
Ultima Domenica dopo l’Epifania detta “del perdono”
10 febbraio 2013
Luca 19, 1-10
Riferimenti §:
Siracide 18, 11-142 - Salmo 102 -
Corinzi 2, 5-11
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Preghiera di un afflitto che è stanco e sfoga dinanzi
a Dio la sua angoscia. Signore, ascolta la mia preghiera, a te
giunga il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; nel giorno
della mia angoscia piega verso di me l'orecchio. Quando ti
invoco: presto, rispondimi. Si dissolvono in fumo i miei giorni
e come brace ardono le mie ossa. Il mio cuore abbattuto come
erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane. Per il lungo
mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa. Sono simile al
pellicano del deserto, sono come un gufo tra le rovine. |
Siracide 18, 11-14
Il
Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua
misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò
abbonda nel perdono. La misericordia dell’uomo riguarda il suo
prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente. Egli
rimprovera, corregge, ammaestra e guida come un pastore il suo
gregge. Ha pietà di chi si lascia istruire e di quanti sono
zelanti per le sue decisioni.
Se il capitolo precedente (17, 20-27) incoraggia alla
conversione al Signore:”Ritorna al Signore, e abbandona il
peccato” (17,25), il capitolo 18 si apre in un canto di gioia
verso il Dio misericordioso. E’ importante garantire,
nella fragilità e nella debolezza, colui che faticosamente
accetta di seguire il Signore e tutto il brano lo
incoraggia. Proprio questa fragilità induce a compassione e a
misericordia il Signore nella sua grandezza.
Infatti è piccolo il tempo della vita: “(18, 9-10)
Che cos'è l'uomo? A che cosa può
servire? Qual è il suo bene e
qual è il suo male?Quanto al numero dei giorni dell'uomo,
cento anni sono già molti, ma il sonno eterno di
ognuno è imprevedibile a tutti”.
L’incoraggiamento, allora, si apre in una grande esperienza che
fa ripercorrere
la propria storia: con il Siracide siamo nel II secolo a.C. e
la lunga esperienza di fatiche, di guerre, di
deportazione e di sottomissioni fa ripensare a Dio in modo
diverso.
Il clima della Scrittura, nei testi più recenti, sente il
segno di un tempo nuovo e quindi, particolarmente, il
tempo della misericordia. Vale per il libro di Giona (4,11):
“E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella
grande città, nella quale vi sono più di centoventimila
persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e
la sinistra, e una grande quantità di animali?».
Anche nella lotta di liberazione con i fratelli Maccabei del
sec. II, se viene spesso fatto un
confronto con i
popoli pagani, ci si apre alla fiducia del Signore il quale
usa misericordia mentre mantiene la giustizia. (2Mac
6,14.16) “Poiché il Signore non si propone di agire con noi
come fa con le altre nazioni, attendendo
pazientemente il tempo di punirle… egli non ci toglie mai la
sua misericordia, ma, correggendoci con le
sventure, non abbandona il suo popolo”. Così anche Sap
12,19-22. “Con tale modo di agire hai insegnato al tuo
popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai
tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu
concedi il pentimento. Se infatti i nemici dei tuoi figli,
pur meritevoli di morte, tu hai punito con tanto riguardo
e indulgenza, concedendo tempo e modo per allontanarsi dalla
loro malvagità, con quanta maggiore attenzione
hai giudicato i tuoi figli, con i cui padri concludesti,
giurando, alleanze di così buone promesse! Mentre dunque
correggi noi, tu colpisci i nostri nemici in tanti modi,
perché nel giudicare riflettiamo sulla tua bontà e ci
aspettiamo misericordia, quando siamo giudicati”. Questo
testo, comunque, si allarga in un orizzonte
universale. Se l’uomo può essere capace di misericordia, ma
non può che limitarla al suo vicino che conosce
(prossimo), Dio copre con la sua misericordia tutti gli
uomini che ha creato e si estende su ogni essere vivente.
Così tutto vive questo amore di Dio: ogni essere vivente
porta i segni della vita come un regalo e una custodia
che Dio offre. Certamente questa rivelazione è un segreto che
solo il popolo di Dio conosce. E, ancor più, lo
conosce il popolo cristiano che ha fatto esperienza della
presenza di Gesù e della sua grandezza: Egli si è
impoverito per stare con noi e comunicarci i segreti di Dio.
Ma questo amore è anche un amore educativo.
“Egli rimprovera, corregge, ammaestra, e guida come un
pastore il suo gregge” (v 13). Quattro impegni che
suppongono un universo educativo (numero 4): un dialogo, un
apprendere, un capire ed un ubbidire maturando
dalla propria esperienza e dalla parola del Signore stesso.
L’incoraggiamento ad essere istruiti e zelanti per le
decisioni di Dio sostiene la propria fiducia e la propria
garanzia.
La Giornata della Solidarietà ci richiama alle tante
fragilità delle persone, ai loro handicaps, alla mancanza di
cultura, alla difficoltà di efficienza, ai limiti di
adattamento, alle fragilità, alla mancanza di riconoscimento
sociale, di permessi di soggiorno, di competenze.
