consumano i miei occhi nel patire. Tutto il giorno ti
chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani. |
Samuele 8, 1-22a
In quei giorni. Quando Samuele
fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli. Il
primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano
giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle
sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano
regali e stravolgevano il diritto. Si radunarono allora tutti
gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero:
«Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue
orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice,
come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la
proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia
nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore
disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti
dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me,
perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno
in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando
me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te.
Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e
annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro». Samuele
riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva
chiesto un re. Disse: «Questo sarà il diritto del re che regnerà
su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri
e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li
farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad
arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per
le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche
le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie.
Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti
più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e
sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi
cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i
vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi
lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi
diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che
avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Il
popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: «No! Ci
sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il
nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e
combatterà le nostre battaglie». Samuele ascoltò tutti i
discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. Il
Signore disse a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di
loro».Questo testo segna
il passaggio dall'epoca dei "giudici" a quella dei "re". Al
centro di tale passaggio ci sono la presenza e le vicende stesse
della famiglia di Samuele. Samuele rifiuta istintivamente la
richiesta che il popolo fa di avere un “re” visibile, in
sostituzione di un “giudice” e, nella sua sensibilità intravvede
il rifiuto della regalità di Dio (v7) poiché, con ostinazione,
il popolo vuole seguire l'esempio degli altri popoli. Ma i tempi
sono cambiati, e gli interventi temporanei e occasionali dei
giudici, in relazione a scontri tra nemici sul territorio,
lasciano il posto alle altre più drammatiche guerre e a scontri
tra potenze più grandi per cui si sente la necessità di un
potere stabile e continuativo, forte, tempestivo. Il Signore
acconsente a malincuore (vv 8-9) e obbliga Samuele ad avvertire
Israele per tutti gli inconvenienti che la monarchia comporterà
(vv 10-18). Ci sono stati alcuni precedenti già nella storia di
Israele nel tentativo di eleggersi un re nella persona di
Gedeone (Gdc 8,22-23,) e sfociato nella tirannia di Abimelech.
Anche i figli di Samuele, come i figli del sommo sacerdote Eli
che aveva accolto da bambino Samuele, non si comportano con
correttezza poiché si fanno corrompere dal danaro. Così il
popolo non crede tanto nella istituzione temporanea di un
giudice, ma nella costituzione di un governo, retto da un re,
che coordini e comandi e con il diritto della successione.
Samuele indica tutte le pretese che il re e la struttura regale
comporteranno: il re pretenderà terre, lavoro, tempo, persone
(uomini e donne), decime sulle sementi, sulle vigne, sulle
greggi. Tutto questo sarà reclutato o sequestrato per sviluppare
e ingigantire sempre più il potere del re, della struttura dei
suoi funzionari, del suo esercito. Il popolo rifiuta la proposta
di Samuele di ripensare e, piuttosto, insiste perché "saremo
anche noi come tutti i popoli". In fondo sono proprio questi lo
sbaglio e la dimenticanza. La gente d’Israele non ricorda di
essere un popolo speciale, scelto dal Signore. Il Signore
incoraggia, comunque, Samuele ad ascoltare le richieste del
popolo. E Dio non si tira indietro. Egli stesso si occuperà di
scegliere via via i re: Saul, Davide, Salomone, infondendo il
suo Spirito ma, nello stesso tempo, obbligandoli ad essere
responsabili delle proprie azioni. Da una discendenza regale
nascerà il Messia. |
Timoteo 2, 1-8
Carissimo, 1raccomando dunque,
prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e
ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti
quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita
calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3Questa è cosa
bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale
vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla
conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo
anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù,
6che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa
testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, 7e di essa io
sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non
mentisco –,maestro dei pagani nella fede e nella verità. 8Voglio
dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo
mani pure, senza collera e senza polemiche.
S. Paolo invia a Timoteo una lettera affettuosa per aiutarlo
nella sua responsabilità, essendo a capo della comunità
cristiana. E’ questa una delle tre lettere dette “pastorali” e
la più corposa (due a Timoteo e una a Tito). Dopo le istruzioni
sul compito del maestro, si passa ai suggerimenti sulla
preghiera (tra i primi testi della Chiesa primitiva). - La
preghiera è universale. “Prima di tutto, che si facciano
domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli
uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere” (4
forme di preghiera e 3 riferimenti: possiamo concludere con il
7, cielo e terra, l’universo dell’uomo e del mondo?).” Il
giudaismo rabbinico distingueva 10 forme di preghiera, ma si
rivolgeva a Dio per i connazionali. La preghiera cristiana è
“per tutti gli uomini” (2,4) e i cristiani sono chiamati alla
collaborazione perché tutti possano salvarsi. - Si prega quindi
per l’imperatore. Nel mondo pagano l’imperatore era divinizzato
e lo si pregava come salvatore. Qui invece si prega Dio per lui
e per chi ha potere perché loro compito è provvedere al bene
comune (“perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla”
2,2), senza lasciarci ingolosire da interessi di parte.
