
III Domenica di Quaresima
di Abramo
3 marzo 2013
Giovanni 8, 31-59
Riferimenti :
Deuteronomio 6,4a;18,9-22 - Salmo 105 -
Romani 3,21-26 |
Lodate il Signore e invocate il suo
nome, proclamate tra i popoli le sue opere. Cantate a lui canti
di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo
santo nome:gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il
Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. Ricordate
le meraviglie che ha compiute, i suoi prodigi e i giudizi della
sua bocca: voi stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe,
suo eletto. È lui il Signore, nostro Dio, su tutta la terra i
suoi giudizi. Ricorda sempre la sua alleanza: parola data per
mille generazioni,
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Deuteronomio 6,4a;18,9-22
In quei giorni Mosè disse: Ascolta, Israele, il Signore è il
nostro Dio. Quando sarai entrato nella terra che il
Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a
commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si trovi in
mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua
figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il
presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi
consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i
morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al
Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta
per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai
irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché le
nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli
indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha
permesso il Signore, tuo Dio.
Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i
tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto.
Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio,
sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: "Che io non
oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più
questo grande fuoco, perché non muoia". Il Signore mi
rispose: "Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò
loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in
bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli
comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli
dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il
profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una
cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in
nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire". Forse
potresti dire nel tuo cuore: "Come riconosceremo la
parola che il Signore non ha detto?". Quando il profeta
parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non
si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore. Il
profeta l'ha detta per presunzione. Non devi aver paura di
lui.
Mosè sta preparando l’entrata nella terra d’Israele che il
Signore ha destinato al suo popolo.
Abitare una terra significa trasformarla come una propria
casa: vi si sviluppa il lavoro, si
costruiscono le abitazioni, si pongono i segni di culto. In
particolare le scelte religiose lasciano tracce
sulla terra che abitiamo e nel cuore di ciascuno. E poiché ci
vorranno strutture e istituzioni per
reggere questo popolo e governarlo in un cammino verso la
propria pienezza e pace, nel libro del
Deuteronomio, si apre una sezione in cui parlare di uffici e
cariche: i giudici (16,18-20;17,2-13), la
monarchia (17,14-20), i sacerdoti (18,1-8) ed i profeti
(18,9-22).
Resta chiaro, comunque, che al centro della propria fede c’è
un solo Signore. Nella terra in cui si
entra il popolo troverà tracce di altre culture e
religiosità, scoprirà comportamenti aberranti fatti in
nome di Dio per cui, in circostanze drammatiche e pericolose,
si arriva ad uccidere e a bruciare i
propri figli e figlie in sacrificio agli dei. Il popolo
d’Israele poi troverà culti magici e forme di
divinazione che sono tentativi di mediazione contrapposti
alla mediazione di Mosé (qui si fa l’elenco
più completo delle pratiche superstiziose che sono 8: “la
divinazione o il sortilegio o il presagio o la
magia, chi fa incantesimi, chi consulta i negromanti o gli
indovini, chi interroga i morti”). Tutto
questo si sviluppa soprattutto in momenti di crisi. E’ male
poiché tenta di ricattare la potenza di Dio a
svelare il futuro e vuole costringere il Sigmore ad operare
secondo i propri desideri insaziabili. Ma il
futuro è nelle mani di Dio e il compito del popolo è quello
di ascoltare il Signore. E se tutti questi
“abomini” sono male, nascono dalla volontà di possedere,
dalla pretesa della conquista e del potere,
dalla ricerca di ricchezza e di potenza.
La profezia nasce dalla richiesta di mediazione sull’Oreb. Se
Mosè può parlare con Dio faccia a
faccia (Es33,11), perché il popolo deve accettare la
rivelazione del Signore tra lampi e tuoni, come
sull’Oreb? Il popolo ha paura e non vuole sentire la Parola
del Signore proclamata in questo modo.
