LAZZARO, L'AMICO DI  GESU', SI AMMALA E MUORE
V DOMENICA DI QUARESIMA

21 Marzo 2007

Giovanni 11,1-53
Riferimenti : Deuteronomio 26, 5-11- Salmo 104   - Romani 1, 18-23a

Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto. Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva come un manto, le acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia sono fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra. Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti; ne bevono tutte le bestie selvatiche e gli ònagri estinguono la loro sete. Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le fronde. Dalle tue alte dimore irrighi i monti, con il frutto delle tue opere sazi la terra.
Deuteronomio 26, 5-11
In quei giorni. Mosè disse: Ascolta Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: "Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato". Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia.

La Festa delle Settimane o della mietitura era un particolare tempo di gioia che si esprimeva con i doni che gli agricoltori portavano in offerta. Ogni ebreo sa di aver ricevuto tutto dal Signore. Offrire i doni e le primizie è un atto di riconoscimento e di ringraziamento. Il gesto si richiama al dono della terra da parte di Dio e all’unità del popolo attorno alla festa del Dio liberatore, che si offre nel luogo della sua presenza (santuario). Va sempre ricordato che questo testo, riferito a Mosè, ma scritto dopo secoli, in realtà ripensa alla storia del suo popolo che ha accettato la legge e la sua ubbidienza, portando frutti che sono nella storia del popolo. L’offerta costituisce una liturgia che si carica di significati e mette in rapporto il fedele col Signore per questo ritorno riconoscente di ciò che è il nuovo prodotto della terra. La liturgia diventa piena attestazione di festa nelle parole che accompagnano l’offerta. In questo caso la fede è racconto delle meraviglie e novità che Dio ha fatto. Ogni ebreo perciò riconosce che la sua origine non è nobile né meritevole "mio Padre era un Arameo errante". Tuttavia arrivato in Egitto, come forestiero e in un piccolo gruppo (5), diventò un popolo forte. Il faraone "che non aveva conosciuto Giuseppe" si sentì coinvolto nelle dinamiche di potere che tendono ad eliminare e nello stesso tempo a sfruttare colui che, sottomesso, teme diventi nemico della propria potenza. La schiavitù cadde inesorabile su questo popolo. "Gridammo al Signore" (7) e il Signore intervenne: - ascoltò la nostra voce, - vide l’umiliazione, - ci fece uscire dall’Egitto, - ci condusse in questo luogo, - ci diede questa terra.. Il numero 5, che enumera gli interventi di Dio, potrebbe essere richiamo alla legge (5 libri) che raccontano fatti e propongono sapienza. L’offerta portata al Signore è l’inizio della rivoluzione interiore che il dono e la preghiera hanno iniziato. Va ricostituita la gioia piena della liberazione insieme con il levita e il forestiero. Così, alla fine, sicuramente ci si contrappone alla schiavitù, alla solitudine, all’abbandono.

 
Fratelli, l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20 Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23 e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile.

C’è molta consapevolezza in Paolo sul ruolo di Gesù nell’umanità perduta. In questo testo si rivendica la possibilità di poter cogliere, anche da parte di pagani, alcune “perfezioni invisibili” di Dio, che manifestano l’eterna potenza e divinità . E’ un grande atto di fiducia nella capacità di cogliere e capire il mondo di Dio, attraverso le opere che l’uomo vede compiere e il dono del creato. Quindi c’è la coscienza che la nostra stessa ragione singola e di popoli ha strumenti per oltrepassare l’immagine, la natura e la realtà e andare all’origine di tutta questa salvezza: la potenza che mostra la divinità. Il Creato, così, si aprirebbe alla conoscenza della bellezza, esigendo, però, anche una comprensione più matura della propria grandezza ed unità. Mantenere uno sguardo globale sul mondo e le opere dell’uomo dovrebbe premettere di superare quella infinita serie di dei che presiedono e originano realtà diverse. Paolo, nella sua esperienza, si sente profondamente deluso: i popoli si sono perduti nei loro vaneggiamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata”. Paolo è entrato nella conoscenza delle grandi sapienze antiche greca e romana, ma ritiene, per questa mancanza di riconoscimento della potenza di Dio, che tutti i sapienti sono diventati stolti. In fondo, tutto il mondo che è frutto di bellezza e unità, non può essere equivocato in suggestioni ed impressioni. La riflessione di Paolo unisce e sperimenta la fragilità delle coerenze e si rende conto della forza di influssi culturali, ambientali, psicologici. Qui si parla di segni di Dio e nella vita ci sono tanti segni per noi. Dalla Scrittura alla scoperta di coerenza delle persone, da suggerimenti vocazionali a responsabilità di affrontare situazioni in cui possiamo interferire. Inoltre ci sono “segni di Dio” che il Concilio ha richiamato come suggerimento alla Comunità Cristiana, per capire cole lo Spirito abita la storia e per intravedere orientamenti e piste impensabili. Scoprire i segni di Dio dovrebbe essere importante nella comunità Cristiana, poiché lo Spirito soffia dove vuole. Con chi non è credente, vale sempre l’impegno operoso di coerenza che aiuta tutti ad orientarci o almeno a confrontarci.

