|

Domenica delle Palme
28 marzo 2010
Giovanni 11, 55 -12, 11
Riferimenti :
Isaia 52, 13 - 53, 12 - Salmo 87 - Ebrei. 12, 1b-3
Le sue fondamenta sono sui monti santi; il
Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose stupende, città di Dio. Ricorderò Raab e
Babilonia fra quelli che mi conoscono; ecco, Palestina, Tiro ed
Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: "L'uno e l'altro è
nato in essa e l'Altissimo la tiene salda". Il Signore scriverà
nel libro dei popoli: "Là costui è nato". E danzando canteranno:
"Sono in te tutte le mie sorgenti".
|
| Isaia 52, 13 - 53, 12
Così dice il Signore Dio:Ecco, il mio servo avrà successo, sarà
onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si
stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo
aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo -,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui
si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi
raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi
avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato
manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto
davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza
né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per
poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei
dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci
si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna
stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è
addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre
colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà
salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo
stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno
di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non
aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come
pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si
affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei
viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si
diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella
sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una
discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà
del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si
sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà
molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in
premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha
spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra
gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva
per i colpevoli.
Non è certo Dio che fa il male, ma è la nostra libertà di
uomini e donne che porta il male nel mondo, poiché ci allontana
dalla legge e dai valori di Dio e, prevaricando, travolge ogni
giustizia. E tuttavia, colui che resta fedele al Signore,
nonostante le apparenze, con la sua morte è capace di salvare il
mondo. Egli lo riscatta dall’immoralità e dalla maledizione che
il male, misteriosamente, porta con sé. E’ Dio stesso che ci
mette mano di fronte alla piena e totale libertà del giusto, e
purifica il mondo, ridando la speranza all’umanità e
glorificando colui che ha accettato gratuitamente di restare
fedele al Signore. Il testo, misterioso e bellissimo, presenta
soggetti che intervengono a raccontare, a valutare, a predire il
cammino del "servo di Dio". "Il mio servo" è un titolo onorifico
destinato a personaggi fedeli e grandi: Mosé, Davide. Il Signore
parla (vv.52,13-15) e garantisce che, comunque, il suo servo
sarà glorificato e riconosciuto (ci sono quattro verbi: "avrà
successo, sarà onorato, esaltato e innalzato"). E perciò,
l'intervento di Dio anticipa la conclusione di una fedeltà fino
alla morte e, in tal modo, garantisce che il castigo, la
malvagità e le ingiurie, di fronte ad un amore totale nella
pienezza, non hanno più il potere di gettare nella disperazione
l’umanità. Così il Signore inizia la purificazione glorificando
il giusto. Mentre le apparenze sono tutte contro il “servo di
Dio” - Non è un giusto, altrimenti Dio lo avrebbe salvato -,
dopo la misteriosa morte (siamo sempre all’interno del testo di
Isaia), i discepoli si pongono l’interrogativo: “Era o non era
l'inviato da Dio?” Gli stessi discepoli scoprono, nel Vecchio
(Primo) Testamento, che siamo salvati dal sacrificio di un
giusto su cui si è abbattuta la tragedia del giudizio, della
condanna, del rifiuto. Sorgono così altre logiche pressoché
inimmaginabili, anzi si può dire uniche nel Primo Testamento,
che si ricollegano al Nuovo (Secondo). Addirittura questo brano
può essere considerato come la riflessione teologica più
profonda della tragica vicenda di Gesù: esso svela il senso che
Dio dà alla storia. Si scopre che il giusto ha vissuto la
terribile ingiustizia che si è abbattuta su di lui come un atto
riparatore e un gesto totale di amore: "È stato trafitto per le
nostre colpe... per le sue piaghe siamo stati guariti" (v 5). Si
