Domenica di Pentecoste
23 maggio 2010

Giovanni. 14,15-20
Riferimenti : Atti degli Apostoli. 2, 1-11 - Salmo 103 - Corinzi. 12, 1-11

Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia.  Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode?  Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in ogni tempo.  Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza,  perché vediamo la felicità dei tuoi eletti, godiamo della gioia del tuo popolo, ci gloriamo con la tua eredità.  Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi.  I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso.  Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza.
Atti degli Apostoli. 2, 1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Negli Atti degli Apostoli, Luca ricorda che la discesa dello Spirito Santo avviene “quando sta per finire il giorno di Pentecoste (siamo alle nove del mattino, ma la giornata finisce al tramonto). E’ la festa delle sette “Settimane” celebrata dopo 50 giorni (7x7) dall’offerta delle primizie del grano e quindi dalla Pasqua. In origine si celebrava la mietitura del frumento (Es 23,16), ma, recentemente, era stata vista in collegamento alla promulgazione della legge del Sinai. Gli Ebrei erano orgogliosi di aver ricevuto la Legge. I rabbini dicevano che sul Sinai, quando Dio aveva dato la legge, le sue parole avevano preso la forma di 70 lingue di fuoco per indicare che la Toràh (la legge) era destinata a tutti popoli (che in quel tempo si pensavano appunto 70). Ma questa legge fu accolta solo dal piccolo popolo liberato da Dio dall'Egitto. Il racconto di Luca sviluppa la discesa dello Spirito Santo che rinnova i prodigi del Sinai e li supera. I rapporti con Dio non si impostano più con la legge mosaica, ma con l’azione dello Spirito che scende e trasforma ciascuno secondo la parola dei profeti. Qui c'è una legge nuova che è la legge dello Spirito. Essa non si traduce in parole ma, prima di tutto, nel dialogo tra Dio e il cuore nuovo. La vita di Dio, attraverso lo Spirito, entra nella persona che lo accoglie e la trasforma rendendola capace di fare frutto, producendo le opere di Dio. San Giovanni, nella sua prima lettera (1Gv 2,27) ricorda che il cristiano "non ha più bisogno che qualcuno lo ammaestri", non ha più bisogno di altra legge. Al fragore molte persone accorrono e la prospettiva dell’universalità si definisce con l’elenco di popoli a cui appartengono i primi interlocutori. Sono però tutti ebrei o al massimo proseliti, cioè pagani di nascita, convertiti al giudaismo. La missione della Chiesa si apre ad ogni popolo, cominciando da Gerusalemme. I discepoli annunciano lo stesso messaggio di salvezza, ma lo Spirito lo rende comprensibile a tutte le tradizioni e culture. Non è perciò il ritorno alla lingua originaria di Babele (Gen 11,1-9) che si rivelò strumento di potenza e di potere in seguito alla ribellione a Dio, e che perciò provvidenzialmente, diventando incomprensibile, non permise più la coalizione contro Dio e quindi lo sfruttamento e il dominio idolatrico sul mondo. Il nuovo linguaggio è un dono per realizzare l’incontro di salvezza per tutti gli uomini che sono resi capaci di udire e di comprendere la proclamazione delle “grandi opere di Dio” e la nuova parola creatrice. La pluralità non è caos o incomprensione come al tempo della Torre di Babele: nell’unico Spirito il moltiplicarsi delle espressioni e degli idiomi significa la ricchezza e il dono di Dio. Egli fa incontrare la salvezza, mostrandosi ai popoli con il suo volto sempre nuovo.

 Corinzi. 12, 1-11
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

S. Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, intende chiarire il valore dei doni (“carismi”) di cui è dotata questa comunità, suggerendo che l’origine è lo Spirito Santo e la finalità è “l’utilità comune” (v 7) e proprio questo testo dovrebbe essere a capo di ogni Consiglio Pastorale, di ogni proposta di Comunità, come stile di vita. “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”. C’era un rimpianto per i fenomeni estatici che nascevano dalle pratiche pagane e c’era il tentativo di attribuirsi maggior valore e maggiore capacità e dignità rispetto agli altri per il possesso di queste manifestazioni straordinarie. La pretesa di esibizione, la volontà di sentirsi migliori e più ricchi degli altri filtrano anche nelle Comunità cristiane di allora e di oggi. S. Paolo mostra la vera sorgente dei doni che scaturiscono dalle tre Persone divine: lo Spirito, il Signore che per Paolo è Gesù risorto e Dio indicato come il Padre (1,3). Il dispensatore nella comunità resta comunque lo Spirito che la arricchisce con la sua pienezza, offrendo questi “doni” (“carismi” da caris: grazia) in vista di una crescita globale. Viene fatto l’elenco dei “carismi” costituito da nove elementi: è la lista più lunga che si trovi nelle lettere (1 Cor 12, 28-30; 14,26; Rm 12,6-8; Ef 4,11). Il linguaggio della scienza e il linguaggio della sapienza sono strettamente legati alla comprensione del mistero cristiano. La fede, in questa situazione, non è tanto l’adesione personale all’annuncio cristiano, ma una fondamentale fiducia nel compimento dei miracoli (Mt 17,20). I miracoli e le guarigioni distinguevano la comunità cristiana per l’attenzione ai malati e per la confidenza del credente con la verità di Dio. La profezia costituisce il contenuto del cap. 14: è la capacità di convertire, esortare, persuadere con il dono della Parola alla costruzione della Comunità. Si parla poi del discernimento che aiuta ad operare un giudizio critico per aiutare le persone a scegliere; si parla infine della glossolalia (il parlare in lingue incomprensibili: S. Paolo non stima molto questo dono: 14,6-11) e della interpretazione delle lingue. Tutto aiuta a costruire, ma bisogna arrivare al carisma più alto: la carità, che arricchisce ogni realtà in armonia e ridimensiona ogni altro dono. Essa incoraggia alla gratuità e al riconoscimento dei doni, come offerta di Dio per operare a beneficio di tutti (12,31).

