III Domenica di Avvento

29 novembre 2009

Luca 7, 18-28
Riferimenti: Isaia 45, 1-8 - Salmo 125 - Romani 9, 1-5

Canto delle ascensioni. Chi confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre. I monti cingono Gerusalemme: il Signore è intorno al suo popolo ora e sempre. Egli non lascerà pesare lo scettro degli empi sul possesso dei giusti, perché i giusti non stendano le mani a compiere il male. La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i retti di cuore. Quelli che vanno per sentieri tortuosi il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi. Pace su Israele!

Isaia 45, 1-8
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, permsciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti e ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo».

Il profeta anonimo, che vive nel tempo in cui si profila il ritorno da Babilonia (si usa chiamare DeuteroIsaia) nel secolo VI a.C., intravvede il nuovo re vincitore, Ciro, re dei Medi e dei Persiani e propone al popolo d'Israele una rilettura della storia che passa attraverso un re che non conosce Dio. Eppure Dio lo rende: "suo pastore". Il brano, che leggiamo oggi, è rivolto a Ciro secondo un ipotetico rituale della intronizzazione del re di Giuda. Bisognerebbe però leggere i versetti precedenti (Isaia 44,24-28) per scoprire che il testo omesso è l'annuncio che il Signore fa al suo popolo, spiegando che, in ciò che sta avvenendo, si nasconde il suo progetto: "Sono io il Signore che ho fatto tutto, che ho dispiegato i cieli da solo... ". Egli rende vani i responsi degli indovini, dei sapienti e dei maghi, fonti folli di sapienza e di presagi errati per il potere di Babilonia. “Io dico a Gerusalemme: «Sarai abitata» e alle città di Giuda: «Sarete riedificate» e ne restaurerò le rovine” (44,26). Così il Signore comunica al suo popolo che sta aprendo loro gli occhi sul tempo nuovo di liberazione: "Io dico a Ciro: mio pastore; ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: «Sarai riedificata»; e al tempio: «Sarai riedificato dalle fondamenta»". A questo punto il Signore si rivolge direttamente a Ciro (è il testo di oggi). Ovviamente il profeta immagina un’ipotetica comunicazione di Dio a Ciro (ma è un artificio letterario). Tuttavia la struttura del testo svela l'opera che Dio vuole comunicare. Il Signore dice che la vittoria di questo nuovo re è stata sostenuta dalla sua potenza: "Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno..." (v2). Viene ricordato che Ciro, anche se non lo sa ("sebbene tu non mi conosca") ha una vocazione ed ha ricevuto un titolo regale per condurre in pace il suo popolo e sviluppare lo stesso compito che i re di Giuda avevano: essere strumenti del Signore per la pace e la sicurezza. L'avere unito insieme il Dio creatore e il Dio che conduce la storia aiuta a capire che "Io sono il Signore e non ce ne alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5). "Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura" (v7). In questo versetto vengono rilette la natura e la storia, le tenebre e la sciagura (che pure fanno parte della vita ed è il suo lato oscuro). Ma in tutto questo si intravvede l'apertura della speranza perché Dio è presente: forma la luce e fa il bene. Nell'ultimo versetto (8) si legge il richiamo alla fecondità che Dio offre: rugiada e pioggia, semi e frutti. Il cielo e la terra si uniscono in questa abbondanza per l'opera di Dio perché il popolo viva in pace. Ci si ricollega, così, al versetto 4,23 e fa da chiusura ad un inno che era cominciato con questo invito: "Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilante, profondità della terra". Là si parla di cieli giubilanti e terra, di monti e alberi; qui si dice “Fecondate il suolo perché il ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza”.

