
VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE
7 luglio 2013
Giovanni 6, 59-69
Riferimenti : Giosuè, 1-2a. 15b-27
- Salmo 104 - 1Tessalonicesi 1, 2-10. |
Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un
manto. Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque
la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali
del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme
guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue basi,
mai potrà vacillare |
Giosuè, 1-2a. 15b-27
In quei giorni. Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a
Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi,
i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono
davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: Sceglietevi
oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito
oltre il Fiume
oppure gli dèi degli Amorrei, nel cui territorio
abitate. Quanto a me e alla mia casa,
serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi
abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il
Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri
dalla terra d’Egitto,
dalla condizione servile; egli ha compiuto
quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci
ha custodito per tutto il cammino che
abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli
fra i quali siamo passati. Il Signore ha
scacciato dinanzi a noi tutti questi popoli e gli
Amorrei che abitavano la terra. Perciò anche
noi serviremo il Signore, perché egli è il
nostro Dio». Giosuè disse al popolo: «Voi non potete
servire il Signore, perché è un Dio santo, è un
Dio geloso; egli non perdonerà le vostre
trasgressioni e i vostri peccati. Se
abbandonerete il Signore e servirete dèi
stranieri, egli vi si volterà contro e, dopo
avervi fatto tanto bene, vi farà del male e vi
annienterà». Il popolo rispose a Giosuè:
«No! Noi serviremo il Signore». Giosuè
disse allora al popolo: «Voi siete testimoni
contro voi stessi, che vi siete scelti il Signore
per servirlo!». Risposero: «Siamo
testimoni!». «Eliminate allora gli dèi degli
stranieri, che sono in mezzo a voi, e rivolgete
il vostro cuore al Signore, Dio d’Israele!». Il
popolo rispose a Giosuè: «Noi serviremo il
Signore, nostro Dio, e ascolteremo la sua
voce!». Giosuè in quel giorno concluse
un’alleanza per il popolo e gli diede uno
statuto e una legge a Sichem. Scrisse queste
parole nel libro della legge di Dio. Prese una
grande pietra e la rizzò là, sotto la quercia che
era nel santuario del Signore. Infine, Giosuè
disse a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra
sarà una testimonianza per noi, perché essa ha
udito tutte le parole che il Signore ci ha detto;
essa servirà quindi da testimonianza per voi,
perché non rinneghiate il vostro Dio».
Prima delle grandi scelte, Giosuè ritiene che sia necessario
ricordare la propria storia di popolo e,
quindi, consegnare il racconto della propria esistenza al
significato della propria consistenza e
valore (Giosuè espone la storia del popolo nei vv.3-15 qui
omessi). Conoscere il proprio passato
crea unità e progetti comuni, mentre aiuta a capire il
proprio cammino e aiuta il popolo a
continuare in una linea di coerenza e di responsabilità
comune. Ma Giosuè stesso, accompagnando
passa passo la strada, il crescere e il maturare di questo
popolo si stupisce della fedele assistenza di
Dio, diventata spesso drammatica nelle battaglie e nelle
lotte, e tuttavia coerente con le promesse
fatte in tempi lontani.
Gli anni ed i ricordi si allontanano: l’età di Giosuè ci
riporta a fatti di due generazioni indietro
(Giosuè muore a 110 anni). Le nuove generazioni (allora le
generazioni erano valutate di 40 in 40
anni) stanno dimenticando, mentre Giosuè, «ormai vecchio e
molto avanti negli anni» (Gs 23,1),
vuole richiamare il destino di questo popolo e la sua origine
da Dio. Si sono, infatti, persi o diluiti i
ricordi e la vita quotidiana. Le difficoltà di ogni giorno
hanno ridotto la stretta adesione alla fedeltà
con il Signore. Le culture, attorno, vivaci e promettenti,
influenzano in modo continuo verso altri
riferimenti. La quotidianità e le attese si stancano di una
fedeltà coerente.
Così Giosuè vuole compiere una grande manifestazione di fede
e un grande gesto corale di culto:
sa che è l’ultimo segno di una unità coesa. Poi le tribù si
disperderanno sul territorio. Egli compie il
rinnovamento dell’Alleanza che già Mosè, ormai vicino alla
morte, aveva celebrato a Moab, prima
che il popolo, diretto da Giosuè, passasse il Giordano. Ora,
con la medesima celebrazione, nella
terra ormai conquistata, al centro del territorio, a Sichem,
viene sancita la scelta fondamentale, di
cui, a dire il vero, v’è già stato un anticipo (Gs 8,30-35).
