Primo Libro dei Re 17, 6-16
In quei giorni. I corvi portavano ad Elia pane e carne al mattino, e pane e carne alla sera; egli beveva dal torrente. Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non era piovuto sulla terra. Fu rivolta a lui la parola del Signore: «Àlzati, va’ a Sarepta di Sidone; ecco, io là ho dato ordine a una vedova di sostenerti». Egli si alzò e andò a Sarepta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.
Elia sta fuggendo perché il re Acab e la regina Gezabele lo cercano per metterlo a morte. Il Signore stesso gli indica posti di rifugio dove esistono una larga vegetazione, caverne ben nascoste, un torrente per l'acqua e un provvidenziale, strano e inconsueto andirivieni di corvi che garantiscono il profeta nel suo sostentamento: pane e carne al mattino e alla sera. Si rifà all'alimentazione del popolo d'Israele nel deserto, nel tempo della liberazione, ricordata nel libro dell'Esodo (16,8. 12). Elia si è spostato in una zona pagana, la terra di origine della regina Gezabele. Se da lei può venire la rovina, attraverso un'altra donna, questa volta vedova e povera, viene la sopravvivenza. Zarepta è a circa 15 km a sud di Sidone, sulla costa Fenicia. Nelle società antiche la vedovanza era segno di povertà e di marginalità. Eppure il Signore sceglie una donna vedova perché diventi sostegno al suo profeta, pur costretta ad una vita di stenti, in tempo di carestia e di siccità. Nel salmo 146,9 si dice “Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi". La vedova, riconosciuta subito dall'abito di lutto, si presta all'ospitalità, senza problemi per l'acqua, con perplessità sul cibo. Anche nella zona della Fenicia la siccità fa mancare il cibo. La donna non è necessariamente una ebrea, ma deve aver riconosciuto il profeta per il vestito che porta e quindi, intervenendo, richiama il nome del dio dello straniero stesso. Elia rassicura a nome di Dio il dono,chiedendo perciò, insieme, un gesto di carità in un atteggiamento di fede. Poiché la vedova acconsente, il miracolo si compie (viene riferito con gli stessi verbi del v. 16, usati nella profezia al v 14). Gesù richiama quest'episodio per rimproverare al suo popolo il rifiuto che viene opposto ai profeti e alla Parola di Dio (Luca 4,25-26). L’ospitalità è uno degli elementi fondamentali del rapporto con il Padre. Attraverso l’anonimo viandante Dio si fa presente ad Abramo, intreccia relazioni e garantisce la discendenza per essere stato accolto, condivide il cammino con il popolo d’Israele. Dice J. Danielou: «L’umanità ha compiuto un passo decisivo, e forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)». In fondo quello è il giorno in cui la comunità umana è stata rigenerata. Nel giudizio finale, si scoprirà che attraverso l’ospite, e nell’ospite che incontriamo oggi, è Cristo stesso ad essere accolto o respinto (Mt 25, 35.43), riconosciuto o disconosciuto, come al tempo della sua venuta tra i suoi. Perciò, lungi dal trattare l’ospite come debitore (Sir 29,24-28) o come un importuno di cui si diffida (Sir 11,34) e contro il quale si mormora (1Pt 4,9), si preferisce accogliere quelli che non potranno ricambiare i servigi resi loro (Lc 14,13) e ogni uomo, se vuole, impara a vedere in colui che bussa alla porta (Ap 3,20) il Figlio di Dio che viene col Padre per colmarlo di doni e stabilire in lui la sua dimora (Gv 14,23). |
Ebrei 13, 1-8
Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così possiamo dire con fiducia: / «Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. / Che cosa può farmi l’uomo?». Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!
Siamo giunti, con questo testo, alla conclusione della "lettera agli ebrei": il capitolo 13º. Ci vengono così proposti alcuni suggerimenti concreti per regolare il rapporto all'interno della Comunità cristiana. Una comunità che ha sperimentato, nella propria riflessione e nella propria esperienza, l'amore di Gesù che salva è portata a vivere, in modo più vero e più profondo, la somiglianza di Gesù. Prima di tutto, perciò, l'amore fraterno non deve essere frutto di una emozione, ma di scelte e decisioni che lo rendono saldo, allo stesso modo di come lo ha vissuto Gesù. A questo punto vengono fatte alcune esemplificazioni. Si inizia dall’ospitalità, richiamando probabilmente due brani della Scrittura: i tre viandanti ospitati da Abramo (Gen 18,3) e il compagno di Tobia, l'arcangelo Raffaele (Tobia 5,4 ss) che si mostrerà, poi risolutore di molti drammi e di molti incidenti familiari. L'ospitalità, suggerisce l'autore, in questi momenti, è ancora più segno prezioso di misericordia perché si intravedono i tempi della persecuzione e vengono richiamate anche la visita dei carcerati e l'attenzione ai loro bisogni. Si richiede quindi una partecipazione profonda alle sofferenze di questi fratelli come se fossero inflitte al proprio corpo. L'attenzione alla fedeltà e alla castità del matrimonio mette in equilibrio una morale familiare che nel mondo pagano viene ignorata perché esiste troppa libertà di relazione e, per contro, in alcune sette religiose il matrimonio stesso e i rapporti tra coniuge vengono rifiutati perché indegni di credenti. L'autore biblico ricorda perciò il rifiuto dell'adulterio e valorizza il rapporto di amore fedele di una famiglia. Sono poi ricordati sentimenti di generosità, il coraggio della gratuità, il riconoscimento della Provvidenza di Dio nella vita di ciascuno. Come credenti è necessario mantenere salda la fiducia: il Signore sostiene anche nei momenti della indigenza e non abbandona nelle difficoltà. Il riferimento fondamentale è dato dall'esempio di coloro che sono stati “i capi della Comunità” e li hanno evangelizzati come credenti. Hanno dimostrato, attraverso la Parola di Dio annunciata e praticata, il valore della fede e il significato di una docilità profonda al Signore. Così tutta la comunità cristiana è ricondotta all'unico esempio che è Gesù: immutabile nella sua preesistenza, nella sua presenza nella storia, nel suo ritorno glorioso (v 8).
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