
Festa della
Santa Famiglia
27 gennaio 2013 –
Matteo 2, 19-23
Riferimenti : Siracide 44, 23 - 45,
1a.2-5 - Salmo 111 - Efesini 5, 33- 6, 4 |
Renderò grazie al Signore con tutto il
cuore, nel consesso dei giusti e nell'assemblea. Grandi le opere
del Signore, le contemplino coloro che le amano. Le sue opere
sono splendore di bellezza, la sua giustizia dura per sempre. Ha
lasciato un ricordo dei suoi prodigi: pietà e tenerezza è il
Signore. Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda sempre della
sua alleanza. Mostrò al suo popolo la potenza delle sue opere,
gli diede l'eredità delle genti. Le opere delle sue mani sono
verità e giustizia, stabili sono tutti i suoi comandi. |
Siracide 44, 23 - 45, 1a.2-5
Dio fece posare sulla testa di Giacobbe la
benedizione di tutti gli uomini e l'alleanza. Da
lui fece sorgere un uomo, lo santificò nella
mansuetudine, lo introdusse nella nube, gli fece
udire la sua voce
In quei giorni. La benedizione di tutti gli uomini e la sua
alleanza Dio fece posare sul capo di Giacobbe;
lo confermò nelle sue benedizioni, gli diede il
paese in eredità: lo divise in varie parti,
assegnandole alle dodici tribù. Da lui fece
sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli
occhi di tutti. amato da Dio e dagli uomini:Gli diede
gloria pari a quella dei santi e lo rese grande
fra i terrori dei nemici. Per le sue parole fece
cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli
diede autorità sul suo popolo e gli mostrò parte
della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e
nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. Gli
fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube
oscura e gli diede faccia a faccia i
comandamenti, legge di vita e d’intelligenza,
perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza, i suoi
decreti a Israele.
Ben Sirà o Siracide (figlio di Sira) è uno scriba e maestro
di sapienza, vissuto probabilmente a Gerusalemme
tra il III e il II secolo a.C. Il testo porta anche la firma
del suo autore, uno dei pochi nella Scrittura (50,27). E’
un’opera scritta in ebraico intorno al 180 a.C. e tradotta in
greco dal nipote attorno al 130 a.C. ( come dice nel
Prologo, all’inizio del libro).
E’ uno di quegli scritti accolto nell’elenco dei testi
ispirati dalla Chiesa Cattolica e ortodossa ma non
considerato nell’elenco ebraico dei libri ispirati e quindi
non incluso dal mondo protestante.
Tutto il cap. 44 sviluppa la lode degli antichi padri
d’Israele che manifestano, nella loro grandezza, la sapienza
e lo splendore di Dio. In loro il progetto di Dio si è
irrobustito poiché hanno offerto l’esempio e la fedeltà, pur
nelle difficoltà e nella fatica quotidiana. “Facciamo ora
l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro
generazioni. Il Signore li ha resi molto gloriosi e la sua
grandezza è da sempre” (44,1-2). La lunga rassegna
inizia con i Patriarchi, da Enoc fino a Giacobbe (44,16-23).
Poi il Siracide parla di Mosè, “amato da Dio e
dagli uomini” (45,1) e continua, ricordando che l’intervento
di Dio su di lui è stato particolarmente carico di
attenzioni. Così Mosè diventa depositario della legge e
quindi custode della sapienza di Dio per il suo popolo e
per le generazioni future. Lo santifica “nella fedeltà e
nella mansuetudine” e questo suggerisce quali miracoli
Dio è capace di fare. Sa mantenere il cuore nella continuità
e nella non violenza poiché, qualunque cosa si
voglia dire della Prima Alleanza, il vertice della Santità è
la misericordia e quindi la mansuetudine come virtù
attiva.
Mosè è trattato come un amico, un messo, un ambasciatore, un
interprete presso il popolo. Introdotto nella
nube misteriosa, riceve i comandamenti che sono progettati
per vivere, per capire e per maturare l’Alleanza.
Ci si rende conto, pur in pochi versetti, come l’impegno
morale si gioca continuamente con diffidenze, paure,
stanchezze, oscurità. Il Signore sa che sono in gioco due
libertà: la sua che è fedele ed ha garantito con
giuramento che non sarà ritirata, e insieme la libertà
dell’uomo che è soggetta a ripensamenti e a fatica, a
delusioni ed a dimenticanze. Mosè è descritto come il maestro
dotato di virtù e di responsabilità tali da saper
condurre questo popolo alla piena obbedienza e fedeltà.
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Efesini 5, 33-
6, 4 Fratelli,Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la
propria moglie come se stesso, e la moglie sia
rispettosa verso il marito. Figli, obbedite ai vostri genitori
nel Signore,
perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua
madre! Questo è il primo comandamento che è
accompagnato da una promessa: perché tu sia
felice e goda di una lunga vita sulla terra. E
voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli
crescere nella disciplina e negli insegnamenti
del Signore.