Dio, per sua scelta, ha posto un’Alleanza e
il popolo ha accettato questa protezione. Tutto questo ha
permesso di conquistare, da soli, la terra
su cui le dodici tribù si sono insediate. L’intervento
gratuito di Dio ha aperto gli occhi a tutti: per
cui Giosuè, per primo, insieme alla sua gente, s’impegna di
“servire il Signore”, ovvero di avere il
Signore come unico punto di riferimento, religioso, morale. E
il popolo? Anche il popolo, a sua
volta, accetta di essere destinatario, in prima persona, dei
fatti passati di salvezza che si prolungano
nella propria storia. E se Giosuè ricorda le conseguenze
impegnative, facendo presente che tradire
un’alleanza è più grave di non averla mai sancita, il popolo
accetta insieme la propria storia e le
scelte passate che continuamente si compiono. Il brano
comunque svela che si sono infiltrate
pratiche di culto idolatrico che Giosuè vuole eliminare. A
conclusione è ormai abitudine, anche
nell’antichità, lasciare dei segni per i posteri: qui un
documento e una stele: il documento che
contiene uno statuto ed una legge che si rifà alla legge
consegnata da Mosè e l’erezione di una
pietra, simile a pietre erette dai patriarchi (Gn12,6; 35,4),
in continuità con la fedeltà al Signore
liberatore.
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1Tessalonicesi 1, 2-10.
Fratelli, rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi,
ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente
presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra
carità e la
fermezza della vostra speranza nel Signore
nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre
nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio,
che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo,
infatti, non si diffuse fra voi soltanto per
mezzo della parola, ma anche con la potenza
dello Spirito Santo e con profonda
convinzione: ben sapete come ci siamo
comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e
quello del Signore, avendo accolto la Parola
in mezzo a grandi prove, con la gioia dello
Spirito Santo, così da diventare modello per
tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia.
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore
risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia,
ma la vostra fede in Dio si è diffusa
dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno
di parlarne. Sono essi infatti a raccontare
come noi siamo venuti in mezzo a voi e come
vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire
il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo
Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù,
il quale ci libera dall’ira che viene.
vuole richiamare il destino di questo popolo e la sua origine
da Dio. Si sono, infatti, persi o diluiti i
ricordi e la vita quotidiana. Le difficoltà di ogni giorno
hanno ridotto la stretta adesione alla fedeltà
con il Signore. Le culture, attorno, vivaci e promettenti,
influenzano in modo continuo verso altri
riferimenti. La quotidianità e le attese si stancano di una
fedeltà coerente.
Così Giosuè vuole compiere una grande manifestazione di fede
e un grande gesto corale di culto:
sa che è l’ultimo segno di una unità coesa. Poi le tribù si
disperderanno sul territorio. Egli compie il
rinnovamento dell’Alleanza che già Mosè, ormai vicino alla
morte, aveva celebrato a Moab, prima
che il popolo, diretto da Giosuè, passasse il Giordano. Ora,
con la medesima celebrazione, nella
terra ormai conquistata, al centro del territorio, a Sichem,
viene sancita la scelta fondamentale, di
cui, a dire il vero, v’è già stato un anticipo (Gs 8,30-35).
Dio, per sua scelta, ha posto un’Alleanza e
il popolo ha accettato questa protezione. Tutto questo ha
permesso di conquistare, da soli, la terra
su cui le dodici tribù si sono insediate. L’intervento
gratuito di Dio ha aperto gli occhi a tutti: per
cui Giosuè, per primo, insieme alla sua gente, s’impegna di
“servire il Signore”, ovvero di avere il
Signore come unico punto di riferimento, religioso, morale. E
il popolo? Anche il popolo, a sua
volta, accetta di essere destinatario, in prima persona, dei
fatti passati di salvezza che si prolungano
nella propria storia. E se Giosuè ricorda le conseguenze
impegnative, facendo presente che tradire
un’alleanza è più grave di non averla mai sancita, il popolo
accetta insieme la propria storia e le
scelte passate che continuamente si compiono. Il brano
comunque svela che si sono infiltrate
pratiche di culto idolatrico che Giosuè vuole eliminare. A
conclusione è ormai abitudine, anche
nell’antichità, lasciare dei segni per i posteri: qui un
documento e una stele: il documento che
contiene uno statuto ed una legge che si rifà alla legge
consegnata da Mosè e l’erezione di una
pietra, simile a pietre erette dai patriarchi (Gn12,6; 35,4),
in continuità con la fedeltà al Signore
liberatore.
