
SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
26 maggio 2013
Giovanni 14, 21-26
Riferimenti :
Genesi. 18, 1-10a - Salmo 104 -
1 Cor 12, 2-6
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Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un
manto. Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque
la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali
del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme
guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue basi,
mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva come un manto, le
acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia sono fuggite, al
fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono
le valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite
alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la
terra. |
Genesi. 18, 1-10a
In
quei giorni.
Il
Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva
all'ingresso della tenda nell’ora più calda del
giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre
uomini stavano in piedi presso di lui. Appena
li vide, corse loro incontro dall’ingresso della
tenda e si prostrò fino a terra,
dicendo: «Mio
signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi,
non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.
Si vada a prendere un po’ d’acqua,
lavatevi i
piedi e accomodatevi sotto l’albero.
Andrò a
prendere un boccone di pane e ristoratevi;
dopo potrete proseguire, perché è ben per
questo che voi siete passati dal vostro servo».
Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella
tenda, da
Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina,
impastala e fanne focacce».
All’armento
corse lui stesso, Abramo; prese un vitello
tenero e buono e lo diede al servo, che si
affrettò a prepararlo.
Prese panna e latte
fresco insieme con il vitello, che aveva
preparato, e li porse loro. Così, mentre egli
stava in piedi presso di loro sotto l’albero,
quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?».
Rispose: «È là nella tenda».
Riprese:
«Tornerò da te fra un anno a questa data e
allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
L’ospitalità è un regalo grande che l’umanità dei poveri si è
sentita in obbligo di dare, soprattutto in una
realtà di vita come è il deserto, tra i beduini, e nei
pericoli dei mari tra i marinai. Qui ci troviamo nella
splendida ospitalità che Abramo offre a degli sconosciuti. E
nella lettera agli Ebrei (13,2) si dice che
“Alcuni, praticandola, hanno accolto, senza saperlo, anche
gli angeli” (e probabilmente l’autore biblico
ha in memoria l’episodio di Abramo). Il Signore decide di
visitare il suo amico Abramo e lo fa in
incognito, sotto forma di tre viandanti anonimi che si
trovano a passare vicino alla tenda di Abramo, alle
querce di Mamre, dove Abramo si è accampato. E’ un racconto
misterioso che, inizialmente, si svolge
nella normalità di viandanti accaldati e spersi in un deserto
assolato. Mentre Abramo si riposa nell’ora
più calda del giorno, all’ombra della tenda, e probabilmente
sonnecchia, è però sempre vigile. Scopre
all’improvviso tre uomini in piedi davanti a lui.
Tutto lo scenario cambia e Abramo si preoccupa di offrire
ospitalità nel modo più immediato e più
sontuoso possibile. Provvede subito all’acqua frasca, al
lavaggio dei piedi e a far accomodare gli
sconosciuti all’ombra. Poi li prega di pazientare e
provvederà ad un boccone di pane ed a un ristoro
possibile. Sempre Abramo non solo ordina ed organizza per la
cucina, a Sara chiede di impastare pane
fresco ma il quantitativo è enorme: circa 50 kg di farina e
lui stesso sceglie un “vitello tenero e buono”,
ordinando poi di prepararlo e cuocerlo.
Il bisogno di ospitalità rende Abramo attento, servizievole,
premuroso: in piedi, a servizio delle esigenze
degli sconosciuti e affettuoso.
Di fronte all’accoglienza ed alla gratuità gli sconosciuti
rispondono con una promessa: “Tornerò tra un
anno e Sara avrà un figlio” (da notare i cambi impensabili da
singolare a plurale e vice versa). Dio
scende nel suo popolo ed offre la vita gratuitamente. Il
popolo d’Israele si svilupperà sulla promessa di
Dio e sulla ospitalità di Abramo. Anche il popolo santo della
Chiesa si svilupperà con il dono di Dio
che si fa anonimo e piccolo e si costituisce come un popolo
accogliente della Parola del Signore e dei
suoi progetti.
Dio mangia alla tavola di Abramo, Gesù mangia la sua cena
alla tavola di amici: l’ospitalità prende la
forma di un banchetto. E un banchetto ci è rimasto come
momento di un popolo che si raduna insieme, a
messa, e costruisce il progetto di un futuro di pace avendo a
commensale, misteriosamente, Gesù vivo.
Qualcuno dei Padri della Chiesa ha voluto vedervi la Trinità
e un monaco russo Andrej Rublëv (1360-
1430) ha dipinto la sua splendida icona della Trinità a
tavola. Ma nel VT non c’è alcun accenno alla
Trinità, né è possibile ipotizzarlo.
Ma c’è un altro problema che ha fatto impazzire i rabbini,
anche se di poco conto per noi. Un banchetto
ebraico non può avvicinare insieme carne e latticini. E vero
che la legge sarà data a Mosè molto dopo ed
è pur vero che l’ospitalità e la premura hanno fatto pensare
ad un ristoro con latte cagliato e carni
abbondanti. Ma il problema per i mondo ebraico resta.