Per ogni situazione importante che ci si renda conto, si
accompagnino le persone perché raggiungano una loro
autonomia.
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2 Corinzi 2, 5-11
Fratelli, se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me
soltanto, ma, in parte
almeno, senza esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già
sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior parte di
voi, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e
confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo
forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la
carità; e anche per questo vi ho
scritto, per mettere alla prova il vostro comportamento, se
siete obbedienti in
tutto. A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché ciò che
io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto
per voi, davanti a Cristo, per non cadere sotto il potere di
Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni.
Paolo, ormai anziano, soffre la propria stanchezza poiché non
si sente accolto profondamente dai suoi e
sopporta con fatica le persecuzioni, i tradimenti degli
amici, le ambiguità e i sospetti che i fratelli spesso fanno
emergere. Nei primi sette capitoli di questa lettera
(capp1-7), di cui fa parte il breve testo di oggi, Paolo di
difende da coloro che chiama i “superapostoli”, avversari che
contestano la sua autorità di apostolo (2 Cor
11,5).
Tuttavia, nel testo che leggiamo oggi Paolo offre un grande
insegnamento di perdono alla sua comunità. Nei
versetti immediatamente precedenti parla di una visita che
aveva fatto a Corinto nella comunità e, in quella
occasione, era stato gravemente offeso. E’ difficile
ricostruire il fatto. Comunque, ritornato a Efeso, ha preferito
scrivere una lettera per chiarire la situazione (v 4). E’ la
cosiddetta “lettera delle lacrime” che non ci è
pervenuta. Poi Paolo voleva ritornare, ma vi aveva rinunciato
"solo per risparmiarvi". Il rinvio infatti è stato
una scelta di discrezione e di saggezza (1,23), altrimenti
avrebbe dovuto "venire con tristezza" (2,1).
Di questo offensore anonimo non si sa nulla, né si sa che
cosa sia successo. Comunque, tornata la calma, dopo
che la comunità ha isolato l’offensore e lo ha castigato,
Paolo chiede di perdonare e di accoglierlo nella
comunità poiché si è ravveduto e si è sottomesso. E questo
perdono Paolo lo offre lui stesso volentieri. Nel
versetto 11 si fa esplicito riferimento a Satana. Egli vuole
impedire l'azione missionaria dell'annuncio della
fede e il metodo migliore per ostacolare l’annuncio è
arrivare a seminare discordia e divisione di animi (“per
non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le
intenzioni”).
Nel perdono viene anche ricordata la possibilità di
riprendere la speranza e di ricuperare un cammino di
fiducia. Il perdono è proprio di Dio per aiutarci a
riprendere il nostro percorso senza abbandonare o disperarci.
Il perdono ricupera la solidarietà e aiuta l'altro a sentirsi
in un popolo di fratelli e sorelle che sanno capire e
sanno accogliere. Il perdono ricupera splendore e apre
orizzonti imprevisti.
La Giornata della Solidarietà dovrebbe aiutare a ripensare ai
rapporti che si mantengono nei luoghi di lavoro.
Sono troppo facili la lamentela, la critica, il rancore e la
gelosia. Ci sono troppe manovre e competizioni per la
carriera e difficilmente si percepisce che è un dovere di
coscienza costruire un clima di serenità e di pace. Non
tutti sanno sufficientemente reggere rapporti difficili, ma
chi ha il dono di un carattere più elastico e più sereno,
aiuti i colleghi a reggere. Spesso il modo migliore è
intervenire quando l’altro è in difficoltà ed offrire in
amicizia un contributo di tempo e di competenza. Se si può.
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Luca 19, 1-10
In quel tempo. Il Signore Gesù entrò nella città di Gerico e la stava
attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco,
cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché
era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su
un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul mluogo, Gesù alzò lo
sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa
tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti
mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse
al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho
rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per
questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio
dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
L'incontro di Gesù con Zaccheo fa parte di una lunga riflessione di Luca che
vuole presentare il cammino del
Maestro come ricerca per i perduti e salvezza per coloro che lo accolgono.
Perciò, affrontando, in particolare, il
problema della ricchezza e la ricerca del Signore, l’evangelista premette due
episodi che convergono poi
nell’incontro con Zaccheo: il dialogo del giovane ricco che vuole seguire
Gesù (18,18-23) e la guarigione del
cieco.
Il giovane ricco pone la domanda fondamentale per la sua scelta, ma poi non
ha il coraggio di rivedere
l’attaccamento ai suoi beni e se ne va via triste. Zaccheo, invece,
ugualmente ricco, rimette in discussione ciò
che ha, senza aspettare che glielo chieda Gesù stesso. Il cieco supplica di
poter incontrare Gesù nelle vicinanze
della città e vederlo, Gesù guarisce il cieco, seduto lungo la strada
(18,35-43).