Questa lettera esprime una grande attenzione e tenerezza
verso gli abitanti credenti di Efeso. Può essere stata
scritta a Roma, nel periodo della prigionia (61-63 d.C),
oppure qualche anno prima a Cesarea (58-60 d. C.). E’
una grande lettera teologica in cui è centrale l’amore grande
di Dio, “ricco di misericordia” ed è centrale la
Chiesa, luogo carico di novità e di vita. Poiché la Chiesa ha
una sua visibilità che la porta a diventare segno,
significato ed esempio, i rapporti tra le famiglie, tessuto
fondamentale dell’esperienza e della quotidianità,
debbono svolgersi in correttezza e sapienza. Quello che
leggiamo oggi è solo una piccola parte della
conclusione della lettera in cui vi sono cenni ad una morale
familiare con destinatari precisi:
5,22-33 il rapporto della coppia,
6,1-4: il rapporto tra padri e figli,
6,5-9: il rapporto tra schiavi e padroni.
Dopo il ricordo di un comportamento rispettoso tra marito e
moglie che è di reciprocità e di chiara attenzione,
ci si sofferma al rapporto tra figli e padri.
Come in ogni comunità, antica o contemporanea, la riflessione
sul comportamento verte molto nel rapporto tra
padri e figli. Gli esempi sono lampanti, le differenze tra
generazioni sviluppano diverse logiche di
comportamento; spesso prevalgono l’emotività e la
intemperanza contro il comando e la rigidità.
“ Fate attenzione al vostro modo di vivere” (5,15): è la
sintesi di una esemplificazione successiva che richiama
la saggezza:“il buon uso del tempo” (16), il non essere
sconsiderati, il non ubriacarsi per non perdere il
controllo di sé, desiderosi di ricevere e di vivere nello
Spirito, attenti ad un preghiera interiore e ad un continuo
rendimento di grazie” (5,15-20). Viene suggerito il cammino
nella sapienza che permette di superare contrasti,
discordie, incomprensioni familiari che rivelano, spesso, la
volontà di prevaricazioni che l'uno vuole avere
sull'altro. Perciò, viene formulata la regola d’oro dei
rapporti educativi, a iniziare dai rapporti di coppia: "Nel
timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri”
(5,21). Quando ci si sente perplessi per una teologia di
Paolo che richiama la lettura ebraica del rapporto
uomo-donna, non bisogna mai dimenticare questo versetto
che ridimensiona e corregge immediatamente l’idea della
sudditanza o della supremazia.
Nel rapporto con i figli ci si ritrova in quei conflitti
perenni che hanno bisogno di equilibrio e di pazienza. E
qui Paolo tenta di proporre il comandamento fondamentale: “Onora
tuo padre e tua madre! Questo è il primo
comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu
sia felice e goda di una lunga vita sulla
terra”. Corrispettivo che si ritrova nel libro dei
Proverbi: “Figlio mio, osserva il comando di tuo padre e non
disprezzare l’insegnamento di tua madre (Prov 6,20).
Il rapporto educativo, oggi, sembra molto complesso e, in
questi tempi, molto più difficile poiché non c’è
facilmente un pensiero etico comune, c’è molta capricciosità
anche negli adulti, derivata da una mancanza
educativa della libertà che si suppone senza regole, da
molteplicità di modelli di comportamento diversissimi
senza una corretta e tempestiva analisi critica, almeno in
presenza dei giovani, dal moltiplicarsi di spettacoli
amorali o immorali nella vita e nei mezzi di comunicazione
sociale, dalla difficoltà di parlare in modo
convincente di tali problemi in famiglia, dal disagio dei
genitori che non sanno essi stessi motivare i perché
morali. E si può continuare. Ma ci sono anche molte più
occasioni di confronto, la possibilità di una migliore apertura
mentale, più scuola e più cultura, più generosità e
disponibilità al confronto, un più profondo desiderio di pace e
di non violenza. Tutto questo suppone che educare è fondamentale
poiché dipende dal modo di comportarsi più che dal modo di
argomentare, dipende dalla correttezza normale di un contegno
non occasionale, dalla misericordia che si ha con altri ma,
insieme, dalla responsabilità e lucidità su di sé. La Comunità
cristiana dovrebbe senz’altro attrezzarsi per aiutare i
genitori, prima che aiutare i figli. Ma questa è la scommessa di
ogni generazione che affronta i problemi dell’etica e tenta di
dare soluzioni coerenti al proprio credo. La conclusione ai
padri è saggia: “E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma
fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del
Signore: “ e corrisponde ad un suggerimento simile nella lettera
ai Colossesi. “Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è
gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli,
perché non si scoraggino (Col3,20-21)
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Matteo 2, 19-23
In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore
apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli
disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua
madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti
infatti quelli che cercavano di uccidere il
bambino».Egli si alzò, prese il bambino e sua
madre ed entrò nella terra d’Israele.Ma,
quando venne a sapere che nella Giudea
regnava Archelao al posto di suo padre Erode,
ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si
ritirò nella regione della Galilea e andò ad
abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si
compisse ciò che era stato detto per mezzo dei
profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
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Egitto. La piramide di GIZEH, nelle vicinanze di
Matariyeh Si pensa che il nome Al-Matariyyah derivi dal nome latino
Mater, che significa 'madre'. Secondo la leggenda cristiana, la Sacra
famiglia trovò rifugio sotto un albero ad Eliopoli, e che oggi è noto
come "l'albero della Vergine Maria, ora posto nella cappella della
Vergine di Al-Matariyyah
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Il racconto ci riporta a preoccupazioni di richiami teologici. Le vicende di
Gesù ci ricollegano a Mosé ed alle
sue avventure, ci ricorda il cammino dell’Esodo e il ritorno dall’Egitto del
popolo di Giacobbe liberato.