Gesù ricorderà che ancor oggi è possibile incontrare il
Signore e sfamarlo in un gesto di ospitalità.
“Avevo fame, avevo sete.. e ti mi hai dato da mangiare e da
bere” (Mt25, 31-46). |
1 Cor 12, 2-6
Fratelli,voi sapete infatti che,
quando eravate pagani, vi lasciavate
trascinare senza alcun controllo verso
gli idoli muti.
Perciò io vi dichiaro:
nessuno che parli sotto l’azione dello
Spirito di Dio può dire: «Gesù è
anàtema!»; e nessuno può dire:
«Gesù è Signore!», se non sotto
l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo
è lo Spirito;
vi sono diversi
ministeri, ma uno solo è il Signore;
vi sono diverse attività, ma uno solo
è Dio, che opera tutto in tutti.
Nella Comunità cristiana di Corinto sorgono disagi e
dissapori poiché si sono sviluppati doni particolari
e si sono messe in mostra possibilità e attività che
suscitano gelosie e rancori. Si pretende un confronto
serrato ed una gerarchia riconosciuta di doni o “carismi” che
lo Spirito ha moltiplicato tra persone
credenti perché diventassero sostegni, aiuti e forza per la
comunità intera. E invece si pretendono titoli
onorifici, si esigono maggior rispetto e precedenze, si
reclamano diritti e privilegi.
I doni di Dio sono dati a ciascuno per “l’utilità comune”
(12,7) e tutto è dono dello Spirito. Mentre,
quando domina il mondo della idolatria, il rapporto con la
divinità è assolutamente inesistente poiché ci
si ritrova davanti ad idoli muti, ora il linguaggio deve
imparare a verificare il significato del proprio
dialogo con Gesù. Che cosa diciamo di Gesù? Se per noi è
grande, ed è il Signore, lo riconosciamo nella
forza dello Spirito poiché è lo Spirito che alimenta la fede.
Se abbiamo lo Spirito, noi scopriamo la
bellezza della fede e la presenza di Gesù che ci porta al
Padre.
Entrando nella struttura del testo, si distingue tra
“carismi”: doni particolari e gratuiti conferiti dallo
Spirito; ci sono “ministeri” o funzioni orientati al bene
della comunità, e ci sono “operazioni”, cioè
manifestazioni della potenza di Dio.
Paolo si preoccupa di accompagnare i credenti verso una
visione unitaria in comunione con Dio. Anche i
pagani hanno esperienze religiose particolari e le
attribuiscono ad diverse divinità. Per i cristiani la fonte
è l’unico Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo che esercitano
una unica azione, anche se la diversità delle
manifestazioni nei fedeli può permettere di orientarsi a
particolari proprietà personali. Allo Spirito, dono
di grazia e d’amore sono riferiti i “carismi”; a Cristo, capo
della Chiesa sono attribuiti i ministeri
spirituali per compaginare la Comunità cristiana e sostenerla
nel suo cammino nel tempo. E il Padre,
fonte di tutto l’essere e della vita piena, è all’origine
delle “operazioni” di potenza, di pienezza di vita, di
creazione. Ma tutto viene offerto perché la Comunità esprima
questa pienezza e diventi ricchezza, al suo interno per la vita
nel mondo.
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Giovanni 14, 21-26
In quel tempo. Il Signore Gesù
disse ai suoi discepoli: Chi
accoglie i miei comandamenti e li
osserva, questi è colui che mi ama.
Chi ama me sarà amato dal Padre
mio e anch’io lo amerò e mi
manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l’Iscariota:
«Signore, come è accaduto che devi
manifestarti a noi, e non al
mondo?». Gli rispose Gesù: «Se
uno mi ama, osserverà la mia parola
e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora
presso di lui. Chi non mi ama, non
osserva le mie parole; e la parola
che voi ascoltate non è mia, ma del
Padre che mi ha mandato.
25
Vi ho detto queste cose mentre sono
ancora presso di voi. Ma il
Paràclito, lo Spirito Santo che il
Padre manderà nel mio nome, lui vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà
tutto ciò che io vi ho detto.
Stiamo sempre leggendo, in queste domeniche dopo Pasqua, brani di discorsi di
Gesù pronunciati
nella sua ultima cena e riportati da Giovanni. E’ importante tener presente
questo contesto poiché
quello che leggiamo è anche dialogo, ma il tutto ha il sapore della
conclusione, delle ultime
raccomandazioni e quindi di un testamento: linee essenziali che riassumono il
lungo insegnamento
del Maestro. Amare Gesù è un impegno concreto di fiducia e di accoglienza.