Giovanni 11,1-53

S'era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il paese di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che profumò con unguento il Signore e ne asciugò i piedi coi suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro che era ammalato. Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: «Signore, colui che tu ami è malato». Udito ciò, Gesù disse: «Questa malattia non porta a morte ma serve per la glorificazione di Dio, perchè per essa sia glorificato il Figlio di Dio». Gesù amava Marta e la sorella di lei e Lazzaro. Ma quando udì che questi era malato, si fermò ancora due giorni nel luogo dov'era. Poi disse ai discepoli: «Torniamo in Giudea ». Gli osservarono i discepoli: «Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti, e tu vuoi tornare là di nuovo?». Rispose Gesù: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perchè egli vede la luce di questo mondo; ma se uno cammina di notte, inciampa, perchè gli manca la luce». Disse queste cose e poi aggiunse: «Lazzaro, l'amico nostro dorme, ma vado a risvegliarlo ». Allora i discepoli gli dissero: «Signore, se dorme, guarirà». Ora Gesù aveva parlato della morte di lui, ma quelli avevano creduto parlasse del riposo, del sonno. Allora Gesù disse loro chiaramente: «Lazzaro è morto, e io sono contento per voi di non essere stato là, affinchè voi crediate. Ma andiamo da lui». A questa parola Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi e moriamo con lui. » Gesù dunque, al suo arrivo, trovò che Lazzaro era già stato sepolto da quattro giorni. E poichè Betania dista da Gerusalemme soltanto quindici stadi, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle del fratello. Marta dunque, appena seppe che Gesù stava arrivando, gli andò incontro. Maria invece se ne stava dentro casa. Disse Marta a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma anche ora so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo concederà». Le disse Gesù: «Tuo fratello risorgerà». E Marta: «Lo so che risorgerà nella risurrezione, nell'ultimo giorno». Le rispose Gesù: «lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo? ». Rispose: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, colui che doveva venire nel mondo ». E, detto questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole sottovoce: « Il Maestro è qui e ti chiama». A queste parole Maria subito si levò e gli andò incontro. Gesù non era ancora entrato nel vil­laggio, ma si trovava ancora nel luogo dòve Marta l'aveva incontrato. I Giudei che erano con lei in casa e la confortavano, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando che andasse al sepolcro a piangere. Quando Maria arrivò al luogo dov'era Gesù, al vederlo cadde ai suoi piedi ed esclamò: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». Gesù, vedendola piangere e con lei piangere i Giudei che l'accompagnavano, fremette in cuor suo e si turbò. Disse: «Dove l'avete deposto? ». Gli dicono: «Signore, vieni a vedere ». E Gesù pianse. Perciò i Giudei dicevano: «Guarda come lo amava! ». Ma alcuni di loro dicevano: «E non poteva costui che ha aperto gli occhi al cieco far sì che questi non morisse? ».  Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, venne al sepolcro: era una grotta contro la quale stava appoggiata una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra». E Marta, la sorella del morto, gli osserva: «Signore, già puzza, son quattro giorni che è sepolto ». Gesù rispose: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? ».  Tolsero dunque la pietra, e Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Sapevo bene che tu mi ascolti sempre: ma così ho parlato per la folla che mi circonda affinchè credano che Tu mi hai mandato». Detto questo, a gran voce gridò: «Lazzaro, vieni fuori! ». E il morto uscì legato ai piedi e alle mani da bende, e con la faccia avvolta in un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».  Molti dei Giudei venuti da Maria, quando videro ciò che egli aveva fatto, credettero in lui.

 

