
III Domenica di
Avvento
2 dicembre 2012
Luca 7, 18-28
Riferimenti :
Isaia 45, 1-8 - Salmo 125 - Romani 9,
1-5 |
Chi confida nel Signore è come il monte
Sion: non vacilla, è stabile per sempre. I monti cingono
Gerusalemme: il Signore è intorno al suo popolo ora e sempre.
Egli non lascerà pesare lo scettro degli empi sul possesso dei
giusti, perché i giusti non stendano le mani a compiere il male.
La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i retti di cuore.
Quelli che vanno per sentieri tortuosi il Signore li accomuni
alla sorte dei malvagi. Pace su Israele! |
Isaia:45, 1-8
Dice
il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho
preso per la destra, per abbattere davanti a lui
le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi
dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle
porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io
marcerò davanti a te; spianerò le asperità del
terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le
spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori
nascosti e ricchezze ben celate, perché tu
sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che
ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe,
mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho
chiamato per nome, ti ho dato un titolo,
sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore
e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti
renderò pronto all’azione, anche se tu non mi
conosci, perché sappiano dall’oriente e
dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io
sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la
luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco
la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate,
cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si
apra la terra e produca
la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore,
ho creato tutto questo».
Gli ebrei si trovano a Babilonia, deportati dopo la sconfitta
e la distruzione di Gerusalemme. Sorge un
profeta anonimo per noi, ma conosciutissimo ed ascoltato
presso gli esuli che ricordano con nostalgia la città
di Dio, Gerusalemme, abbandonata e distrutta (siamo nel sec
VI a.C.).. Questo profeta anonimo (che si usa
chiamare Secondo Isaia, ma i cui vaticini sono inseriti
nell’unico libro di Isaia) rivela ciò che Dio ha
riservato per il futuro dei suoi fedeli. Essi ritorneranno,
se lo vorranno, poiché un nuovo re, Ciro, re dei
persiani, nelle sue campagne militari vittoriose, sta
conquistando e sottomettendo i regni dell’Asia Minore e
dell’Oriente. Si dirige verso Babilonia, la conquista senza
incontrare resistenza, libera i popoli sottomessi e
proclama, con un editto a tutti i deportati, che possono
tornare nelle loro terre se lo desiderano. Di fatto non
tutti gli ebrei ritorneranno, ma molti si fermano a Babilonia
e addirittura vi si istituisce una scuola ebraica
famosa nei secoli futuri.
Ciro si presenta come salvatore degli oppressi e difensore
dei deboli.
Se la storia racconta queste vicende, l’autore biblico tenta
di aiutare ad interpretare i fatti avvenuti, svelando
che questo re è un eletto dal Signore, Dio di’Israele,
mandato da lui anche se il re non lo sa e non conosce il
Dio degli ebrei e quindi attribuisce la sua vittoria al suo
Dio e alla sua buona sorte. “Io l’ho preso per la
destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per
sciogliere le cinture ai fianchi dei re (per disarmarli), per
aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone
rimarrà chiuso” (45,1).
L'avere unito insieme il Dio creatore e il Dio che conduce la
storia aiuta a capire che "Io sono il Signore e
non ce ne alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti renderò
pronto all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5).
"Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco
la sciagura" (v7). In questo versetto vengono
rilette la natura e la storia, le tenebre e la sciagura (che
pure fanno parte della vita e sono il suo lato oscuro).
Ma in tutto questo si intravvede l'apertura della speranza
perché Dio è presente: forma la luce e fa il bene.
Nell'ultimo versetto (8) si legge il richiamo alla fecondità
che Dio offre: rugiada e pioggia, semi e frutti. Il
cielo e la terra si uniscono in questa abbondanza per l'opera
di Dio perché il popolo viva in pace. Ci si
ricollega, così, al versetto 44,23 e fa da chiusura ad un
inno che era cominciato con questo invito: "Esultate,
cieli, perché il Signore ha agito; giubilante, profondità
della terra". Là si parla di cieli giubilanti e terra, di
monti e alberi; qui si dice “Fecondate il suolo perché il
ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza”.
Mi sembra un testo splendido e inaudito per il VT poiché qui
è un pagano che viene esaltato a strumento
voluto da Dio per liberare e mostrare la sua misericordia.
Per giungere a questa intuizione, ci si deve mettere
nell’atteggiamento di chi sa della presenza discreta e
anonima di Dio che però opera nel mondo e ci offre
“segni”: sono i grandi segni della storia e i piccoli segni
della nostra vita personale che dobbiamo identificare
e interpretare, Vi ricordo un atteggiamento fondamentale che
ci ha svelato il Card. Martini per la sua vita
interiore. Da pastore si è chiesto: “Perche mi si presenta
questo problema concreto (un attentato terroristico,
una fabbrica che chiude, un prete che intende lasciare
l’abito, un politico che ruba, una coppia che vuole
conciliare il proprio amore e la possibilità di decidere
quando aver figli e quanti, una donna abbandonata dal
marito che si è rifatta una vita affettiva e chiede i
sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa vuole dirmi
il Signore mettendomi davanti a tali vicende, e come pensa
che io possa essere testimone della speranza e
della fiducia che ha posto in me?” E’ lo stesso atteggiamento
di come il Card. Martini si metteva di fronte
alla Scrittura per cercare risposte. (Marco Garzonio nella
sua recente biografia sul Card. Martini).
