
SOLENNITÀ DI CRISTO RE
Ultima Domenica dell’Anno Liturgico C
10 novembre 2013
Matteo 25, 31-46
Riferimenti : Daniele 7, 9-10. 13-14 91
- Salmo 109 - Corinzi 15,
20-26. 28 |
Dio della mia lode, non tacere, poiché
contro di me si sono aperte la bocca dell'empio e dell'uomo di
frode; parlano di me con lingua di menzogna. Mi investono con
parole di odio, mi combattono senza motivo. In cambio del mio
amore mi muovono accuse, mentre io sono in preghiera. Mi rendono
male per bene e odio in cambio di amore |
Daniele 7, 9-10. 13-14 9
Io
continuavo a guardare, quand’ecco
furono collocati troni e un vegliardo si
assise. La sua veste era candida come la
neve e i capelli del suo capo erano
candidi come la lana; il suo trono era
come vampe di fuoco con le ruote come
fuoco ardente. Un fiume di fuoco
scorreva e usciva dinanzi a lui, mille
migliaia lo servivano e diecimila miriadi
lo assistevano. La corte sedette e i libri
furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni
notturne, ecco venire con le nubi del
cielo uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a
lui. Gli furono dati potere, gloria e
regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo
servivano: il suo potere è un potere
eterno, che non finirà mai, e il suo regno
non sarà mai distrutto.
Nel libro di Daniele c’è la volontà di voler intravedere il
senso della storia come si presenta, ai credenti
nel Dio d’Israele, nel secolo secondo avanti Cristo. Questo
capitolo inizia con la visione apocalittica di
quattro bestie che sorgono dall’oceano, il luogo del caos e
del male. Le bestie rappresentano il dominio e
il potere di quattro regni che si sono succeduti nel Medio
Oriente e di cui è stato testimone il popolo
d’Israele nel suo cammino faticoso: il leone che rappresenta
Babilonia, l'orso che rappresenta il popolo
della Media, il leopardo con quattro teste che è simbolo dei
Persiani che scrutano in ogni direzione in
cerca della preda, la quarta bestia, un mostro terribile, che
richiama il regno di Alessandro Magno e dei
suoi successori. Israele sta vivendo un tempo angoscioso in
cui si ribella e tenta di conquistarsi una
libertà, combattendo l'oppressione culturale e religiosa di
Antioco IV Epifane (175-164 a.C.).
Nella visione della storia, come luogo dell’operosità
dell’uomo e della giustizia di Dio, Daniele
intravede il giudizio finale come un grande processo da parte
di Dio, un vegliardo, che pronuncia la
sentenza contro le bestie che opprimono il mondo con la
violenza. Poi, all’orizzonte, appare uno, simile
a un “figlio d’uomo” che scende dalle nubi, perciò non viene
dal caos, dall’abisso ma dal cielo, ed è
portatore di speranza e di accoglienza, semplicemente “uomo”
ma viene nel mondo come risolutore della
speranza di un popolo e quindi può essere considerato come un
nome collettivo: uomo che rappresenta
Israele e che prenderà il posto rimasto vacante dalla caduta
degli imperi. Porterà finalmente la pace ed il
benessere. Sottometterà tutti i popoli come i regni
precedenti, ma viene da Dio, riceve i poteri da Dio e
regnerà indisturbato e giusto poiché il Signore gli avrà
riconosciuto potenza e forza su tutti i regni della
terra. Su questa attesa la guerra partigiana dei Maccabei
incomincia e si sviluppa con vicende via via più
promettenti, fino a pensare che si possa arrivare, non solo
alla indipendenza ma anche al dominio del
mondo come, d’altra parte, lo sono state altre nazioni.
Purtroppo però, anche i vincitori ebrei non sanno mantenere
salda l’alleanza con Dio e rientrano
anch’essi nella prospettiva del potere come violenza,
oppressione, intrighi e crudeltà.
La profezia di Daniele, tuttavia, continua a mantenere la
speranza e il tempo di Gesù è particolarmente
vivace nella prospettiva che si apre. Di fatto, Gesù
applicherà a se stesso l'espressione “figlio dell'uomo”,
mettendovi dentro sia l'aspetto più umano della sofferenza (Lc
22,22), sia quello più divino della facoltà
di rimettere i peccati (Lc 5,24), sia quello conclusivo della
storia (escatologico) del giudizio finale (Lc
21,27.36). Egli opera con potenza e bontà, promettendo in
futuro orizzonti di dominio e di pace
Questa attesa si alimenta continuamente e però fa impazzire
la distanza tra le attese di potenza sognate
nel mondo ebraico e l’impostazione di servizio, di
misericordia e di non violenza di Gesù.
Alla fine chi segue Gesù è completamente disorientato e non
fa assolutamente niente per reagire. Tutti
sono confusi: il progetto di Gesù non corrisponde per niente
alle profezie ed alle attese. Non lo si può
sostenere. Non ha senso. Quel disorientamento che angoscia
gli amici di Gesù e che fa ritenere che la sua
presenza sia stata solo illusione e sconfitta, continua
ancora oggi, e fa immaginare che tutto sia una
struttura impensabile da proporre o una ricerca di sogni
inutili. La potenza del mondo e del caos è
sempre più forte e imprevedibile; essa smantella tutto e
tutti. Gli altri progetti, speranze e attese sono
sogni che possono abitare il cuore di ciascuno quanto un
respiro ed una illusione; ma non c’è consistenza
né prospettiva significativa. Bisogna tuttavia riconoscere
che la fede cristiana è capace di non coltivare
più sogni di potenza e di gloria, di potere e di conquista.
