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IX Domenica dopo Pentecoste
25 luglio 2010 –
Matteo 22, 41-46
Riferimenti : Samuele 16, 1-13 - Salmo
88 - Timoteo 2, 8-13
| Signore, Dio della mia salvezza, davanti a
te grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l'orecchio al mio lamento. Io sono colmo di sventure, la
mia vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che
scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza. È
tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel
sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano
ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle
tenebre e nell'ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con
tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei
compagni, mi hai reso per loro un orrore. Sono prigioniero senza
scampo; si consumano i miei occhi nel patire. Tutto il giorno ti
chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani. Compi forse
prodigi per i morti? O sorgono le ombre a darti lode? Si celebra
forse la tua bontà nel sepolcro, la tua fedeltà negli inferi?
Nelle tenebre si conoscono forse i tuoi prodigi, la tua
giustizia nel paese dell'oblio? Ma io a te, Signore, grido
aiuto, e al mattino giunge a te la mia preghiera. Perché,
Signore, mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto? Sono
infelice e morente dall'infanzia, sono sfinito, oppresso dai
tuoi terrori. Sopra di me è passata la tua ira, i tuoi spaventi
mi hanno annientato, mi circondano come acqua tutto il giorno,
tutti insieme mi avvolgono. Hai allontanato da me amici e
conoscenti, mi sono compagne solo le tenebre. |
| Samuele 16, 1-13
In quei giorni. Il Signore disse a Samuele: «Fino a quando
piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su
Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse
il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re».
Samuele rispose: «Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi
ucciderà». Il Signore soggiunse: «Prenderai con te una giovenca
e dirai: “Sono venuto per sacrificare al Signore”. Inviterai
quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti farò conoscere quello
che dovrai fare e ungerai per me colui che io ti dirò». Samuele
fece quello che il Signore gli aveva comandato e venne a
Betlemme; gli anziani della città gli vennero incontro
trepidanti e gli chiesero: «È pacifica la tua venuta?». Rispose:
«È pacifica. Sono venuto per sacrificare al Signore.
Santificatevi, poi venite con me al sacrificio». Fece
santificare anche Iesse e i suoi figli e li invitò al
sacrificio. Quando furono entrati, egli vide Eliàb e disse:
«Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore
replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta
statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede
l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il
cuore». Iesse chiamò Abinadàb e lo presentò a Samuele, ma questi
disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». Iesse fece passare
Sammà e quegli disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e
Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di
questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?».
Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a
pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo,
perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui».
Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi
e bello di aspetto. Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!».
Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi
fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel
giorno in poi. Samuele si alzò e andò a Rama.
Il Signore vuole salvare il suo
popolo e per questo fa scelte adatte a riportare ad una retta
via la dignità del sovrano. Il re, infatti, è l’autorità che
rappresenta visibilmente la giustizia di Dio e il suo comando;
così anche il suo comportamento di re, oltre i suoi giudizi,
diventano esemplari per il popolo che egli governa ma che è,
tuttavia, sempre, il popolo di Dio. Siamo, circa, nell’anno 1020
a.C. e Saul, il re legittimo, si è mostrato un re infedele. E’
necessario un capo che aiuti il popolo a riunire le proprie
forze, a superare gli antagonismi e sostenga lo sforzo comune
per combattere il pericolo costante di schiavitù, sempre più
invadente da parte dei filistei. Dio interviene risolutamente e
ordina a Samuele di partire. Nella storia sacra l'ordine di
partire viene pronunciato sempre quando Dio decide di creare
qualcosa di nuovo nella storia del suo popolo (Abramo, Mosé,
Giona, i profeti...). Ma questa totale gratuità di Dio mette in
crisi i programmi e le precauzioni umane affinché sia lo Spirito
che verifichi e che agisca. Così il Signore sceglie, ma non
secondo le ingenue valutazioni umane che ripensano alla dignità
di un re come a colui che deve avere una prestanza fisica
notevole. Il Signore sceglie ciò che è piccolo (in questo caso è
Davide, un ragazzo). "Il Signore guarda il cuore" (v 7). E il
cuore richiama tutte le dimensioni dell'esistenza umana: i
sentimenti, le passioni, la conoscenza, il discernimento e il
giudizio, la volontà, la coscienza, secondo la Bibbia, hanno nel
cuore la loro sede naturale. Il cuore è il centro vitale della
persona nel rapporto con la realtà: le cose, gli altri uomini.
Il Signore giudica il valore di un uomo dal suo cuore. Samuele,
il sacerdote-profeta, che non è in sintonia con queste logiche
di Dio, deve rivedere i propri criteri. E, infatti, i criteri
delle elezioni di Dio sfuggono alle previsioni: la primogenitura
(Giacobbe ed Esaù), l'aspetto fisico (Davide è un ragazzo), il
livello di istruzione (gli apostoli non sono istruiti), la
capacità dialettica (Mosé: " non so parlare"), l'età (Geremia:
"sono giovane" ) ecc. Il centro di questa scelta è un piccolo
villaggio povero: Betlemme. E la persona a cui il Signore si
rivolge è un uomo sconosciuto, che però verrà identificato come
capostipite della genealogia di Davide: Iesse. |
Timoteo 2, 8-13
Carissimo, Ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti,
discendente di Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il
quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la
parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per
quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la
salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche
vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo
rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;se siamo infedeli, lui
rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
La seconda lettera a Timoteo è
scritta, pare, in una situazione di prigionia diversa da quella
universalmente conosciuta a Roma (anni 61-63). Questa,
probabilmente, è l'ultima prigionia di Paolo iniziata attorno
all'anno 65. Timoteo inizia il suo cammino di discepolo molto
presto e cresce generoso e benvoluto. Diventa, ancor giovane,
responsabile della piccola comunità cristiana di Efeso, ma sta
verificando uno sfilacciamento tra cristiani poiché le iniziali
persecuzioni, la mentalità corrente, la fatica a mantenersi
fedeli a Cristo rallentano e fanno diradare la partecipazione.