L’evangelista, che vuole motivare il perché Gesù non sia cresciuto nel paese
di Davide, a Betlemme, vuole
garantire che Gesù è stato osteggiato fin dall’inizio, ma il Signore aveva un
suo progetto di salvezza e, per
quanto ci si accanisca contro, se chi porta il progetto accetta di essere
disponibile e fedele, arriverà a
concludere: porterà la fiducia e la novità.
Certo, e qui ci ritroviamo nella tragedia della storia. L’adesione a Dio e al
suo disegno costa vittime, sangue e
morte. E perché Dio non è intervenuto?
Il grande interrogativo non ha da parte nostra soluzioni. Ma lo stesso
interrogativo si ritrova nella persecuzione
a Gesù, nella fatica che egli vive, pur essendo giusto e, quindi, nella sua
stessa morte in croce.
Erode muore qualche anno dopo la nascita di Gesù, tra atroci dolori a circa
70 anni. Gli succede Archelao,
designato dal padre come re di Giudea , Idumea e Samaria ma l’imperatore
Augusto non accetta il testamento
di Erode e nomina Archelao solo etnarca dal 4 a.C a 6 d.C, quando è esiliato
da Augusto stesso. Non sembri
strana la cronologia poiché la data della nascita di Gesù è stata posticipata
di circa 6 o 7 anni , quando l’hanno
fissata verso il secolo VI d.C. Perciò Gesù sarebbe nato il 6/7.a C.
Il brano che abbiamo letto è un semplice fatto di cronaca, molto arido, se
non nascondesse la fatica e la
sofferenza di trasferimenti di persone povere, in cerca di una patria, di una
casa e di un lavoro e il piano di Dio
che deve districarsi nelle avventure umane. La famiglia vive con amore e
unità questo tempo, pur dovendo
affrontare l’incertezza del domani e la paura dell’oggi. Questo avviene in
Egitto, nel ritorno non più praticabile
a Betlemme, nella decisione di raggiungere Nazareth da cui erano partiti
senza alcuna intenzione di ritorno.
Così, bisogna ricominciare sempre tutto da capo.
L’evangelista Matteo accenna al Nome che sarà dato a Gesù nella sua vita
pubblica. Sarà chiamato Nazareno.
E la parola conserva insieme un filo di ironia: Nazareth è una città
insignificante (Gv1,46). Ma il nome
Nazareth nasconde anche la parola “germoglio, nezer” come il profeta Isaia
chiama il Messia (11,1). Qualcuno
dice che il nome Nazareth è stato attribuito a questo sperduto villaggio
della Galilea poiché un gruppo di
rifugiati, discendenti da Davide, sono arrivati esuli qui, in fuga dalla
Giudea.
Così la vita quotidiana per questa piccola famiglia inizia nel nascondimento,
nel lavoro, nella ferialità di ogni
giorno sempre uguale, mentre Gesù cresce, custodito da Giuseppe e Maria e
matura la sua umanità nel lavoro,
nella convivenza e nello studio della Scrittura, frequentando la sinagoga e
la scuola del villaggio. Anche Gesù
ha avuto bisogno di una famiglia
Dice il Card. Martini ( nella sua lettera “Dio educa il suo popolo”): “In
ogni momento della nostra vita
abbiamo bisogno di persone che si interessino veramente di noi, di cui noi
stessi ci interessiamo. Abbiamo
bisogno di persone, prima che di cose. Non di persone qualsiasi, ma di
persone che sentiamo “vive per noi”,
che abbiano un forte sentimento della nostra esistenza e avvertano come
indispensabile la loro esistenza per
noi.” Tutto questo porta all’educare.
Educare ricorda con chiarezza il rapporto con il tempo,
le esigenze, le aspettative, le povertà.
Educare suppone l'avventura di un progetto che i genitori debbono avere ben
presente con la domanda: "Quale
adulto sarà questo ragazzo/a?".
Educare è il tentativo di trasmettere la sperimentazione ed il valore
dell'essere adulto, della comprensione e dell’accoglienza, delle chiarezze e
delle responsabilità
Educare è "uscire da" per "orientarsi verso", accettando di scoprire il senso
del proprio camminare. Ci
piacerebbe conoscere i tanti “perché” di Gesù bambino e le tante spiegazioni
di Maria e Giuseppe.
Educare è imparare a saper lavorare e ad offrire la propria competenza,
rendendosi consapevole dei bisogni
degli altri.
Educare matura la libertà per le scelte migliori.
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