libera così il senso salvifico della sua sofferenza (1-6) e si
sottintende il valore del "sacrificio di riparazione" a
somiglianza dei riti raccontati dal Levitico (capp. 4-5). In
tutto il Primo Testamento non si parla mai della possibilità di
una vittima umana, ma solo di un'offerta di animali sacrificati
a Dio per riparare il male commesso. Una terza parte riporta la
voce di un discepolo che racconta la morte e la glorificazione
del "servo di Dio” (7-11b). Infine Dio riprende la
glorificazione (53,11b- 12). Ovviamente la prima Comunità
cristiana e lo stesso Gesù vivono e arricchiscono di significato
questa profezia strana e misteriosa, spianando la strada alla
comprensione delle vicende conclusive di Gesù che lo hanno
condotto, attraverso il giudizio delle autorità religiose e
civili, alla morte come conclusione di un castigo. Così questo
testo, continuamente riletto, restando in sottofondo
l’interpretazione più matura della tragedia di Gesù, offre alla
Comunità cristiana garanzie e significati inediti di fronte alla
sofferenza e alla stessa ingiustizia subita, e si fa certa anche
di fronte allo scandalo della croce. L’amore può arrivare fino
all'annullamento, pur vivendo nella santità della nonviolenza, e
Dio sa scoprirlo nel cuore di ciascuno. Alla luce del Secondo
Testamento può risultare ovvio il significato della
glorificazione di Gesù che è stato risuscitato dai morti, ma nel
Primo Testamento non si può pretendere che si faccia riferimento
all’annuncio sulla risurrezione, poiché inimmaginabile dal
profeta Isaia o dai discepoli che hanno scritto, continuando il
libro del profeta. Per questo la glorificazione resta
misteriosa, anche se il brano ne parla. Esso si presta ad
interpretazioni diverse. Nel testo misterioso di Isaia, ci
ritroviamo tutti con le nostre povertà e i nostri peccati. Ma,
nello stesso tempo, scopriamo orizzonti di novità e di
conversione perché l'amore del Signore attraverso il "suo servo"
continua a richiamarci al senso unico dell’amore ed alla
speranza. |
Ebrei. 12, 1b-3
Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato
che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta
davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine
alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia
che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando
il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate
attentamente a colui che ha
Ebrei. 12, 1b-3
Nell’ultima parte della Lettera agli ebrei convertiti
(10,19-13,22), l’autore biblico richiama significati e itinerari
di “vita cristiana”. Egli fa riferimento a credenti in Cristo
che faticano a mantenere salda la fede e spesso sono
tentati di equivocare il loro rapporto con Gesù. Il capitolo 11,
precedente, ha illustrato il significato della fede che i Padri
hanno vissuto. “ Per questa fede i nostri antenati sono stati
approvati da Dio" (11,2). Ma il richiamo alla fede dei Padri è
sviluppato come orientamento per giungere all'esempio perfetto
supremo del Signore Gesù. È in lui che bisogna concentrare
l'attenzione, imparare la saggezza e affrontare con coraggio le
difficoltà della sofferenza. Nel testo viene utilizzata
un’immagine molto divulgata nel primo secolo: la corsa negli
stadi. Già presente in altri contesti ( 1Corinzi
9:24-26; Filippesi 3:12-14) di Paolo, è
adatta a identificare lo stile e le preoccupazioni di una
comunità credente. “Deporre ogni peso, correre con perseveranza,
tenere gli occhi fissi alla meta senza distrarsi”sono
atteggiamenti propri di chi corre per ottenere una corona ed un
riconoscimento di gloria. Ma sono anche scelte che i credenti
debbono poter compiere, sapendo che questa corsa è orientata
verso Cristo, origine di quella fede che in Lui viene condotta a
compimento. L'autore fa appello all’intelligenza e alla
sensibilità dei credenti per individuare il significato del
"deporre ogni peso": liberarsi dal male (i peccati) e dalle
preoccupazioni che assorbono eccessivamente l'impegno verso il
Signore. E questa operazione non va fatta solo all'inizio della
scelta credente ma va sviluppata, via via ogni giorno, nella
vita. Mentre si cammina verso il Signore Gesù, un richiamo
interessante può essere fatto all'abbigliamento dell'atleta che
corre quasi completamente nudo, poiché vestiti e mantelli
possono intralciare la corsa, o meglio il ritmo costante e
sostenuto (“la perseveranza”). Anzi il credente deve spogliarsi
continuamente delle paure, delle preoccupazioni e del peccato
che ostacolano il cammino. E bisogna, “senza distrarsi, tenere
fissi gli occhi su Gesù”. Nella sua fede, intravvedendo la
gloria di Dio, Gesù è stato capace di accettare la sofferenza. E
come la sua fede coraggiosa e fedele gli ha fatto superare gli
ostacoli per arrivare alla gloria di Dio, così anche noi siamo
invitati allo stesso itinerario che Egli ci permette di
sviluppare fino al riconoscimento ed alla gloria del Padre.