Giovanni. 14,15-20

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”. In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”.

Entrata del cenacolo
Nel Vangelo di Giovanni leggiamo un breve brano, tratto dai discorsi di addio di Gesù. Il contesto ha sviluppato l'importanza della conoscenza e della fede in Lui. I discepoli sanno che Gesù sta per lasciarli. Perciò sono tristi e disorientati perché prevedono solitudine e scoraggiamento. Gesù promette di non lasciarli soli e, mentre garantisce che continuerà il loro rapporto poiché "il mondo non mi vedrà più; ma invece mi vedrete perché io sono vivo e voi vivrete" (versetto 19), garantisce anche il dono dello Spirito che invierà. Sarà "un altro Paraclito" (tradotto normalmente come consolatore). Anticamente non c'era l'istituzione degli avvocati e ognuno doveva difendersi da solo cercando di portare testimoni che lo scagionassero dalle accuse. Tuttavia accadeva che qualcuno, pur non essendo colpevole, non riusciva a provare la sua innocenza, oppure che pur avendo commesso un crimine, finiva col meritare il perdono. Per costui rimaneva un'ultima speranza: che in mezzo all'assemblea ci fosse un uomo onorato da tutti per la sua integrità e che questa persona, pur senza pronunciare alcuna parola, si alzasse e andasse a porsi al suo fianco. Questo gesto equivaleva ad una assoluzione. Nessuno avrebbe osato chiedere la condanna. In quel caso Paraclito significa: "colui che è chiamato a fianco di chi si trova in difficoltà. Giovanni, nella sua prima lettera, ricorda: "figlioli miei vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo giusto" (1 Giovanni 2,1). Gesù è presso il Padre non per difenderci da un Dio giustiziere, ma per proteggerci contro il nostro accusatore. Gesù riduce il peccato all’impotenza. Lo Spirito Santo “un altro paraclito” non sostituisce Gesù, ma svolge una nuova missione. Egli ci ridà continuamente la fiducia in Gesù risorto, egli combatte contro il male del mondo. Ma questo mondo è anche nel nostro cuore che deve continuamente convertirsi alla fiducia di Gesù. Lo Spirito Santo è lo spirito della verità perché si impegna, dice Gesù, in un'opera grandiosa. Lungo i secoli lo Spirito custodirà il messaggio di Gesù e lo manterrà senza corruzione perché possa diventare speranza per tutti i tempi e per tutti i popoli. Così é necessario che lo Spirito Santo venga ad arricchire e ad approfondire l'incontro di fede di una comunità che cammina nel tempo. Il testo inizia e finisce con il riferimento all'amore, amore-dono, amore di comunione. Si parla di "comandamento", ma qui non esprime un significato legale (obbligo-precettocomando), bensì l'esigenza profonda dell'amore sulla linea del Decalogo, che nel suo valore profondo, é la Parola di Dio in dieci facce diverse, carica di vita e ricca della sapienza impensabile di Dio. La Parola e la preghiera di Gesù comunicano il dono dello Spirito. Esso rafforza la fede, ora che Gesù non si percepisce più, ci ripropone la ricchezza che Gesù ha portato, ci aiuta ad approfondirla rileggendola nelle esigenze del cammino della storia, nelle attese, nelle aspirazioni della maturazione dei popoli, così fino alla fine. Egli ci obbliga ad essere attenti al nostro presente, a richiamarci il passato per ciò che è essenziale, ci impegna nell'umiltà a capire in ogni tempo la volontà di Dio, ci tiene lontani dagli irrigidimenti che rischiano di diventare fondamentalismi, musei e senza vita, chiusure sugli uomini e le donne che incontriamo. Il dono dello Spirito non si può inscatolare, è sempre più grande di noi, ha sempre bisogno di essere interpretato con pazienza e con fiducia, ha sempre bisogno di confronti e di ricerca. Ovviamente diventa indispensabile questa coscienza dello sviluppo pastorale della Chiesa e di ogni comunità cristiana. Con lo Spirito sono presenti Gesù e il Padre: si realizza la pienezza del Dio Trinitario.