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 IV Domenica dopo il martirio del precursore
26 settembre
2010
Giovanni 6, 51-59
Riferimenti : Proverbi. 9, 1-6 - Salmo 33 -Prima
ai Corinzi. 10,14-21
| Esultate, giusti, nel Signore; ai retti si
addice la lode. Lodate il Signore con la cetra, con l'arpa a
dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate. Poiché retta è la parola
del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama il diritto e la
giustizia, della sua grazia è piena la terra. Dalla parola del
Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni
loro schiera. Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi. Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo, perché egli parla
e tutto è fatto, comanda e tutto esiste. Il Signore annulla i
disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il
piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore
per tutte le generazioni. Beata la nazione il cui Dio è il
Signore, il popolo che si è scelto come erede. Il Signore guarda
dal cielo, egli vede tutti gli uomini. Dal luogo della sua
dimora scruta tutti gli abitanti della terra, lui che, solo, ha
plasmato il loro cuore e comprende tutte le loro opere. Il re
non si salva per un forte esercito né il prode per il suo grande
vigore. Il cavallo non giova per la vittoria, con tutta la sua
forza non potrà salvare. Ecco, l'occhio del Signore veglia su
chi lo teme, su chi spera nella sua grazia. |
Proverbi. 9, 1-6
La sapienza si è costruita la sua
casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo
bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della
città: «Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno ella
dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho
preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti
per la via dell’intelligenza».
Il libro dei Proverbi si presenta come
un'ampia raccolta di massime, sentenze,
insegnamenti, esortazioni. Radicato nella tradizione di saggezza
propria dei popoli del Vicino Oriente antico,
matura una riflessione sull'esperienza quotidiana, sulla
famiglia, sulla condizione dell'uomo e della donna,
sui loro vizi e virtù, sul rapporto con Dio e con il prossimo.
Si colloca così tra la Parola di Dio e l'esperienza quotidiana
dell'uomo ed è attribuito a Salomone, il grande re, vissuto nel
secolo X, che la tradizione religiosa d'Israele considera come
il saggio per eccellenza (vedi 1,1). Nel libro dei Proverbi
confluisce un patrimonio sapienziale che abbraccia un arco di
cinque secoli (dal X al V sec. a.C.), lungo i quali la
letteratura di questo genere è andata gradualmente
sviluppandosi. I primi capitoli del libro dei Proverbi, che sono
anche i più recenti (cc. 1-9), costituiscono la parte più
teologica. La Sapienza è personificata, è donna che invita e
richiama, è maestra che vuole istruire gli alunni – tutti,
uomini e donne, devono essere suoi alunni. Essa si preoccupa per
loro, per il loro cammino e per il loro destino. Donna Sapienza
ha di che preoccuparsi, perché in città si trova anche un'altra
maestra, Donna Follia, che pure invita gli alunni alla sua
anti-scuola, dove insegna il gusto del proibito e il fascino
dell'insensato e, così facendo, conduce alla morte (9,13-18). La
Sapienza è come un abile architetto (8,22.30). che si costruisce
una casa ricca e perfetta (le sette colonne sono il simbolo
della stabilità e della perfezione). E, per fare festa, alla
fine della costruzione prepara un banchetto (questa immagine
verrà ripresa in Is 55, Sir 24,19-21 e in Mt 22,1-14 e
paralleli) cui invita gli inesperti, coloro che devono ancora
imparare a essere sapienti. Essa può insegnare. Se può dare
consigli, è perché conosce realmente il progetto di Dio, fin
dall'inizio collaborava con Dio all'opera della creazione. In
questa vita troppo breve è necessario che qualcuno ci aiuti e ci
sostenga a fare la cosa giusta al momento giusto. Da soli non ce
la faremmo mai. Cercare la sapienza significa mettersi a scuola,
a una scuola dove più che un banco si trova un vero banchetto,
con cibo sostanzioso e ottimo vino, perché questo nutrimento
dell'anima fa vivere e dà pure il gusto di vivere e rallegra il
cuore dell'uomo.
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Prima ai Corinzi.
10,14-21
Perciò, miei cari, state lontani
dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi
stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi
benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il
pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di
Cristo? Poiché vi è un solo
pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti
infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate l’Israele secondo
la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono
forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire?
Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un
idolo vale qualcosa? 20 No, ma dico che quei
sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio
che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il
calice del Signore e il calice dei demòni; non potete
partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni.
San Paolo, nella sua prima lettera al Corinzi, affronta, tra gli
altri, un problema che divide la comunità cristiana in modo
violento: si tratta di trovare comportamenti coerenti e omogenei
rispetto al “mangiare le carni offerte agli idoli” (pare fossero
cosi tutte le carni vendute al mercato). Alcuni cristiani,
convertiti dal paganesimo, continuavano ad avere congiunti e
amici pagani legati ad abitudini di culto pagano. Che fare?