Così ogni persona può vivere “una vita dignitosa e dedicata
a Dio”. Il compito fondamentale della politica, infatti,
è vivere nella pace, e la pace ebraica è lo Shalom (armonia),
avendo ciò che basta per vivere: rendere la vita “serena e
tranquilla per tutti”. - Benedetto XVI ci ricorda nella
Caritas in veritate (l’ultima enciclica sociale).
“L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali
mediante la semplice estensione della logica mercantile.
Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune,
di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità
politica” (CV 36). La politica, perciò, - è fondamentale perché
a coloro che si trovano in maggiore difficoltà siano
riconosciuti i diritti primari; - suppone consapevolezza e
solidarietà: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale
al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è
l’avarizia” (don Milani, Da Lettera a una professoressa);.
- deve avere il coraggio di sognare un futuro migliore per
tutti, lavorando nella concretezza dei problemi dell’oggi; - è
una delle più alte forme di carità” (Paolo VI). La vita del
mondo è responsabilità di tutti gli adulti: vanno approfondite
l’analisi dei bisogni e la solidarietà ampia degli interventi.
Non si comincia maledicendo, ma pregando per avere ogni giorno
uno Spirito nuovo, si opera nelle scelte morali, si incoraggiano
i migliori, i più competenti, i più saldi, accompagnando coloro
che vi si incamminano perché lottino per un “bene che sia sempre
più bene per tutti”. Lo sfondo teologico è quello dell’unicità
di Dio, di Gesù che è mediatore universale e la garanzia che Dio
vuole salvi tutti gli uomini. |
Matteo 22, 15-22
In
quel tempo. I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come
coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri
discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e
insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché
non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no,
pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:
«Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo».
Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e
l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro:
«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A
queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.
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| La moneta "denarius" d'argento recante l'effige e il nome di Tiberio
Cesare Augusto |
Matteo racconta la discussione che farisei ed erodiani impostano con Gesù suun problema quanto mai delicato e pericoloso. Gesù può incappare in risposte,
comunque in contraddizioni, e quindi in accuse infamanti che avrebbero
giustificato una condanna o un rifiuto: o screditarlo davanti al popolo o
accusarlo davanti alle autorità politiche di occupazione. Siamo nell’ultima
settimana di vita di Gesù: egli si trova nel tempio di Gerusalemme. Ogni
persona, dai 12 anni (se donna) o 14 (se uomo), fino ai 65 anni, deve pagare
all’erario romano un danaro d’argento all’anno (testatico), equivalente
ad una giornata di lavoro. Per esigere questa tassa si sono fatti i censimenti,
considerati, perciò, strumenti di dominio, potenza e sfruttamento. Gli
interlocutori di Gesù iniziano adulando la correttezza e la libertà del
maestro, ma gli lanciano anche una sfida. L’imperatore rivendica una
padronanza che dalla dimensione politica si riflette sul culto religioso,
facendo dire agli zeloti che bisogna ribellarsi con la lotta armata. I farisei,
invece, dicono: “l’unico Signore è Dio, ma non si deve arrivare alle scelte
degli zeloti”. Gli erodiani sono invece apertamente collaborazionisti con i
romani e quindi facilmente delatori all’autorità politica. Il Vangelo ricorda:
hanno, tutti insieme, “tenuto consiglio” e questo è un linguaggio che
accompagnerà il processo e la morte del Signore. Gesù smaschera la malvagità
della domanda, ma non si sottrae. Lo hanno chiamato “maestro” e si sente
in dovere di rispondere. Chiede una moneta (che Gesù non ha) ma che gli
interlocutori trovano facilmente, mostrando però che usano normalmente le monete
pagane e che disobbediscono alla legge poiché, nel tempio, una immagine umana
scolpita, anche se su una moneta, lo profana. Ma la moneta è essenziale per la
ricchezza, il commercio, la stabilità delle strade, la pace che tutti
utilizzano. Allora “Voi pagate, restituendo (questo è il vero significato
del testo) a Cesare quello che è opera dell’impero” e quindi, giustamente pagate
le tasse per un servizio che tocca tutti. Non c’è ragione per un’evasione
fiscale e questo esaurisce il rapporto con l’impero. Resta tutto l’altro.
“Restituite a Dio quello che è di Dio” che è l’uomo, che porta l’immagine di
Dio, come la moneta l’immagine dell’imperatore. E si restituisce a Dio facendo
la sua volontà, offrendo amore a chi Dio ama, migliorando il mondo che il
Signore ha fatto con sapienza come dono ricostruendo, operando, guarendo e
perdonando. Se sfrutti, se schiavizzi, se rifiuti, se strumentalizzi, se domini
non restituisci a Dio la bellezza della sua creazione. |