Questo disagio trova consenso e comprensione nel Signore
stesso. Così, venendo incontro ai bisogni
ed esigenze del suo popolo, dona loro i profeti. Anche il
popolo d’Israele avrà persone che lo
aiuteranno a nome di Dio come tutti i popoli hanno persone
dotate di grandi poteri divinatori. Ma i
profeti, che il Dio d’Israele invia, sono diversi: non
saranno potenti né faranno paura, saranno i
“profeti” disarmati e non ricatteranno nessuno. Porteranno la
Parola del Signore e insegneranno ciò
che il Signore vuole nella giustizia e nella pace.
Il Signore garantisce un profeta, a somiglianza di Mosè, che
continuerà l'opera di Dio. I giudei
aspettano, dice l’evangelista Giovanni, un nuovo profeta (Gv.1,21).
Negli Atti (3,22-26) questo
nuovo profeta è identificato con Gesù:
Mosè
infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi,
dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete
in tutto quello che egli vi dirà. (3,22).
Nella promessa il Signore garantisce, in tal modo, un nuovo
modo di comunicazione. La Parola di
Dio ha suscitato problemi sull'Oreb poiché si è vestita di
forza tonante e fuoco.
Ora non ci si gioca sulla paura ma solo sulla Parola di Dio,
il cui valore si può misurare da ciò che il
profeta predica e garantisce, poiché si compie. Ma il profeta
non è indovino. Egli proclama una seria
rilettura di fatti, lo sgretolamento e la saldatura con la
forza di Dio.
Anche oggi tutti noi siamo profeti per vocazione, a
somiglianza di Gesù, essendo stati battezzati.
Riceviamo la sapienza di Dio e siamo chiamati ad analizzare
le lacerazioni e le novità del mondo che
è sempre sotto lo sguardo di Dio ed è tentato ogni giorno dal
male. A noi tutti spetta l’impegno di
aiutarlo a scoprire la forza di Dio e viverla
quotidianamente.
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Romani 3,21-26
Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è
manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e
dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù
Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c'è
differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della
gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la
sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo
Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come
strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo
sangue, a manifestazione della sua giustizia per la
remissione dei peccati passati mediante la clemenza di
Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo
presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui
che si basa sulla fede in Gesù.
Si parla spesso di giustizia di Dio e Paolo ci offre una
prospettiva totalmente diversa da ciò che
siamo abituati a pensare. Noi riteniamo che giustizia sia
valutare in modo imparziale le persone ed il
loro comportamento e retribuire ciascuno secondo i loro
meriti. E invece, nella Scrittura, alla
giustizia di Dio corrispondono la sua benevolenza, la sua
grazia, la sua misericordia. Dio fa giustizia
quando fa germogliare il bene, quando trasforma il peccatore
in giusto. Perciò, già al tempo di Gesù,
i migliori rabbini pensano che la giustizia e la bontà di Dio
si manifestano verso coloro che non
hanno alcun tesoro di misericordia. Paolo riprende questa
intuizione, spiegando che Dio ha
sviluppato la sua giustizia e misericordia in Gesù. “Tutti
hanno peccato e sono privi della gloria di
Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia,
per mezzo della redenzione che è in Cristo
Gesù” (23-24).
Poco prima Paolo ha ricordato (Rom 2,20-22) che perfino il
popolo d’Israele, che possiede la legge,
non è stato fedele alla legge. Ma il Signore ha deciso di
giustificare il suo popolo e lo fa prima di
qualunque azione buona. L’intervento di Dio si è sviluppato
dando all’uomo un cuore nuovo come
aveva predetto il profeta Ezechiele “Vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno spirito
nuovo” (Ez 36,26-28). Paolo vede, nella parola “redenzione”,
l’immagine del comperare uno
schiavo o liberare un prigioniero con il riscatto.