Romani 9, 1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

San Paolo ha concluso il cap.8 con la certezza che l’amore di Dio non abbandona e svela, tuttavia, il suo dramma interiore che lo tormenta. Anzi, dichiara addirittura di essere disposto ad essere maledetto (anatema) e quindi escluso dalla comunione con Cristo, se questo fosse sufficiente ad aprire gli orizzonti al suo popolo perché possa incontrare il Signore Gesù. Egli, ebreo, uomo del popolo di Dio e innamorato del destino glorioso d’Israele, sta vivendo con sofferenza e sta verificando la lontananza di questo suo popolo dalla fede del Signore Gesù. Certamente molti ebrei hanno accolto la fede cristiana, ma il popolo, nelle sue Istituzioni e nel suo insieme, lo ha rifiutato. Questo rimette in discussione il progetto di Dio che aveva posto il popolo di Dio come segno delle nazioni, popolo santo ed unico agli occhi del Signore. Paolo elenca la ricchezza di vocazione di Israele. Parla di "Israeliti" e non "Giudei" perché questo è il nome che il Signore ha loro dato nella scelta, come "eletti", tra i popoli della terra. E ricorda la "gloria" come manifestazione della presenza di Yhwh con il suo popolo nel deserto e nel tempio: la shekìnà (la tenda, la presenza) di Dio. Le "alleanze" si richiamano ai patti, fatti con Abramo, Mosé, i padri della propria tradizione. La "legislazione" ricorda la legge data a Mosé sul Sinai. Il "culto" come adorazione nel tempio. Le "promesse" ad Abramo, Mosé e a Davide hanno garantito i sogni nei secoli. Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio, dopo aver scoperto il dramma dell’idolatria con il vitello d’oro e il conseguente abbandono del Dio Salvatore. “Ora tu perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32). Ma, nello stesso tempo, Paolo continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani. La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un nemico, come spesso è risultato nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta sconcertato del mistero d’Israele, si rifà alla volontà di Dio che non si capisce mai fino in fondo, e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella salvezza.

Luca 7, 18-28

In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.