In questo breve testo, allora, l’autore vuole sostenere chi è
provato e incoraggia Timoteo stesso a “soffrire con me per il
Vangelo”(v.8). - Timoteo ha ricevuto un dono, un favore
(“carisma”) da parte di Paolo come Giosuè ricevette da Mosè lo
Spirito di saggezza. E questo è avvenuto mediante
"l'imposizione delle mani", allo scopo di essere testimone e
forza per i fratelli nella fede. - Tale responsabilità richiede
grande solidità, saggezza e spirito di amore perché quelli che
debbono essere guidati sono bisognosi, anche se si mostrano
difficili e maldisposti. - Timoteo non ci si deve vergognare
della testimonianza da rendere a Gesù perché dire di Gesù non è
facile: è, infatti, strano parlare di un Dio crocifisso e
risorto. E non ci si può vergognare neppure di Paolo, discepolo
in carcere il cui messaggio si potrebbe prestare ad ambigue
interpretazioni. - Il messaggio di Gesù non è modificabile.
Bisogna continuare ad essere fedeli al Vangelo e all'Apostolo
che si è fatto portavoce della verità che ha ricevuto da
custodire. - La verità evangelica è come uno scrigno ("deposito")
prezioso, consegnato ad altri, che deve ritornare intatto
(come si usa nella "custodia" dei beni). - Questo compito
deve essere svolto dal credente, ricco dello Spirito, che aiuta
a sviluppare e concretizzare la Parola di Dio nella vita.
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Matteo 22, 41-46
In
quel tempo. Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che cosa
pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». Disse loro:
«Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: Disse
il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo
figlio?». Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò
più interrogarlo.
Il capitolo 22 di Matteo è molto complesso. Riporta, prima di tutto, due
parabole riunite in una: il convito nuziale del figlio del re (22,1-10) e la
successiva problematica dell'abito che un ospite, pur raccattato all'ultimo
momento ai crocicchi delle strade insieme a tutti gli altri e trattato
regalmente, non ha l'abito adatto (che probabilmente veniva regalato prima di
mettersi a tavola 22,11-14). Queste due parabole aprono scenari nuovi sul
futuro, attraverso la proclamazione della parola di Gesù che invita a
intravvedere i progetti di Dio. Così Matteo prosegue con quattro discussioni che
rappresentano, con gruppi diversi, il tentativo di smantellare la novità che
Gesù porta: la liceità del tributo a Cesare (22,15-22), il problema della
risurrezione dei morti (22,23- 33), l'individuazione del comandamento più
importante della legge (22,34-40), la discussione sul Messia che, in questo
caso, è posta direttamente da Gesù ai suoi interlocutori farisei (22,41-46). Il
Vangelo di oggi sviluppa appunto questa ultima discussione posta in domanda: "Di
chi è figlio il Cristo?", rimandando alla concezione diffusa al mondo ebraico
che il Cristo discende dalla stirpe di Davide. Alla risposta corretta e corrente
“Il Messia discende da Davide”, Gesù rimanda l’interrogativo: “Ma allora come si
concilia la preghiera del salmo 110 (da tutti considerata di Davide) in cui
Davide parla del suo discendente come del suo Signore?” Il testo chiaramente
ricorda la glorificazione del Messia che vince i nemici e siede alla destra di
Dio. Il brano, che probabilmente costituì un grande testo di ricerca della prima
comunità cristiana, vorrebbe chiarire che esiste una differenza tra l'attesa del
Messia come discendente di Davide e l'immagine del "Figlio dell'uomo" a cui fa
riferimento il profeta Daniele, richiamando il potere e la potenza di chi siede
alla destra di Dio (Daniele 7,13-14). È la prima volta che Gesù pone in termini
così precisi (al di fuori della sua cerchia di discepoli) l'interrogativo sul
Messia e quindi su di sé, disorientando il gruppo degli esperti della Scrittura
con l'analisi del salmo 110 e preparando la risposta che Gesù darà durante il
suo processo davanti al Sinedrio (Mt26,64) in cui si richiamerà con chiarezza
alla profezia di Daniele e quindi a questo salmo. Anche nel seguito di Gesù
oltre che nell’attesa d’Israele il riferimento al figlio di Davide ha
enfatizzato particolarmente l'attesa del Messia come di un re guerriero e
liberatore, allontanandolo sempre più dal significato che Gesù aveva voluto
dare, e rendendo quindi sempre più difficile accettare le scelte che Gesù ha
fatto. Questo problema a noi sembra lontano, eppure ci pone in termini di
chiarezza l'interrogativo: "Chi è Gesù per me? Qual è il mio rapporto con lui?
Quali sono le mie attese, quale la mia vocazione di credente nel mondo?” E a
questi interrogativi segue, in corrispondenza, anche una immagine di Chiesa a
cui faccio riferimento, visto che Gesù ne è il centro. Cerco una comunità
vittoriosa, capace di potenza e di forza, inattaccabile oppure mi sforzo di
costituire una comunità accogliente, capace di misericordia e cosciente dei
propri limiti, libera e capace di ricerca? A seconda di come si risolvono questi
interrogativi sul volto della Chiesa, il volto di Gesù offre messaggi e offre
salvezza. |