Paolo ha ricevuto splendide notizie dalla comunità di
Tessalonica che egli, per primo, ha visitato
annunciando il Vangelo di Gesù. Vi è rimasto qualche tempo, e
tutto sembrava procedere in pace,
ma poi sono iniziate le persecuzioni ed egli è
drammaticamente fuggito, obbligato, comunque, a
restare lontano dalla sua comunità (2,17-3,5). Paolo sa che,
all’inizio, l’istigazione alla folla è
venuta dai giudei, numerosi ed influenti, che si sono serviti
di sfaccendati, contrari
puntigliosamente a Paolo e ai neo convertiti. Paolo fugge, ma
continua a tenere fisso il suo ricordo
a loro, mai dimenticandoli, anzi pensandoli con gratitudine e
nostalgia, anche se con apprensione,
mentre svolge con coraggio il suo compito di annunciatore
ovunque si trovi ad abitare. Finalmente
lo raggiungono Silvano e Timoteo. Gli raccontano il cammino
della comunità di Tessalonica, gli
parlano dei cristiani convertiti, della fedeltà e dei
progressi che hanno comunque fatto. Paolo si
sente rinfrancato, ringrazia con calore i suoi amici e scrive
questa lettera, svelando le sue
preoccupazioni, le sue superate paure ed ansie. Egli li ha
tenuti “incessantemente presenti davanti a
Dio” ed ha coltivato nel suo cuore la certezza della
“operosità della vostra fede, la fatica della
vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore
nostro Gesù Cristo”. E nel bilancio
sorprendente Paolo scopre e richiama la loro testimonianza,
segno della partecipazione coraggiosa
e fedele alla Parola del Signore, che si è tradotta in opere
e si è sparsa in un vasto territorio con
chiarezza e lucidità, tanto che persino la parola
dell’apostolo è stata sostituita dai loro racconti.
Sono questi nuovi cristiani che, a loro volta, raccontano i
cambiamenti e le rivoluzioni interiori: la
conversione dagli idoli, l’operare umilmente servendo Dio e
l’attesa fiduciosa di Gesù risorto che
sconvolgerà la terra poiché vincerà totalmente la morte.
Questo brano illumina uno stile ed una consistenza credente
che viene ripresa dal Concilio
Vaticano II quando propone il mistero della Chiesa come
popolo in cammino nel tempo. Ogni
credente è missionario, è testimone ed ogni comunità sente la
responsabilità di portare la speranza e
la novità di Gesù attraverso lo stile dei credenti che,
insieme, manifestano pienezza e presenza di
Gesù tra loro. Non trainati, non delusi e pigri, non
sfiduciati e frastornati, non diffidenti ed
individualisti.
E’ veramente il dono dello Spirito
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Sinagoga di Cafarnao e la ricostruzione.
Ove Gesù tenne il celebre
discorso sul " Pane delle vita |
Giovanni 6, 59-69
In quel tempo. Il Signore Gesù disse queste cose,
insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver
ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi
può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé
che i suoi discepoli mormoravano riguardo a
questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo
salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la
carne non giova a nulla; le parole che io vi ho
detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi
sono alcuni che non credono». Gesù infatti
sapeva fin da principio chi erano quelli che
non credevano e chi era colui che lo avrebbe
tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto
che nessuno può venire a me, se non gli è
concesso dal Padre». Da quel momento
molti dei suoi discepoli tornarono indietro e
non andavano più con lui. Disse allora Gesù
ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto
che tu sei il Santo di Dio».
Gesù ha spezzato il pane per 5000 persone al di là del lago, a conclusione di
una giornata di
preghiera e di ascolto della sua parola. La gente ha tradotto questo gesto di
attenzione e di
misericordia come il segno di un potere enorme, proprio del Messia che può
finalmente governare
il mondo perché ha forze inimmaginabili. Ma Gesù non accetta queste
conclusioni e si rende
irreperibile a tutti. Alla fine di una lunga ricerca tutti se ne vanno,
compresi i discepoli, salendo
come gli altri sulla barca. Gesù li raggiunge nella notte, camminando
sull’acqua, li rassicura, e
sbarcano a Cafarnao. Giovanni ci fa leggere quindi, lungamente, nel cap 6, le
riflessioni di Gesù
nella sinagoga di Cafarnao, aiutandoci a cogliere il significato del miracolo
del pane, prospettando
segni impensabili, e delineando le grandi esigenze che vanno maturate come
credenti nel caso lo si
voglia seguire. Quali sono le scelte di Gesù? Sono le scelte della carne,
ricca dello Spirito. Senza lo
Spirito la carne aspira al potere, alla potenza, alla gloria e assoggetta gli
uomini alla schiavitù e alla
morte definitiva. Con lo Spirito la carne di Cristo diventa vita poiché entra
nelle scelte del Padre
che vuole restituire ad ogni uomo libertà nell’amore. A Gesù il Padre ha
fissato un itinerario di
amore, una parola di verità, un sentire aperto ad ogni povertà per cui la sua
carne deve passare
attraverso la morte, come ogni carne, ma non vi si ferma poiché lo Spirito la
vivifica e la innalza
alla pienezza della vita di Dio, “dov’era prima”.
