
II DOMENICA DOPO PENTECOSTE
2 giugno 2013
Mt
6,25-33
Riferimenti:
Siracide18, 1-2. 4-9a. 10-13 - Salmo
135 -
Romani 8, 18-25 |
Lodate il nome del Signore, lodatelo, servi del
Signore, voi che state nella casa del Signore, negli atri della
casa del nostro Dio. Lodate il Signore: il Signore è buono;
cantate inni al suo nome, perché è amabile. Il Signore si è
scelto Giacobbe, Israele come suo possesso. Io so che grande è
il Signore, il nostro Dio sopra tutti gli dei. Tutto ciò che
vuole il Signore, egli lo compie in cielo e sulla terra, nei
mari e in tutti gli abissi. Fa salire le nubi dall'estremità
della terra, produce le folgori per la pioggia, dalle sue
riserve libera i venti. |
Siracide18, 1-2. 4-9a. 10-13
Colui che vive in eterno ha creato l’intero
universo. Il Signore soltanto è riconosciuto
giusto. A nessuno è possibile svelare le sue
opere e chi può esplorare le sue grandezze?
La potenza della sua maestà chi potrà
misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue
misericordie?Non c’è nulla da togliere e
nulla da aggiungere, non è possibile scoprire
le meraviglie del Signore.
Quando l’uomo ha finito, allora
comincia,
quando si ferma, allora rimane perplesso.
Che cos’è l’uomo? A
che cosa può servire?Qual è il suo bene e qual è il suo
male?Quanto al numero dei giorni dell’uomo,cento anni sono già
molti. Come una goccia
d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così
questi pochi anni in un giorno dell’eternità.
Per questo il
Signore è paziente verso di
loro ed effonde su di loro la sua
misericordia.
Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel
perdono.2) La misericordia
dell’uomo riguarda il suo prossimo,
la
misericordia del Signore ogni essere vivente.
Abbiamo letto un bellissimo inno, che celebra la sapienza e
la grandezza di Dio, e viene dopo l’invito
alla conversione: “Ritorna al Signore e abbandona il peccato,
prega davanti a lui e riduci gli ostacoli.
Volgiti all’Altissimo e allontanati dall’ingiustizia”
(17,25-26). Il Signore è misericordioso e la grandezza
di Dio si mette a confronto con la fragilità degli esseri
umani. E poiché Dio è grande, egli è ancor più
compassionevole e generoso.
In questa attenzione ad una umanità povera e tuttavia
chiamata a conoscere il vero Signore, si svolge il
richiamo della creazione. Ci troviamo così, tutti noi,
davanti alla sua misericordia, capace di intrecciare
l'universo e la nostra povera generosità che, a malapena,
riesce a perdonare solo chi gli è più vicino.
Si risente l’influsso della cultura greca che l’autore
conosce, ma ancor più della cultura ebraica che
valorizza e ama, rivelatrice di rapporti impensabili tra i
popoli pagani.
L’autore del libro: "Gesù, figlio di Sira", e quindi
Siracide, è stato detto anche Ecclesiastico (dal "libro
da leggere nell'assemblea") ha, probabilmente, scritto
questo libro nei primi decenni del II sec. a.C.,
destinandolo agli Ebrei che sperimentano, nella loro terra,
la dominazione della cultura greca dei
Tolomei prima e dei Seleucidi dopo. Composto originariamente
in lingua ebraica, il Siracide si è
conservato completo soltanto nella versione greca. E quindi,
proprio per la sua diffusione in lingua
greca, non lo si è riconosciuto nella Bibbia ebraica. Perciò
è detto “deuterocanonico”, presente solo
nell’elenco dei libri, riconosciuti ispirati, dei cattolici.
Non è presente nell’elenco ebraico, né nell’elenco
delle confessioni cristiane protestanti.