|
Giovanni 11, 55 -12, 11
In
quel tempo. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a
Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando
nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto
i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove
si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo. Sei giorni prima della
Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato
dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei
commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai
prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e
tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno
dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto
questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo
non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva
la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala
fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri
infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande
folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per
Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi
dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se
ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
 |
Efraim, città a nord di Betania ai margini
del deserto di Giuda |
Giovanni racconta gli inizi della settimana più importante della vita di Gesù
e collega con la Pasqua la sua morte. Nel racconto che Giovanni fa della vita di
Gesù, l’inizio - dopo l’introduzione detta “Prologo” che è sintesi del
significato di Gesù, del suo essere, del suo venire nel mondo, della sua
glorificazione e il senso della fede per la Comunità cristiana (1,1-18) -
racchiude i fatti legati alla testimonianza di Giovanni il Battista e alla sua
rivelazione nel racconto di una prima settimana, a somiglianza del tempo della
creazione e del riposo di Dio (2,1 ss). La settimana, dice l’evangelista,
sviluppa il cammino del Signore verso la manifestazione della sua gloria che si
manifestò, quindi, nelle nozze di Cana. Era ancora il tempo dei "segni". Anche
qui si raccontano i fatti conclusivi della vita di Gesù inquadrandoli in
un’ultima settimana, con il richiamo alla gloria, come per la rivelazione della
Parola nuova dopo la predicazione di Giovanni Battista. Qui "l'ora è venuta
perché il Figlio dell'uomo venga glorificato” (12,23) e gli avvenimenti si
concluderanno con la risurrezione. In casa di Marta, Maria e Lazzaro si svolge
una cena che dovrebbe essere di gioia: alla vigilia delle feste pasquali, alla
presenza di Lazzaro risorto, con lo stupore di poter condividere con un amico il
tempo della speranza. Anche gli apostoli probabilmente sentono la stessa
trepidazione e lo stesso clima. Così Maria decide di usare un unguento prezioso
per Gesù (una libbra pesa 350 grammi circa) e lo versa sui piedi del Signore
perché i piedi sono il richiamo al cammino, alla diffusione della Parola di Dio,
alla fatica del lungo cercare del missionario. Tutta la casa si riempie di
profumo e questo irrita Giuda poiché non sa capire i gesti dell'affetto e
dell'amicizia. Egli è entrato nel clima dell'efficienza anche a livello
religioso e si fa difensore dei deboli e dei poveri, senza rendersi conto che
prima dei soldi vengono l’amore e l’accoglienza dell’altro. Ma i suoi progetti
sono diversi: un regalo ai poveri può iniziare un esercito di insorti o può
essere un pretesto per intascare una grossa cifra. Gesù invece vede nel gesto di
Maria un omaggio anticipato alla sua salma, richiamando la sepoltura effettiva
di Gesù (19,38 ss). "I poveri saranno sempre con voi". E' scritto anche nel
libro del Deuteronomio (15,11) per ricordare l'impegno di ogni comunità
all'attenzione e all'impegno verso i poveri. Il Vangelo conclude con il
resoconto di incontri con la folla che si infittiscono poiché cerca Gesù e con
la decisione dei sommi sacerdoti che vogliono sradicare dalla terra anche
Lazzaro poiché è la prova vivente della potenza di Cristo. La stessa realtà può
portare alla vita e alla morte. |