III Domenica dopo il martirio del precursore
19 settembre 2010

Giovanni 5, 25-36
Riferimenti : Isaia. 43, 24c - 44,1-3 - Salmo - Ebrei. 11, 39 - 12, 4

Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato. Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno. Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno. Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come per arsura d'estate inaridiva il mio vigore. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: "Confesserò al Signore le mie colpe" e tu hai rimesso la malizia del mio peccato. Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell'angoscia. Quando irromperanno grandi acque non lo potranno raggiungere. Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo, mi circondi di esultanza per la salvezza. Ti farò saggio, t'indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio. Non siate come il cavallo e come il mulo privi d'intelligenza; si piega la loro fierezza con morso e briglie, se no, a te non si avvicinano
Isaia. 43, 24c - 44,1-3

Così dice il Signore Dio: Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati. Fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu per giustificarti. Il tuo primo padre peccò, i tuoi intermediari mi furono ribelli. Perciò profanai i capi del santuario e ho votato Giacobbe all’anatema, Israele alle ingiurie». Ora ascolta, Giacobbe mio servo, Israele che ho eletto. Così dice il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato dal seno materno e ti soccorre: «Non temere, Giacobbe mio servo, Iesurùn che ho eletto, poiché io verserò acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri”.

E’ come se ci trovassimo in una sala del tribunale per una contesa giudiziaria tra il Dio di Israele e il suo popolo. Qualche versetto precedente ricorda che il Signore non ha fatto particolari richieste né ha presentato al popolo esigenze gravose di culto (c'è il richiamo alla schiavitù d'Egitto dove il popolo era obbligato ad offrire e a dare continuamente). Anzi, in questo caso, è stato invece il popolo che ha preteso di assoggettare il Signore mediante offerte formali di sacrifici per il peccato. Eppure, "per amore di me stesso", e quindi per propria scelta, il Signore ha continuato ad offrire gratuità e progetti, sviluppandoli per una alleanza fedele che potesse portare fiducia al popolo. Si parla qui del "tuo primo padre" che è Giacobbe, padre della nazione, (Osea 12,2-4), che pure, con il Signore, non è stato sempre coerente, e il ricordo continua ad elencare i "capi dei sacerdoti di Gerusalemme" che hanno provocato la tragedia in Israele, condannandola "all'anatema e alle ingiurie" (43,28). Le promesse e le fedeltà di Dio, lungo la storia, non hanno trovato una corrispondente fedeltà nel popolo amato e liberato. E tuttavia il testo continua aprendo gli orizzonti nuovi nella speranza. Da notare il verbo presente: "ti soccorre" mentre usa il passato per "ti ha fatto e ti ha formato dal seno materno" (44,2). Iesurun è probabilmente un vezzeggiativo, un nome poetico che sta per Israele. Il richiamo allo spirito e all'acqua allarga alla gioia, alla fecondità e all'abbondanza e permette di ricordare che Dio benedice sia il popolo che la terra su cui il popolo vive e la terra è Santa. È la prima volta che viene usata questa immagine: acqua e spirito. Sarà poi ripresa da Ezechiele, ma ha molti echi nel racconto della creazione.

 
Ebrei. 11, 39 - 12, 4

Fratelli, i nostri padri, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

Il testo che stiamo leggendo inizia parlando dei "padri", e, di fatto, tutto il capitolo 11 è una densissima pagina che richiama personaggi ed eventi dell'Antico Testamento per proporre stili ed esempi della loro fede. Tale fede è stata, fondamentalmente, inflessibile nonostante gli ostacoli incontrati e qualifica, nell’intenzione dell’autore, una santità di testimonianza che va ripresa e rinnovata. Si richiamano personaggi che risalgono al libro della Genesi (Abele, Enoch, Noè), si passa poi ai patriarchi, a Mosé, ai giudici, ai profeti e ai martiri Maccabei del secolo II a.C. Tutti questi grandi e fedeli adoratori di Dio non hanno tuttavia ricevuto la ricompensa promessa se non dopo la venuta di Gesù. Così questi godono, come noi, della pienezza di Gesù. La vita cristiana (così si preoccupa di chiarire l'autore biblico) non è solo o tanto ispirata alla testimonianza di molti uomini e donne che conosciamo, ma ha fondamentalmente un unico modello, che è Gesù, artefice della nostra fede che sa condurla a compimento. In tal modo l'esempio di Gesù, che ha affrontato grande ostilità nella sua esistenza, propone a ciascuno che non ci si stanchi, "perdendosi d'animo". Una utile immagine, facile da cogliere, è quella della corsa nell'arena. Bisogna, prima di tutto, deporre tutto ciò che è peso, liberandoci dal peccato che ci sbarra la strada perché ci assedia. Liberati così dagli ostacoli che possono frenare la nostra corsa, dobbiamo concentrarci su Gesù il quale "inizia e perfeziona" la nostra fede. Egli, davanti a noi, non solo indica la strada, ma fa da guida e la percorre precedendoci, senza abbandonare ciascuno di noi. La conclusione del testo sdrammatizza le paure e le lamentele che i cristiani continuamente ripropongono, causando scoraggiamento e delusione alle persone più fragili e più semplici. L’autore biblico richiama alla concretezza, alla robustezza delle scelte, alla coerenza di vita: essa permette di superare le difficoltà ed aiuta a sostenere una fedeltà che diventi anche testimonianza nel mondo dove ciascuno vive. Tutto il capitolo 11º perciò, mentre esemplifica la testimonianza di grandi personaggi della fede, incoraggia a scoprire che anche questa, anzi proprio questa, è la vocazione di ogni credente.