Amare non si gioca
tanto sui sentimenti o sulle emozioni, ma su scelte precise e coraggiose
poiché siamo indirizzati
dalle decisioni di Gesù. Con questo amore si costituisce una comunione
inimmaginabile in cui
ciascuno diventa abitazione, tempio vivente di Dio in cui si esprime
l’intimità infinita del Padre e di
Cristo nell’amore totale e immenso dello Spirito. Gesù parla di
manifestazione piena e quindi di
dimora completa. E tra i discepoli sorge spontanea una domanda, formulata
quindi da Giuda, non
l’Iscariota: ”Perché non ti manifesti al mondo ma solo a noi?” Anche loro,
come tutti quelli che
seguivano Gesù, trepidano per una certa diffidenza che serpeggia attorno a
Gesù nelle classi colte
e Gesù non fa nulla per far esplodere la sua forza. Anche i familiari di Gesù
non condividono la
ricerca del nascondimento. Addirittura gli fanno una proposta pubblica::
“«Parti di qui e va’ nella
Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno
infatti, se vuole essere
riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta
te stesso al mondo!»
(Gv7,3-4). Vogliono che si imponga ma Gesù rifiuta, memore delle parole di
Isaia: “«Non griderà né
alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna
incrinata, non spegnerà
uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3).
Si esprime qui il
mistero della Chiesa. Per Gesù il manifestarsi consiste venire ad abitare nei
suoi discepoli,
prendere dimora nel mondo attraverso loro. Tutti vogliono che Gesù manifesti
attraverso le sue
opere la pienezza e la novità. Ma Gesù, quando parla delle sue opere non fa
quasi mai riferimento
ai miracoli. Le opere di Gesù sono le sue scelte, la sua attenzione alla
liberazione di ciascuno, il
rispetto della dignità di ogni persona.I messaggi che Gesù offre sono
incomprensibili per le attese
che i discepoli hanno e per l’affetto che gli portano. Allora Gesù, con
fiducia, dice:“Lo Spirito Santo
vi insegnerà e vi ricorderà”.Una splendida sintesi dell’opera dello Spirito:
insegnare suppone
l’accompagnare nel tempo ed accogliere la novità nascosta nelle cose, nelle
attese e nelle speranze,
nei segni di Dio. Nella storia si presenteranno problemi sempre nuovi,
interrogativi diversi,
complessi, impensabili al tempo di Gesù. E i discepoli debbono poterli
affrontare, sviluppando
linee e comportamenti secondo il pensiero di Gesù. “Lo Spirito insegnerà”. Ma
anche “Lo Spirito vi
ricorderà”. E’ interessantissimo questo verbo poiché suppone che nel nostro
cammino di discepoli
ci possiamo dimenticare delle scelte di Gesù poiché compromettenti,
difficili, inumane, pensiamo.
La nostra cultura occidentale ha accettato la guerra come scelta
ineliminabile. Caso mai si è cercato
di discutere e distinguere tra guerra giusta e guerra ingiusta. Eppure Gesù
ci ha insegnato di amare
i nostri nemici, fare del bene a quelli che vi odiano (Lc 6,27-29). Per
secoli abbiamo letto questi
testi senza assolutamente rivedere posizioni di pensiero. Ma la storia
produce drammi e strategie
sempre più terribili, fino alla guerra ABC (Atomica, Batteriologica e
Chimica) e nel contempo fa
sorgere uomini come Gandhi, indiano, pur conoscitore del Vangelo che lo ha
affascinato. Ma è
rimasto nelle sue elaborazioni indù poiché ha detto che i cristiani non
seguono il loro maestro. E la
non-violenza sta facendosi strada, anticipata da Francesco di Assisi,seguita
da missionari disarmati
nel mondo e quindi dalle riflessioni della “Pacem in terris” di Giovanni
XXIII (1963) e dal Concilio
Vaticano II, ma anche da non credenti a cui lo Spirito rimanda per ricordare
il pensiero di Gesù.
L’esempio si può allargare ai comportamenti di attenzione ai poveri, alla
eliminazione della pena di
morte, al superamento del razzismo e a molto che il popolo cristiano, sapendo
riflettere sulla
storia, sui tempi e sulla Parola di Dio è capace di sviluppare. "Ricordare
insegnando" supera il
romanticismo o la poesia di tempi andati e irrecuperabili per accettare, nel
presente, la
responsabilità di riproporre la presenza sapienziale di Gesù e il mondo
continuamente nuovo del
Dio Trinitario che abita in noi e tra noi.
Esempi splendidi sono maturati nella lotta contro una mentalità mafiosa di
violenza e di interesse e
dovremmo ricordare insieme gli esempi di laici e religiosi che hanno lottato
con chiarezza: Falcone e
Borsellino, don Puglisi e don Diana. E l’esperienza di don Milani, che ha
suscitato perplessità e paura
tra gli stessi confratelli e la gerarchia del tempo, ha tuttavia posto
l’obbligo di ripensare con
coraggio al mondo dei poveri, al valore della scuola, all’obiezione di
coscienza, alla vera
interpretazione del patriottismo, spesso male impostato, che divide l’umanità
invece di costruirla più
coesa e più coraggiosa. |