“È lui che Dio ha stabilito apertamente” (25). E’ chiaro il
richiamo alla crocifissione, palese a tutti
quelli che hanno fede, come “manifestazione della giustizia
di Dio per la remissione dei peccati
passati.” Ma qui si ricorda anche il “Propiziatorio” La
traduzione letterale dice infatti: “Dio lo ha
esposto come propiziatorio” (e viene tradotto “come strumento
di espiazione”). Il Propiziatorio è il
coperchio dell’arca su cui, nel giorno della espiazione, per
purificare il popolo dai propri peccati,
viene versato il sangue del capro, ucciso per la remissione
dei peccati. Il “propiziatorio” è il punto d’incontro tra uomo e
Dio, attraverso l’offerta del sangue; vengono in tal modo
espiate e distrutte le
colpe del popolo. Questa immagine, profondamente scolpita
nella consapevolezza d’Israele, viene
coraggiosamente applicata a Gesù da Paolo, al suo sangue che
nella coscienza del popolo è vita. E
quindi la crocifissione è come l’offerta della vita di Gesù
che distrugge il male nel cuore dei popoli,
il versamento del sangue sul propiziatorio. La morte di Gesù,
allora, per chi è credente, non diventa
maledizione per l’umanità, ma segno di giustizia di Dio che
riconosce in Gesù il giusto e rende giusti
tutti noi. Chi è credente scopre allora una speranza ed un
amore pieno di Dio. Intravede un cammino
fiducioso verso la santità stessa di Gesù.
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La stupenda moschea di Omar, costruita sopra la roccia sacra
dell'antico tempio ebraico. Su tale roccia Abramo avrebbe preparato
l'altare per immolarvi suo figlio Isacco; ai tempi di Salomone la roccia
avrebbe servito da base per l'altare degli olocausti |
Giovanni 8, 31-59
Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto:
"Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei
discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".
Gli risposero: "Noi siamo discendenti di Abramo e non
siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire:
"Diventerete liberi"?". Gesù rispose loro: "In verità, in
verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo
del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella
casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi
farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti
di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia
parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che
ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che
avete ascoltato dal padre vostro". Gli risposero: "Il
padre nostro è Abramo". Disse loro Gesù: "Se foste figli di
Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi
cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità
udita da Dio. Questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le
opere del padre vostro". Gli risposero allora: "Noi non
siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre:
Dio!". Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro padre, mi
amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono
venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale
motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non
potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre
il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro.
Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella
verità, perché in lui non c'è verità. Quando dice il falso,
dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della
menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la
verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se
dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio
ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate:
perché non siete da Dio".
Gli risposero i Giudei: "Non abbiamo forse ragione di
dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?".
Rispose Gesù: "Io non sono indemoniato: io onoro il
Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia
gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io
vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte
in eterno". Gli dissero allora i Giudei: "Ora sappiamo
che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i
profeti, e tu dici: "Se uno osserva la mia parola, non
sperimenterà la morte in eterno". Sei tu più grande del
nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono
morti. Chi credi di essere?". Rispose Gesù: "Se io
glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi
glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro
Dio!", e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se
dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore.
Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo,
vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio
giorno; lo vide e fu pieno di gioia". Allora i Giudei gli
dissero: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto
Abramo?". Rispose loro Gesù: "In verità, in verità io vi
dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Allora
raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù
si nascose e uscì dal tempio.
Questo testo, complesso e carico di fede e di lotte interne tra credenti, ha
al centro, continuamente, la
figura di Abramo, ricordato 8 volte e che, tuttavia, resta sullo sfondo non
come il vertice della
rivelazione, ma come colui che aspetta una soluzione matura nel suo cuore e
quindi una speranza.
Il testo inizia con l’affermazione di Gesù: “Sono la luce del mondo” (8,12) e
l’affermazione è fatta
nel tempio, nella Festa delle Capanne, quando particolarmente splende ovunque
la luce.
Gesù non vuole partecipare alla festa delle Capanne, a Gerusalemme, come
invece vogliono i suoi
parenti (7,3) che pretendono che, finalmente, si faccia pubblicità e si
mostri per quello che è. Gesù
deve far esplodere, come tutti sperano, il tempo del Messianismo. Ma Egli
rifiuta di andarvi,
affermando, esplicitamente, la pericolosità dell’andare a Gerusalemme. Ma
poi, in incognito, si reca
nella città santa e sale direttamente al tempio.