C’è la meraviglia di una presenza di popolo che il Signore ha
scelto e che sa intravedere le opere di Dio
che, però, non si possono né misurare né raccontare. E
tuttavia, da questa penetrazione sapiente nasce
l’interrogativo fondamentale della nostra intelligenza: chi
siamo noi, a che cosa serve la nostra vita, quali
sono i significati e la differenza tra bene e male? (v 7).
Il Siracide percepisce che tra il peccato dell’uomo e la
bellezza e potenza di Dio sta la libertà umana che
deve maturare nel discernimento: esso nasce dagli
interrogativi fondamentali a cui non si può sfuggire.
Ci troviamo di fronte ad una grande lezione di dignità umana
adulta: il mondo è bello, noi siamo fragili,
Dio è misericordioso, ma noi siamo chiamati a capire, a
interrogarci, a reggere, a cambiare, ad essere
fedeli. Allora, mentre accettiamo di “aver misericordia per
il nostro vicino”, scopriremo e gioiremo che
Dio è misericordioso “verso ogni vivente”. Queste aperture
universalistiche si ritrovano in testi recenti
dell’AT: “E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella
grande città, nella quale vi sono più di
centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano
destra e la sinistra, e una grande quantità
di animali?» (Giona 4,11).
“Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande
su tutte le creature” (Salmo 145,9).
E ancor più carico il testo di Sapienza: “Come potrebbe
sussistere una cosa, se tu non l'avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato
all'esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose,
perché sono tue, Signore, amante della vita” ( 11,25-26). E’
il testo dell’invito alla comunione con il
Signore nella bellezza del creato, nella pienezza
dell’umanità in cammino e nella profondità della
misericordia. Sono le linee della pace.
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Romani 8, 18-25
Fratelli,
ritengo infatti che le sofferenze del
tempo presente non siano paragonabili alla
gloria futura che sarà rivelata in noi.
L’ardente aspettativa della creazione, infatti,
è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
La creazione infatti è stata sottoposta alla
caducità – non per sua volontà, ma per
volontà di colui che l’ha sottoposta – nella
speranza
che anche la stessa creazione sarà
liberata dalla schiavitù della corruzione per
entrare nella libertà della gloria dei figli di
Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la
creazione geme e soffre le doglie del parto
fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che
possediamo le primizie dello Spirito,
gemiamo interiormente aspettando l’adozione
a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella
speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò
che si spera, se è visto, non è più oggetto di
speranza; infatti, ciò che uno già vede, come
potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo
attendiamo con
perseveranza.
Il cap.18 contrappone la legge dello Spirito e la legge del
peccato e della carne. Coloro che sono in
Cristo, sono uniti a Lui che ha offerto la sua vita e che
quindi, con la sua morte, ha distrutto il nostro
peccato e la nostra debolezza. Lo Spirito di Gesù ha
strutturato in noi una rettitudine morale di fronte a
Dio e ci ha offerto la vita di figli di Dio, costituendoci in
una rettitudine morale la cui pienezza si
raggiungerà con la risurrezione dei corpi. Così " Voi – dice
Paolo rivolgendosi ai cristiani di Roma - non
avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli
adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo
Spirito stesso, insieme al nostro spirito,
attesta che siamo figli di Dio” (vv. 15-16).
La fatica del vivere ed operare con fiducia nella linea che
Gesù ci offre, ci sarà ricompensata in pienezza,
anzi in sovrabbondanza. Non è paragonabile alla gloria
futura.
Nel maturare questa attesa e questa presenza carica di
speranza e di novità su cui Cristo ci garantisce con
la sua vita, sentiamo che dalla nostra fedeltà dipende anche
l’aspettativa del creato. Si parla di uno strano
destino e di una misteriosa comunione tra noi e il creato
attorno a noi. Per il male che portiamo nel cuore
anche il creato è stato travolto e, come noi, aspettiamo la
liberazione. Anche la realtà creata attende una
sua liberazione che la riporti allo splendore della
creazione, come è uscita dalle mani di Dio.