Dopo l'edizione delle beatitudini nello stile di Luca (6,20-26), una discussione sull'amore (6, 27-38) e la conclusione di essenziali linee di comportamento, l’evangelista riprende l’immagine della casa sulla roccia, come garanzia di radicamento in Gesù, e il racconto di due miracoli: la guarigione del servo di un centurione (7,1-10) e la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7,11-17). Ora Luca ha preparato il campo: ha raccontato, in sintesi, ciò che Gesù ha detto ed ha fatto. Ora può parlare di Giovanni, del suo ruolo indispensabile ma anche della sua difficoltà ad accettare il messaggio di Gesù, poiché è assolutamente inimmaginabile rispetto alle attese. “Giovanni è informato dai suoi discepoli di tutte queste cose”. Luca garantisce che si fa riferimento alle parole e ai fatti miracolosi raccontati, tanto più che il versetto precedente ricorda: “La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione” (17). I discepoli si fanno portavoce di Giovanni, il quale pone, personalmente, la domanda più drammatica che turba la sua vita e la sua testimonianza, come, d’altra parte, turba la ricerca di tante altre persone. Il racconto parallelo di Matteo, tra l’altro, si carica di tanta compassione poiché ricorda che la richiesta fatta a Gesù viene da Giovanni che è incatenato in carcere (Mt11,2). Luca lo aveva ricordato alcuni capitoli prima (3,19-20). Il precursore scopre che le sue attese sono completamente diverse. Eppure ha parlato come profeta e su questa attesa sta offrendo la sua vita fino in fondo: Allora: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?". I discepoli, inviati da Giovanni Battista, debbono svolgere una precisa missione presso Gesù per essere illuminati circa l'identità del Messia. E quindi debbono poi dare una testimonianza garantita a Giovanni stesso (sono due, come è prescritto per le testimonianze di un processo). Sanno che "Colui che doveva venire" deve essere il re e il giudice della fine dei tempi, destinato a ristabilire l'ordine e la giustizia, turbati dai nemici e dai peccatori in Israele. Giovanni, poi, si aspettava una forte predicazione morale, mentre si accelerava in parallelo, una trasformazione morale e politica e, particolarmente, un intervento che valorizzasse la predilezione di Dio verso il popolo eletto. (In questo racconto di Luca si intravede anche il disagio di un popolo che era rimasto molto perplesso per l’accoglienza della richiesta del centurione per il proprio servo). Gesù invita a riferire “ciò che avete visto e udito” (22). Di seguito Gesù premette il vedere all’udire. Bisogna “prima vedere” la novità, la vita nuova, la liberazione che le parole del profeta hanno solo annunciato. “Poi il ciò che è stato udito” diventa testimonianza, significato, messaggio garantito dalla liberazione avvenuta per la parola: pronunciata e percepita. E “in quel momento Gesù guarì”. Luca fa seguire un elenco di interventi (giocato sul numero 4: il numero della terra): “malattie, infermità, spiriti cattivi e cecità di molti”. E’ l’orizzonte umano che viene visitato e liberato (21). Ma la serie degli interventi di liberazione di Gesù si allarga a 6 realtà, garantite dalla parola dei profeti (il numero 6 è un elenco “non completo”, non è 7, numero pieno, e quindi stiamo ascoltando un elenco che nella storia si amplierà. Vedi anche Mt 25,31ss). La risposta di Gesù, infatti, ricorda le bellissime profezie di Isaia: 19,18-19; 35,5-6 e, insieme, il suo intervento nella sinagoga a Nazareth (4,18) dove aveva letto e commentato il testo di Isaia (61,1-2). Così Gesù rimanda Giovanni non alle proprie attese ma agli orizzonti di speranza dei profeti che Giovanni stesso conosce. Sconcertante, poi, l’invito a non scandalizzarsi di Gesù: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Le folle, a cui Gesù aveva affidato le beatitudini, avranno il coraggio e la mitezza di cuore di non scandalizzarsi. Ma altri non ne saranno capaci. La strada di Gesù è così nuova e imprevedibile che diventerà sempre più sconcertante fino a produrre un reale “scandalo” (1 Cor. 1,23). Infatti lo scandalo più terribile esploderà al Calvario, con la crocifissione del Re dei Giudei. E tutti grideranno: “Se tu sei figlio di Dio, scendi dalla croce”. E persino i discepoli, fuggiti nello scandalo dell’arresto, lo speravano. Il dubbio, che Giovanni ha superato per la riflessione sui profeti, non sarà superato dalle persone attorno a Gesù e si scioglierà, anzi, in evidenza e garanzia d’imbroglio: “Se non è capace di salvare se stesso, è un ciarlatano”. Per i discepoli si scioglierà, invece, solo con la risurrezione. Mentre gli inviati se ne vanno, Gesù, ad alta voce, parla di Giovanni e svela il segreto della vita dell’ultimo e più grande profeta del tempo dell’attesa. Giovanni ha preparato il popolo alla purezza di cuore, alla conversione, al mondo di Dio che viene. La sua povertà, la sua coerenza e forza, la sua formidabile fede, la sua vocazione gridata ai quattro venti: “solo voce, solo indicazione, solo proposta” hanno impressionato e coinvolto il cuore dei poveri e dei semplici. Giovanni é messaggero, è il nuovo Elia. “Tra i nati di donna non é sorto uno più grande di Giovanni".E tuttavia anch'egli resta sulla soglia del tempo nuovo. Gesù termina l’attesa e compie il passo per tutti noi, introdotti nel Regno, nella comunità della fede, nel mondo della Parola viva, a contatto con il volto del Padre che Egli svela in sé: "il più piccolo nel regno é più grande di Giovanni". Il «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» ci rimette in discussione poiché rischiamo di non aver affatto il problema della “beatitudine”. Per scandalizzarci bisogna prendere sul serio la parola di Gesù. Ma nel nostro tempo alla Parola di Gesù ci siamo abituati a leggerla , non a capirla. Non vi sembra che la proposta cristiana, per noi, sia troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo tranquilla, troppo scontata? Allora, probabilmente, non é quella vera. I tempi e lo stile del Regno sono enormemente nuovi e diversi; aprono ad un mondo assolutamente inaspettato. Dovrebbero disorientare tutti nel tempo, anche noi, come allora. E come mai, allora, il più grande problema di questo nostro tempo, tra cattolici e non cattolici, non è la fame di centinaia di milioni che muoiono nel mondo, ma prima di tutto, i crocifissi alle pareti dei luoghi pubblici? In tempo di influenza, non ci sembra di essere troppo vaccinati dallo scandalo di Gesù? Non si può, per lo meno, metterli alla pari? (Anche se detto così, è una bestemmia?) In conclusione 1. Dio trova piste impensate per la nostra liberazione (I lettura). 2. Il nostro cuore deve aprirsi alla speranza di Dio per tutti e sentire con sofferenza la lontananza di chi non scopre, nella sua vita, la bellezza e la fedeltà di Dio (II lettura). 3. Gesù è venuto per tutti e scioglie i desideri di tutti con la sua operosità e la sua parola (Vangelo).