E si arriva al collegamento con Zaccheo, all’incontro e all’autoinvito da
parte di Gesù a casa del capo dei
pubblicani (19,1-10). Questi due ultimi fatti, ricordati di seguito: la
guarigione del cieco e l'incontro con
Zaccheo, si illuminano a vicenda. Tutti e due i personaggi del racconto
desiderano vedere Gesù e tutti e due
sono ostacolati nel loro desiderio. Per il primo c’è una folla che cammina
davanti e “lo rimproveravano perché
tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di
me”(18,39). Per Zaccheo nessuno gli
fa largo. A tutti e due è impedito l'incontro. Tutt’e due desiderano
"vederlo". Tutt’e due hanno fede e lo
cercano. Tutt’e due riescono a ritrovarlo perché non si scoraggiano ed hanno
avuto fiducia in lui. E se loro lo
cercano, Egli si preoccupa di incontrarli.
Zaccheo è chiamato “arcipubblicano”, parola che in greco non esiste ma Luca
vuole identificarlo come il più
importante dei pubblicani e quindi il più impuro, il più ladro, il più
lontano da Dio. Probabilmente sovraintende
al pedaggio del Giordano e delle dogane locali, sulla strada di Gerusalemme
che è punto obbligato di transito,
in particolare, per il commercio di balsami e di derrate. Questo significa
che è a capo di molti esattori. E’ anche
piccolo di statura, perciò insignificante, uno sgorbio di uomo, disprezzato e
tenuto lontano. Il fatto che poi, per
vedere Gesù, debba salire su un albero dice che nessuna casa con terrazza
l’avrebbe ospitato. Ci sono due
sentimenti che reciprocamente si richiamano e qualificano il Regno. “Zaccheo
corse avanti per vedere” (v 4) e
Gesù “deve passare di là” (v 4). “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo
fermarmi a casa tua”. Uno vuole
vedere e l’altro deve fermarsi. E’ l’incontro che permette la conversione,
giocata sulla libertà della persona e la
libertà di Dio. Questa è sempre aperta e disponibile, l’altra dipende da
quanto si accetta di voler dare un senso
pieno alla vita. Gesù chiama Zaccheo per nome. E’ l’unico che si permette di
dare valore a quel nome, col suo
genuino significato. Infatti il nome significa: "il puro, il giusto". Colui
che tutti giudicano, ormai, un perduto e
un maledetto, e il suo nome una burla, un paradosso, sarà il segno della
impensabile novità e purità: è come
una scommessa. Dio sa fare l’impossibile e può convertire questo ricco
maledetto. "Nulla è impossibile a Dio"
(18,27)."Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua".
L’"oggi" è il tempo della salvezza che
è giunto anche per Zaccheo, è il fermarsi di Dio, in un momento irripetibile
dell'incontro, come nei Vangeli
dell'infanzia (Lc 2,11) e qui “l’oggi”viene ripetuto 2 volte. Zaccheo è
entusiasta. “In piedi”, davanti a tutti,
decide la sua scelta di conversione: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che
possiedo ai poveri e, se ho rubato a
qualcuno, restituisco quattro volte tanto». La restituzione del quadruplo e
del doppio viene imposto dalla legge
solo in determinate condizioni. Nel libro dell’Esodo (21,37):
“Quando un
uomo ruba un bue o un montone e poi
lo sgozza o lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per
il bue e quattro capi di bestiame
minuto per il montone” e sempre nell’Esodo (22,6):“Quando
un uomo dà in custodia al suo prossimo denaro od
oggetti e poi nella casa di costui viene commesso un furto, se si trova il
ladro, quest'ultimo restituirà il doppio”.
Nel libro del Levitico, si obbliga alla restituzione
dei beni rubati con l'aggiunta di un quinto, il 20% (5, 20-24).
Zaccheo vuole restituire il 400%. “Quando
qualcuno peccherà e commetterà un'infedeltà verso il Signore,
perché inganna il suo prossimo riguardo a depositi, a pegni o a oggetti
rubati, oppure perché ricatta il suo
prossimo…., Dovrà restituire la cosa rubata o ottenuta con ricatto o il
deposito che gli era stato affidato o
l'oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui abbia giurato
il falso. Farà la restituzione per
intero, aggiungendovi un quinto, e renderà ciò al proprietario nel giorno in
cui farà la riparazione.
Gesù restituisce la dignità di 'figlio di Abramo’ a Zaccheo: non è solo il
discendente naturale del popolo
d’Israele. D’ora in poi chiunque ha fede, e compie le opere del Padre, è
figlio di Abramo.
La Giornata della Solidarietà ci apre gli occhi sul mondo dei senza lavoro
che diventano persone senza dignità
e senza autonomia, incapaci di offrire ad altri competenze e servizi perché
mancano le possibilità. La
Comunità cristiana, in questi casi, si deve attrezzare per saper leggere le
fatiche e le difficoltà e per trovare,
anche all’interno delle istituzioni, un lavoro che restituisca dignità e
ricuperi, per tutti, la dignità di operare per
il bene di tutti.
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rovine
di Gerico |
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