 

Giovanni 5, 25-36

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. 32C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato”.

piscina probatica o di Bethesda
In centro della foto è l'abside diroccato
di una chiesa medioevale eretta sul luogo

Stiamo leggendo solo una parte di un lungo discorso che Gesù fa con alcuni "Giudei", che avevano scoperto un tale che andava in giro, in un giorno di sabato, con un lettino/ branda/ giaciglio sulle spalle. Questo tale era stato guarito da Gesù "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2) da una paralisi che lo teneva nel letto, incapace di camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e quindi in procinto di morire senza speranza (5,5). E’ un grave scandalo, suscitato dalla disobbedienza della legge chiara sul sabato e dalla sua tradizionale osservanza. Tale fatto suscita rimproveri autorevoli e minacciosi: “Chi si può permettere di violare la legge del sabato?” Il paralitico, frastornato dal fatto della guarigione, ha ritenuto che l’ubbidienza al comando di questo sconosciuto guaritore fosse doverosa. Così, molto semplicemente e ingenuamente, riporta il comando di Gesù. Ma poiché gli chiedono l'identità di questo strano benefattore, il paralitico guarito, sconcertato, risponde di non conoscerlo e quindi di non sapere chi fosse. Da qui nasce l'interrogativo che percorre tutto il capitolo quinto: chi è Gesù? Gesù stesso cerca la persona guarita e la incoraggia: “Ecco, sei guarito. Non peccare più” (v 14). Gesù si fa individuare non solo come guaritore, ma anche come liberatore dal male morale. Così incomincia il confronto con lui. Sullo sfondo di un processo immaginario tra Gesù e i Giudei, Gesù, l'accusato, - dapprima difende il suo operato (vv 19-30, autodifesa) - riporta le testimonianze a suo favore (vv 31-40), - infine attacca gli avversari divenendo a sua volta accusatore, invertendo così le parti (vv 41-47). Il primo problema, non marginale in quel contesto, è il richiamo al riposo del sabato. "I Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato" (5,16). Ma già dall’inizio la giustificazione, da parte di Gesù, si pone in un linguaggio che sembra blasfemo: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero". E quindi, nella sua figliolanza da Dio Padre, Gesù e i suoi si possono permettere di operare di sabato poiché il Padre opera "sempre". Gesù insiste in questa dipendenza figliolanza unica dal Padre. Anzi, nel progetto di Dio, aggiunge Gesù, ci sono opere di risurrezione che il Padre opera, “ripromettendosi di meravigliare” (v 20) e garantisce che sarà data al Figlio la capacità di offrire la vita, di aprire il giudizio e di ricevere lo stesso onore che Dio stesso esige per sé (vv 21-23). Il valore della sua parola, la salvezza che Gesù offre persino a chi è come morto e comunque lontano da Dio, nel presente e nella prospettiva della risurrezione nell'ultimo giorno, tutto questo viene dalla potenza del Padre. "Da me io non posso fare nulla" (v 30). Quello che Gesù dice ha bisogno di verifiche e le verifiche si sviluppano a mo’ di processo. E’ necessaria così la ricerca di prove che testimoniano ciò che Gesù dice. E Gesù porta almeno quattro testimonianze: - la testimonianza di Giovanni (vv 33-35), - “le opere che il Padre mi ha dato da compiere” (5,36), - il richiamo delle coscienze (vv 37-38) - le Sacre Scritture (vv 39-40). - Poiché molti giudei, non tutti certo, ma molti credono nella testimonianza di Giovanni il Battista, Gesù sottolinea che anche la testimonianza di Giovanni, che essi opportunisticamente hanno accettato, ha valore, pur essendo solo un uomo. La sua è luce di una lampada "che arde e risplende; e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce" (v 35). - Le testimonianze del Padre, offerte attraverso le sue opere, sono luce abbagliante. Gesù ha visto il volto del Padre e porta la sua parola. - "Il Padre non è stato ascoltato e perciò la sua parola non resta in voi". Non hanno visto e non hanno ascoltato la parola di Gesù. Così questa parola non resta e non sanno credere a colui che il Padre ha mandato. - Lo stesso loro studio delle Scritture, che essi ritengono essere portatrici di vita eterna, testimoniano l’unicità di Gesù poiché “sono proprio esse che danno testimonianza di me” (v 5,39).