Gesù sa che non lo possono capire e conosce la guerra nel cuore dei suoi
discepoli che, lentamente,
se ne vanno. Essi pensano: “Non è accettabile un tale progetto, non può
essere da Dio”.
Gesù chiaramente pone la sua scelta non su un piano razionale, di
condivisione di orizzonti, di
obiettivi condivisibili, di comprensioni di scelte. Siamo arrivati alla nuda
fede in Lui. Non c’è altro.
Gesù lo sa e non vuole manipolare, falsare, addolcire il cammino che sarebbe
stato sempre più
palese e drammatico. “Volete andarvene anche voi?” Non ci sono spiegazioni,
novità, altro da
aggiungere. Si sono sentiti dire che devono entrare in una comunione con Gesù
così intima e così
profonda da assomigliare al rapporto tra chi mangia e ciò che si mangia. “«Io
sono il pane vivo,
disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che
io darò è la mia carne
per la vita del mondo (51)». E ancora: «In verità, in verità io vi dico: se
non mangiate la carne del
Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi
mangia la mia carne e
beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è
vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (53-56).
I Dodici, gli ultimi discepoli rimasti, si sentono traditi dalle tante
persone che se ne vanno, ma di
cui, in fondo, in linea di logica, capiscono le loro ragioni. Si sentono,
però, improvvisamente soli di
fronte al mondo. Chissà se hanno pensato a quel sangue dell’Alleanza versato
da Mosé? (Es 24,8):
“Mosè prese il sangue e ne asperse
il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore
ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!»”.Chissà se hanno
immaginato di dover
rivoluzionare il loro presente con prospettive di futuro nuovo, con Alleanze
nuove ed eterne,
benedette dal sangue del giusto?
Gesù chiede ai Dodici e chiede anche a noi se vogliamo trovare altri punti di
riferimento diversi
nella nostra vita. “Coraggio, scegliete. Scegliete per i vostro futuro”.
Pietro, a nome di tutti,
risponde: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Ci
sentiamo chiamati a credere
in Te. Il confronto tra la carne e lo Spirito, tra la fede e l'abbandono, tra
il mangiare di lui o il
lasciarlo ci rimandano alla Eucaristia, al segno di una presenza. Eppure non
basta poiché a sua
volta l’Eucarestia ci rimanda alla Parola nuova e ci indica scelte di amore.
Se ci si ferma al
“mangiare il corpo e bere il sangue di Gesù”, ci si ferma al rito. Il rito è
segno e ci riconsegna a
scelte di amore, quali Gesù si è apprestato a compiere nella sua morte. Il
gioco tra Parola di Gesù,
esigente e irreversibile, e la libertà che Egli ci riconosce, in questo
testo, pur drammatico, si
conclude, da parte dei Dodici, in una fiducia incondizionata in Gesù, pur
nella testimonianza di una
incapacità a comprendere fino in fondo. Sarà possibile capire nel viaggio
della vita, fedeli alla
Parola di Gesù.
Perciò l'Eucaristia non è il dono per i santi. ma è il pane per un cammino,
il viatico per i poveri e
Gesù lo ha ripetuto con chiarezza. Essa è “il sangue dell'Alleanza, versato
per molti, in remissione
dei peccati" (Mt 26,27-28). Se nell’Eucarestia ci sentiamo gratificati,
tranquilli, abbiamo mangiato
la carne senza aver incontrato lo Spirito. Siamo rimasti egoisti, ci fa
ancora escludere gli altri, fa
ghetto. L’Eucarestia ci mette invece in cammino alla ricerca del pensiero e
della volontà del Padre
che ci accompagna. Egli ci incoraggia ad allargare, insieme, orizzonti e
speranza. |