Tomba di Lazzaro
Il soggiorno in Perea avrebbe potuto durare ancora qualche tempo, ma... qualcuno cade malato. Il racconto comincia in modo classico: Vi era allora ammalato un certo...'. Il malato si chiama Lazzaro, in ebraico Le'azar, diminutivo di Eleazar, Dio è mio aiuto. Egli abita a Betania, un villaggio sul versante orientale del Monte degli Ulivi, dunque vicinissimo a Gerusalemme (11, 18). Questo villaggio si chiama oggi El-Azariyeh, nome tratto da Lazzaro. Le sue sorelle sono Maria e Marta, e l'evangelista suppone che i suoi lettori le conoscano, sia attraverso la tradizione orale, sia attraverso i sinottici. Egli accenna anche al racconto dell'unzione che riferirà in 12, 1. Le sorelle di Lazzaro devono essere al corrente delle peregrinazioni di Gesù. Esse gli fanno sapere — molto educatamente, chiamandolo Signore — che il loro fratello è malato. Il ricordo della loro amicizia dimostra che il loro messaggio implica una timida domanda. Esse conoscono il suo potere di taumaturgo e gli chiedono di venire. Questa domanda non è contraria alla struttura abituale del racconto giovanneo dei miracoli (cfr. 2, 4). Gesù ha l'iniziativa ma non risponde alla domanda. Come Giovanni noterà più volte, egli lascia morire il suo amico. La morte di Lazzaro deve precedere l'iniziativa di Gesù. Questa malattia non è mortale. Per il messaggero e per le sorelle la risposta di Gesù ha un solo significato: la malattia non avrà un esito letale. Ma Gesù vuoI dire che la malattia non terminerà con la morte definitiva, ma è per la gloria di Dio. Questa gloria appare per la prima volta a Cana (2, 11), e la sua presenza è fortemente sottolineata in questo ultimo miracolo (11, 4. 40), per cui tutti i miracoli sono così situati sotto il segno della gloria. Tuttavia questa rivelazione della gloria non gode ancora della luce totale dell'Ora (12, 23. 28; 13, 31): allora il Padre diverrà visibile in tutta la sua gloria in Gesù morente-glorificato. L'evangelista sottolinea l'amicizia che Gesù ha per i personaggi di Betania allo scopo di fare meglio emergere ciò che ha di insolito la reazione di Gesù. Gesù non dà ascolto alla loro domanda implicita, egli resta ancora due giorni nel paese al di là del Giordano. Lazzaro deve morire. Poi Gesù propone ai suoi discepoli di tornare in Giudea. Non dice a Betania, ma in Giudea, nella regione in cui è minacciato di morte. I discepoli sanno immediatamente quale pericolo implichi per Gesù questo viaggio e vogliono dissuaderIo; gli ricordano che i giudei hanno tentato di lapidario (8, 59; lO, 31). Gesù risponde con una piccola parabola che ricorda 9, 4-5, con questa differenza che nella storia del cieco il paragone con la luce del giorno intende spiegare perché Gesù, nonostante l'opposizione dei giudei, ha ugualmente continuato ad agire come luce del mondo, mentre qui la parabola intende spiegare ai discepoli che egli non corre in realtà nessun pericolo finché dura il suo giorno. La parabola cede dunque nuovamente il passo alla sua interpretazione: questo giorno» non è un giorno comune, ma il giorno di Gesù (cfr. 12, 35), che termina con la notte (13, 30) o con l'Ora (7, 30. 44; 8, 20. 59; lO, 39). La notte di Gesù non è d'altronde senza opera di redenzione né di giudizio (12, 31-32; 14, 12-13). Non si tratta dunque di un ammonimento fatto ai discepoli riguardo all'oscurità: la parabola si riferisce soltanto al tempo di Gesù come esso si situa nel piano di redenzione di Dio. Gesù spiega in seguito perché ritorna in Giudea. Lazzaro dorme, dice, e i discepoli lo fraintendono. Eppure il sonno è un eufemismo molto diffuso per indicare la morte I discepoli pensano che il sonno faccia bene a Lazzaro e che non sia opportuno andare a svegliarlo. Essi vogliono a ogni costo trattenere Gesù nel paese al di là del Giordano. Ma Gesù insiste. Lazzaro è morto. Ed egli è contento per loro di non essere stato presente a Betania per guarirlo, perché adesso farà qualcos'altro. La morte di Lazzaro gli fornisce l'occasione di dare fondamenta più solide alla fede dei suoi discepoli; questo è il significato della frase: affinché crediate. Quando Gesù dichiara esplicitamente (lO, 24) che Lazzaro è morto, Tommaso osserva che è venuto a mancare il motivo di andare in Giudea. Tommaso - il cui nome semitico significa gemello, in greco Didimo, e che è così chiamato in questo punto, a favore dei lettori di Giovanni e forse anche perché era meglio conosciuto sotto questo nome negli ambienti greci - Tommaso dà prova di molto realismo; egli ama attenersi a ciò che è visibile e tangibile (14, 5; 20, 24. 29). La sua osservazione non vuole né incoraggiare i discepoli né testimoniare la sua fiducia in Gesù; dice semplicemente: se vuole andarci ugualmente, accompagniamolo ... e subiremo la sorte di Lazzaro, che è morto. Con lui indica Lazzaro, perché si è appena detto che Lazzaro è morto,. e Gesù ha concluso: andiamo da lui.