Il male, l’orgoglio, l’egoismo, la rapina, la furia omicida e
distruttiva hanno condannato questa nostra
terra a subirne le conseguenze e le lacerazioni si
percepiscono via via: viene minacciata la fertilità della
terra, la purezza dell’acqua, la sanità dell’aria. Si
minacciano le colture, si inaridiscono le sorgenti, si
avvelenano i mari, si desertificano le pianure e le foreste.
Si moltiplicano i terremoti, le inondazioni, gli
incendi boschivi, le stragi di animali. Si allontana sempre
più quell’esclamazione che si ritrova alla fine
della creazione dei sette giorni. “E Dio vide che era molto
buono” (Gen1,31). E insieme manca il lavoro
eppure ci sarebbe un gran bisogno di operosità per riportare
ordine e sicurezza, per rendere stabili le
montagne che non franino sulle case e sulle strade, per
regolamentare i corsi d’acqua e rendere solide le
abitazioni, evitando distruzioni e morti. Il Signore ci
chiede il coraggio della non violenza, la forza della
solidarietà, la misericordia verso chi sbaglia, il
riconoscere dignità ai poveri offrendo loro un impegno
che li renda, essi stessi, portatori di sostegno agli altri.
Paolo invita a non disperare e a non interpretare
il grido di dolore del creato come quello di un morente. È
piuttosto simile a quello della partoriente che
sta per dare alla luce una nuova vita.
Ma questo avviene se i credenti incoraggiano, non si
abbattono, ma recuperano fiducia, energia,
responsabilità per rendere la stessa creazione migliore,
superando la fame, la sete, la miseria e
ripulendola dagli inquinamenti già avvenuti o che potrebbero
avvenire, perché rispettosi della bellezza
che Dio ci ha offerto come dono a tutti.
E lo sguardo sul mondo diventi carico di speranza, capace di
intravedere ancora la bellezza, fiduciosi.
Gioca, qui, un ruolo preziosissimo, l’impegno educativo che
nasce dalla testimonianza, dalle
motivazioni oneste e mature, dalle solidarietà allargate
soprattutto a chi è a rischio di solitudine. La
Parola di Dio porterà a compimento la nuova creazione, poiché
insieme ci sentiamo coinvolti in progetti
vivi e nuovi per tutti gli uomini che diventano nostri vicini
di casa..
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Visione del lago di Genezareth dal monate delle Beatitudini. Lo
scenario davanti al quale Gesù ha proclamato i fondamenti della sua
dottrina. |

Santuario delle beatitudini |
Mt
6,25-33
In quel tempo. Il Signore Gesù
ammaestrava le folle dicendo: io vi
dico: non preoccupatevi per la vostra
vita, di quello che mangerete o berrete,
né per il vostro corpo, di quello che
indosserete; la vita non vale forse più del
cibo e il corpo più del vestito?Guardate gli uccelli del cielo: non
séminano e non mietono, né raccolgono
nei granai; eppure il Padre vostro celeste
li nutre. Non valete forse più di loro? E
chi di voi, per quanto si preoccupi, può
allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate?
Osservate come crescono i gigli del
campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche
Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva
come uno di loro. Ora, se Dio veste
così l’erba del campo, che oggi c’è e
domani si getta nel forno, non farà molto
di più per voi, gente di poca fede? Non
preoccupatevi dunque dicendo: “Che
cosa mangeremo? Che cosa berremo?
Che cosa indosseremo?”. Di tutte
queste cose vanno in cerca i pagani. Il
Padre vostro celeste, infatti, sa che ne
avete bisogno. Cercate invece,
anzitutto, il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta.
Il brano, scelto oggi dalla liturgia, va letto iniziando dal versetto
precedente: “Nessuno può servire due
padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno
e disprezzerà l’altro. Non
potete servire Dio e la ricchezza” (6,24).
Gesù infatti pone, prima di tutto, un riferimento sconcertante e drammatico.
Ne va di mezzo il senso
della vita poiché essa non si misura su l’avere o non avere un Dio come
scelta e quindi tra religiosità o
ateismo, ma si misura sulla scelta comunque di un Dio, la scelta tra il Dio
d’Israele o l’idolatria di un
altro Dio che è la ricchezza..