Ma dovrebbe essere anche il nostro interrogativo nel tempo
dell’attesa.
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Romani 9, 1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia
coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel
cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti
essere io
stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei
fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono
Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la
legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i
patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli
che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Il cap 8 è un grande canto di amore e di meraviglia per
quanto il Signore ha fatto, ha offerto e sta facendo
maturare nella vita di ogni credente. E tuttavia Paolo si
sente sconcertato proprio dalla lontananza,
nell'insieme, del suo popolo dalla fede nel Signore Gesù.
Questa lettera è scritta a circa 30 anni dalla morte e
risurrezione di Gesù e ormai si è profilato con certezza
l’atteggiamento complessivo del popolo d’Israele, anche se
molti hanno aderito alla fede in Cristo. Il
dramma sempre acuto di Paolo fa riferimento al cammino del
suo popolo. E lo sconcerto aumenta quando
Paolo confronta l’entusiasmo di alcuni pagani che accolgono
il messaggio di Gesù e parallelamente deve
verificare un distacco ormai incolmabile dai suoi. Egli dice
che accetterebbe persino di diventare un
maledetto (“anatema”) se questo potesse servire a qualcosa.
E’ la stessa sofferenza che visse Mosè di fronte
al tradimento del suo popolo, che aveva costruito nel deserto
un vitello d’oro, e addirittura alla stanchezza di
Dio che voleva cancellare tutti per ricominciare con Mosé,
l’ultimo fedele rimasto, un popolo nuovo. Così
Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio: “Ora
tu perdona il loro peccato, se no, cancellami
dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32).
Ma dopo Mosè l’esperienza della fedeltà di Dio si è
manifestata in modo impensabile e quindi Paolo
continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre
presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani.
La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un
nemico, come spesso è risultato nel rapporto con il
popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta
sconcertato del mistero d’Israele e ricorda i segni della
predilezione del Signore. Essi sono Israeliti: gli autentici
discendenti di Giacobbe-Israele (Gen 32,29). Da
questo privilegio scaturiscono tutti gli altri: l’adozione
filiale (Es 4,22; cf.Dt 7,6); la gloria di Dio (Es 24,16)
che dimora in mezzo al popolo (Es 25,8; Dt 4,7; cf.Gv 1,14);
le alleanze con Abramo (Gen 15,1;15,17;17,1),
Giacobbe-Israele (Gen 32,29), Mosè (Es 24,7-8); il culto reso
al solo vero Dio; la Legge espressione della
sua volontà; le promesse messianiche (2Sam 7,1) e, da ultimo,
ma è il dono più grande, l’appartenenza alla
stirpe di “Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni
cosa, Dio benedetto nei secoli” (9,5).
Paolo mantiene un atteggiamento di fiducia poiché crede nella
misericordia di Dio, mentre, comunque,
assiste ad un allontanamento. Eppure è convinto che il
Signore opera continuamente ed è capace di
capovolgere le cose.
Dovrebbe essere l’atteggiamento che il Signore ci chiede. Ma
certo, non va accettata la fiducia come un alibi per rassegnarsi
e non fare niente. La nostra operosità stessa sarà dal Signore
utilizzata per una maturazione, ma non sappiamo quando, poiché
la volontà di Dio non si capisce mai fino in fondo. Paolo si
fida e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo
ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella
salvezza
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Luca 7, 18-28
In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di
tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro,
Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu
colui che deve venire o dobbiamo aspettare un
altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista
ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o
dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì
molti da malattie,
da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a
molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a
Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista,
gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti
risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui
che non trova in me motivo di scandalo!».
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare
di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una
canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un
uomo vestito con
abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel
lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere?
Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del
quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a
te egli preparerà la tua via. Io vi
dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma
il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui.
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Chiesa dove Gesù risuscitò il figlio della vedova, in Naim di
Galilea |
In questo testo Luca vuol aiutarci a capire quanto fosse diversa
l’attesa del Messia e quindi l’interpretazione
della sua venuta nel popolo d’Israele: e questo non solo tra le
persone semplici e analfabete ma anche tra le
persone dotte ed esperte della legge e perfino nelle persone più
vicine e più coerenti quale Giovanni Battista.