Egli parla pubblicamente, affrontando, come un buon maestro, i temi della
Scrittura, tra lo stupore
della gente che, comunque, si meraviglia della competenza senza che avesse
frequentato dei famosi
maestri. La discussione si fa subito accesa e intervengono solo alcuni che si
ritengono esperti mentre
la maggior parte delle persone ascolta. Le parole di Gesù sono subito di
fuoco.
Giovanni ricorda che Gesù parla presso il “Tesoro” (8,20), il luogo dove si
raccolgono i proventi
della raccolta del popolo per il tempio. Dagli interventi precedenti e
seguenti e dai giudizi, che Gesù
dà del culto, si risente la denuncia di un pesante sfruttamento delle
persone, riversato nelle casse del
tempio stesso che è diventato luogo di commercio e di ricchezza, deformazione
del culto e durezza di
cuore.
Gesù parla, ma a suo rischio e pericolo. Giovanni, in questi due capitoli
(7/8), ricorda 6 volte il verbo
“uccidere”. E, d’altra parte, il momento è tragico per il peccato della
classe dirigente. Perciò, nella
denuncia, Gesù chiaramente accetta di manifestarsi come Messia e come inviato
dal Padre. La
predicazione non propone “un’attesa, uno stare attenti, un preparatevi”, ma
diventa una chiara e
drammatica proposta: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei
discepoli; conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi” (vv31-32). E’ pur vero che qualcuno presta
attenzione a Gesù (“quelli
che avevano creduto”v 31), ma Gesù li avvia immediatamente sull’itinerario
dell’essere discepoli e
nella responsabilità di accettare pienamente la sua parola. E aggiunge:
”Conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi”. Viene toccato un nervo scoperto per il mondo ebraico
il quale, soggetto a Roma,
aspetta il messia. Ma la liberazione – è convinto- avviene con le armi, non
con l’accettare Gesù e il
suo messaggio. D’altra parte i discendenti di Abramo hanno sangue reale (Gn
17,16: Dio dice di
Sara, moglie di Abramo: « Io la
benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà
nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Essi
non possono, per questo, diventare schiavi.
Gesù deve allora inerpicarsi sui difficili sentieri della libertà: essa non,
viene dalla stirpe, ma viene
da Dio. Ed esiste una verifica della libertà. Si prova con il comportamento.
Chi è da Dio non è
bugiardo né omicida: solo Dio è libero. Così Gesù si oppone alla classe
dirigente poiché, nonostante
la propria attestazione di fedeltà a Dio, vuole uccidere Gesù poiché teme di
perdere privilegi e
sicurezze.
I gesti e i segni di Gesù mettono troppo in discussione la loro vita e la
loro impostazione religiosa.
Così, per un verso, Egli garantisce la libertà per chi accetta il suo
messaggio (8,31-36), per un altro
verso nega che i giudei abbiano come padre Abramo. Essi hanno un padre
diverso (8,37-40).
L’accusa velata che Gesù pone e che i giudei sospettano di sentirsi dire è
che essi dipendono
dall’idolatria, “figli della prostituzione”. Essi invece. rivendicano la
propria fedeltà poiché
riconoscono solo il Dio d’Israele.
In sintesi:
- 8,31-41a: la libertà, che i Giudei pretendono di avere già come figli di
Abramo, viene dalla verità
del Figlio;
- 8,41b-47 Gesù, passo passo, arriva a dichiarare che il loro Padre è il
nemico di Dio, l’omicida, e
quindi non vengono da Dio: si confronta la paternità di Dio e quella del
diavolo.
- 8,48-58 La risposta è organizzata in tre invettive. Altro che messia. Egli
è folle, indemoniato,
bestemmiatore fedifrago. La fede e l'unità con Cristo fanno superare la
morte, poiché Gesù è più
grande del tempo e perfino di Abramo. Gesù, infatti, è "IO SONO”
(traduzione del nome di Jahvè).
- 8,59 La conclusione è il tentativo di fare giustizia nel tempio, lapidando
Gesù. E Gesù fugge e si
sottrae.
Ma così, dice Giovanni, definitivamente Dio esce dal tempio (8,59). |