L’uomo non può vivere senza riferimenti o dipendenza: il verbo “servire” va
tradotto con Gesù con i
verbi: “amare, odiare, preferire, disprezzare”. Bisogna scegliere chi servire
(e nel significato religioso
significa ubbidire, decidere totalmente, mettersi a disposizione).
Se il testo traduce il pensiero di Gesù in “non preoccupatevi”, in realtà il
significato è molto più pesante,
Si dovrebbe dire “non affannatevi: (il verbo greco, nel brano, è ripetuto 6
volte e, a dire il vero, significa
letteralmente “non andate in pezzi”), preceduto, come abbiamo visto, dalla
riflessione sulla scelta tra Dio
e la ricchezza. Nella lingua di Gesù il danaro viene chiamato "Mammona". E
indica, fondamentalmente,
ciò che si possiede, i beni. La cosa curiosa è la radice di questa parola, in
ebraico, "aman" (come il
nostro Amen); vuol dire "stare saldo, cercare appoggio". Perciò mi affido, mi
appoggio, trovo garanzia
nel possedere. Ma Gesù dice: “Facilmente ciò che possiedi si trasforma e
passa, da mezzo che dà fiducia
e sostegno, a potenza, unica realtà importante, un Dio a cui tutto rivolgi e
a cui dedichi la tua vita”.
Se il nostro Dio è il Padre di Gesù, allora tutti gli uomini e tutte le donne
non mi sono estranee, ma mi
sono fratelli e sorelle con cui condividere cammini, competenze, vita,
possibilità e scoperte. Se il Dio da
cui dipendo è la ricchezza e quindi i beni che possiedo e che accumulo nel
mio affannarmi, allora gli altri
diventano o servi da sfruttare perché mi garantiscano o ladri che mi derubano
e che rifiuto e maledico.
La tentazione si fa esigente e angosciante. Mi trovo a servire un idolo che
metto al livello di un unico
Dio.
Gesù ci riporta ad una sanità mentale che invita alla fiducia. “Mi chiedete
:Quali sono le prove?”
“Guardate gli uccelli del cielo e guardate i gigli del campo”.
Dio li ha creati con i loro istinti e nutre gli uccelli e riveste i fiori.
Per l’uomo e la donna non si fa
l’elogio della pigrizia, ma si richiamano la vocazione e le scelte di vita di
ciascuno. Responsabilità di
tutti, dell’uomo e della donna, è lavorare e sviluppare il mondo e metterlo a
servizio della crescita di
ciascuno. Non è un caso che vengano qui ricordati due tipi di lavori: quello
degli uomini che coltivano e
quello delle donne che filano la lana..
“Perciò, - dice Gesù - operando secondo intelligenza e vocazione, verificate
le precedenze. “Cercate
prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date
in aggiunta”. Cercare è
vivere, rintracciando un senso ed un riferimento. Nella speranza è vivere,
pur impegnati nella fatica, ma
proiettati nella possibilità di una vita dignitosa, grande, offerta da Dio e
aperta per tutti, nel coraggio di
scoprire e costruire il progetto di Dio sul mondo e sull’umanità, impegnata
nel rispetto di ciascuno (la
giustizia) per costruire la pace. E sappiamo che la pace costa sacrifici, pur
differenti, certo, da quelli
della distruzione e della morte della guerra, ma pur impegnativi perché siamo
costruttori di convivenza.
Pace è raggiungere ciò che serve al nostro vivere (è la condizione della
maggior parte dei nostri
lavoratori) e non la ricchezza: Un credente ebreo prega: “Tieni lontano da me
falsità e menzogna, non
darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario, perché, una
volta sazio, io non ti
rinneghi e dica: «Chi è il Signore?», oppure, ridotto all'indigenza, non rubi
e profani il nome del mio
Dio” (Proverbi 30, 8-9).
Teniamo questa sapienza come orizzonte di vita. |