Luca introduce in un contesto particolare l’interrogativo drammatico
di Giovanni Battista sul messianismo di
Gesù. Nel cap 6 ha riletto le “beatitudini” di Gesù, riducendole da 9
(secondo la versione di Matteo) a 4, ma
confrontandole con i “guai” corrispondenti: 4 “beatitudini” e 4
“guai” (6,20-26). Poi fa seguire alcune
raccomandazioni sapienziali sull'amore e sul comportamento
coerente.(6, 27-38). Infine Luca conclude,
come Matteo, il lungo discorso delle beatitudini, con l’immagine
della casa sulla roccia, garanzia di
radicamento in Gesù (Lc 46-49; Mt 7,21-27). All’insegnamento di Gesù
Luca aggiunge due miracoli: la
guarigione del servo di un centurione (7,1-10 dono ad un pagano del
servo ristabilito) e la risurrezione del
figlio della vedova di Nain (7,11-17 dono ad una vedova del figlio
ritornato in vita). In tal modo Luca ricorda
che i poteri di Gesù si allargano su orizzonti immensi con gesti
ritenuti finora impossibili: accettare un
pagano e risuscitare un morto.
Ora che ha preparato il campo, raccontando, in sintesi, ciò che Gesù
ha detto ed ha fatto, Luca sente di poter
parlare di Giovanni, del suo ruolo indispensabile, ma anche delle sue
difficoltà ad accettare il messaggio di
Gesù, poiché è assolutamente inimmaginabile rispetto alle sue attese.
Il Messia, si pensa, deve essere un
giustiziere e un regolatore di libertà, un personaggio che rimette in
valore il giusto, l’Alleanza che è garanzia
di un popolo scelto e quindi unico e privilegiato.
Giovanni il Battista ha creduto che bisogna meritarsi questa
presenza, riconoscendo il male, chiedendo
perdono e facendo penitenza. Sa di aver fatto tutto il possibile,
perciò aspetta, ma è anche impaziente. Crede
che il primo gesto del Messia sarà la sua liberazione. In prigione
deve essere stato trattato con rispetto
(poiché può ricevere visite e si intrattiene con i suoi discepoli).
Vuole, però, vedere il cambiamento, perché
proprio per questo si è giocato tutto.
Gesù risponde in modo indiretto. E’ molto chiaro e invita a riferire
“ciò che avete visto e udito” (22). Gesù
anticipa il vedere all’udire. Bisogna “prima vedere”, e saper vedere
la novità, la vita nuova, la liberazione
che le parole del profeta hanno solo annunciato. “Poi il ciò che è
stato udito” diventa testimonianza,
significato, messaggio garantito dalla liberazione avvenuta per la
parola: pronunciata e percepita.
La missione di Gesù è altro da ciò che si aspettano, e fa prendere
coscienza di 6 nuove realtà: “i ciechi
riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai
poveri è annunciata la buona notizia” (7,22). Le guarigioni
richiamano Isaia, i lebbrosi fanno ricordare
Naaman il Siro, guarito da Eliseo (2 Re 5), la risurrezione dei morti
ci riporta ad Elia (1Re 17,21-23;
2Re,4,34).
Non ci troviamo davanti a gesti di potenza ma di fronte al nuovo
Regno che viene annunciato ai poveri come
“lieta (ma anche nuova) notizia” e liberazione.
Giovanni annuncia un tempo che elimina i peccatori, Gesù annuncia un
Regno di misericordia e di
consolazione che li accoglie. Perciò è il tempo della pazienza,
dell’operosità gratuita, della libertà dove Dio
non interviene a castigare poiché egli ama i suoi figli e non vuol
fare loro nulla di male.
«E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» E’ un
avvertimento che fa a tutti, mentre è
fiducioso di Giovanni poiché è coerente con la Parola e la Volontà di
Dio. Ma tutto questo richiede che
bisogna rivedere la propria cultura, attese, la stessa nostra idea di
Dio.
Gesù pone 6 domande retoriche e tre affermazioni: Giovanni non è
volubile, non è opportunista, non è
corrotto. E’ il vero credente che non abbandona, lotta, ma
continuamente si pone delle domande, anche su
Dio, che si presenta a noi nella sua Parola, nei pensieri, nelle
attese, nei fatti, nei segni. A noi il Signore
chiede ancora di vedere e di udire.
Il nostro esame di coscienza ci riporta a capire che, nel nostro
tempo, ci siamo abituati a leggere la Parola di
Gesù, ma poco a comprenderla; e non ci misuriamo insieme. Non ci
sembra che la proposta cristiana, per
noi, sia troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo
tranquilla, troppo scontata? Allora,
probabilmente, non é quella vera. I tempi e lo stile del Regno sono
enormemente nuovi e diversi: aprono ad
un mondo assolutamente inaspettato. Dovrebbero disorientare tutti nel
tempo, anche noi, come allora. Quali
sono i grandi problemi che ci fanno pensare, discutere, cambiare? La
guerra, la giustizia, il lavoro, per tutti o
non piuttosto il prestigio, il posto, il reddito alto, lo sfuggire
alla solidarietà, l’interesse di parte, il
moderatismo per sistemare i propri problemi, la gelosia, l’apparire?
Non ci sembra di essere troppo vaccinati
dallo scandalo di Gesù?
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