Partecipare ai culti? Mangiare carne proveniente dal mercato
senza indagare? A Corinto ci sono opinioni differenti, ma anche
lacerazione tra credenti a causa di diversi comportamenti. Paolo
chiarisce che partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire
una vicinanza con la divinità che l'idolo rappresenta: non si
tratta solo di mangiare, ma di attuare, mediante il cibo, un
orientamento, un incontro e una presenza del divino nel fedele.
Per il cristiano è lo stesso. San Paolo richiama il valore del
pane e del vino che non sono più solo elementi
indispensabilmente legati alla nutrizione, ma acquistano
significati e richiami nuovi: il calice della
benedizione è caricato di riferimenti al
sangue versato da Gesù sulla croce, il pane rende visibile e
presente il corpo di Cristo morto per la
salvezza e l'unità di tutto il popolo. L'unico pane spezzato,
come l'Agnello pasquale condiviso da molti, rende tutti un unico
corpo: così il Corpo di Cristo diventa il corpo della Chiesa; i
Cristiani che partecipano all'unico pane diventano Corpo dato in
offerta. Più avanti, San Paolo completa dicendo che l'unità del
corpo è operata dallo Spirito nel Battesimo e nell'Eucaristia:
"E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito
per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e
tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12,13).
Perciò i cristiani non debbono partecipare al culto degli idoli.
Tuttavia non sono obbligati ad indagare su eventuali operazioni
cultuali precedenti, qualora siano stati invitati ad un
banchetto. Se non sanno la provenienza della carne, non si
preoccupino. Se invece ne sono consapevoli, allora se ne
astengano per non offendere la debolezza della fede di qualche
fratello o sorella che potrebbe scandalizzarsi (10,23-32) |
Giovanni 6, 51-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: Io sono il pane della vita. I vostri
padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che
discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si
misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da
mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate
la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la
vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue
vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in
lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così
anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non
è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in
eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù sviluppa nella
sinagoga di Cafarnao il significato
del pane distribuito a profusione, “segno” avvenuto oltre il lago.
Nella prima parte tutto il discorso di Gesù é centrato nelle due parole:
pane-fede. Nella seconda parte, che leggiamo oggi, si parla di pane-carne. Il
nostro incontro con Gesù si fa nella fede: “lo sono il pane della vita; chi
viene a me non avrà più fame e chi crede in me, non avrà più sete” (Gv. 6,35):
bisogna accogliere Gesù e la sua Parola. Il nostro incontro con Gesù si completa
in un gesto misterioso: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in
me e io in lui” (Gv. 6,54). Perciò non solo credere ma anche “masticare” (é il
significato del verbo greco tradotto con “mangiare”). L’elemento fondamentale
della vita é Gesù, morto e risorto. Si aderisce a Lui se si crede e si mangia
nel suo mistero; se si aderisce a Lui e ci si nutre di Lui; se lo si ama e ci si
incorpora in Lui. Mangiando di Lui, il discepolo abita in Lui (Gv.6,56-Gv
15,4-10). E tutta la vita di Gesù “passa” nella propria vita. Si fa riferimento
al pane azzimo pasquale. Chi mangiava quel pane “passava”, faceva pasqua tra gli
Ebrei (Pasqua significa passaggio), ricordava la liberazione dall’Egitto alla
terra nuova. Questo testo si ricollega alla prima lettura del libro dei
Proverbi. Quando Gesù si offre come «il pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51)
e insiste, scandalizzando gli ebrei, sulla necessità di mangiarlo, non sta
invitando a un inconcepibile cannibalismo, ma sta presentando se
stesso come la Sapienza che tutti invita al suo banchetto e
alla sua scuola. Egli, il Figlio di Dio, il Logos, che operava
come architetto fin dall'inizio della creazione, è l’unico che
conosce il senso del mondo e della storia e che lo può
autorevolmente interpretare. Egli ha dato un'interpretazione sapiente
dell'esistenza, con la sua vita così diversa e così paradossale. Una
vita sorprendente, scandalosa quanto affascinante, difficile
da capire e da imitare; eppure, la promessa di vita che veniva
dalla sapienza dell'Antico Testamento ha trovato realizzazione
piena e definitiva soltanto nella vita di Cristo, che ha
potuto vincere la morte con la sua resurrezione. Dunque
davvero la follia della croce di Gesù è stata più sapiente di tutti gli sforzi
della sapienza umana, e non ci è data altra parola nella quale
possiamo sperare
salvezza. Quando Giovanni scrive il suo Vangelo, ormai i discepoli da molti anni
celebrano l’Eucaristia (siamo a circa 70 anni dalla morte e risurrezione).
Perciò, attraverso questo gesto, la comunità cristiana vive con profondità la
presenza di Gesù morto e risorto, si sente arricchita della forza e della grazia
della sua presenza. Essa accoglie ogni volta la sapienza nuova che va vissuta
nella vita quotidiana come “pane di vita”. |