Almeno questo si è fatta strada. Seguire Gesù è
un camminare per portare speranza nel mondo disorientato; non
però a poco prezzo ma a costo di
presenza, di solidarietà, di impegni di giustizia, di
responsabilità e di coraggio, di confronti e di
ricominciamenti.
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1 Corinzi 15,
20-26. 28
Fratelli, Cristo è risorto dai morti,
primizia di coloro che sono morti. Perché,
se per mezzo di un uomo venne la morte,
per mezzo di un uomo verrà anche la
risurrezione dei morti. Come infatti in
Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti
riceveranno la vita. Ognuno però al suo
posto: prima Cristo, che è la primizia; poi,
alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.
Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il
regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al
nulla ogni Principato e ogni Potenza e
Forza. È necessario infatti che egli regni
finché non abbia posto tutti i nemici
sotto i
suoi piedi. L’ultimo nemico a essere
annientato sarà la morte, perché ogni cosa
ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando
dice che ogni cosa è stata sottoposta, è
chiaro che si deve eccettuare Colui che gli
ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto
gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il
Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha
sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto
in tutti.
Sembra che i rabbini ritenessero che con la venuta del Messia
iniziasse il primo regno: “il regno del
Messia” o il regno del cambiamento e della rivoluzione; dopo
di che sarebbe venuto il “Regno di Dio”.
Così il regno del Messia sarebbe stato lungo quanto tutto il
tempo dell’umanità in attesa del giudizio
finale. In questa prospettiva si capisce il compito di Gesù
che avrebbe distrutto via via il male e
sottomesso tutti i nemici fino a distruggere la morte,
l’ultimo avversario.
I nemici, però, non sono le persone ma le forze del male che
impediscono all’uomo di vivere in
pienezza la propria esistenza: la malattia, la fame, la
nudità, l’ignoranza, la schiavitù, la paura, l’odio,
l’egoismo, il peccato. Quando tutto questo sarà superato e le
realtà negative, che schiacciano e
deformano la bellezza delle persone, saranno scomparse,
allora il Regno del Messia sarà compiuto.
Allora Gesù consegnerà al Padre il suo regno, purificato e
liberato, e inizierà il regno di Dio nella
pienezza. per l’eternità. Così all’inizio di questo testo si
dice che Gesù non elimina la morte biologica.
Questo nostro organismo lentamente si deteriora. Egli ha
vinto la morte con il suo significato di
annientamento e l’ha trasformata in una nascita definitiva,
in vita piena. A questo punto non possiamo
sottrarci alla spirale di novità che si innesta nella vita:
ogni atto di amore apre orizzonti di cambiamento,
ogni tentativo di solidarietà avvicina al Regno di Dio poiché
collabora nel progetto di Gesù, ogni
liberazione apre mondi nuovi e sgretola il male e la
disperazione. Ogni scoperta è un cammino verso la
liberazione. Il Regno si libera lentamente, con la
collaborazione e l’entusiasmo di tutti, credenti e no. La
differenza è data dalla consapevolezza e dalla coscienza che
si sta operando una liberazione in
compagnia di infiniti gesti e persone, sia pure ignare della
fede, ma disposte ad aprire al meglio
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Matteo 25, 31-46
In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella
sua gloria, e tutti gli angeli con lui,
siederà sul trono della sua gloria.
Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli. Egli separerà gli uni dagli altri,
come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla
sua destra e
le capre alla sinistra. Allora il re dirà a
quelli che saranno alla sua destra:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete
in eredità il regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo, perché ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi
avete vestito, malato e mi avete visitato,
ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno:
“Signore, quando ti abbiamo visto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare,
o assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando mai ti abbiamo visto straniero
e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo
vestito? Quando mai ti abbiamo visto
malato o in carcere e siamo venuti a
visitarti?”. E il re risponderà loro: “In
verità io vi dico: tutto quello che avete
fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà
anche a quelli che saranno alla sinistra:
“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i
suoi angeli, perché ho avuto fame e non
mi avete dato da mangiare, ho avuto sete
e non mi avete dato da bere, ero
straniero e non mi avete accolto, nudo e
non mi avete vestito, malato e in carcere
e non mi avete visitato”. Anch’essi
allora risponderanno: “Signore, quando ti
abbiamo visto affamato o assetato o
straniero o nudo o malato o in carcere, e
non ti abbiamo servito?”. Allora egli
risponderà loro: “In verità io vi dico:
tutto quello che non avete fatto a uno
solo di questi più piccoli, non l’avete
fatto a me”. E se ne andranno: questi al
supplizio eterno, i giusti invece alla vita
eterna».
Tutto il capitolo 25 racchiude come un testamento fondamentale di Gesù per i
suoi sulla laicità che orienta verso prospettive particolari di operosità e di
responsabilità. Dobbiamo tener presente, infatti che, solo qualche giorno dopo
la proclamazione di questo testo, Gesù sarà arrestato, condannato e crocifisso,
mentre egli stesso esprimerà infinito amore e infinito perdono per chi lo
uccide o lo tradisce. Si parla di
una parabola dedicata alle donne, una agli uomini ed una a tutti, uomini e
donne, indipendentemente
dalla loro religione o rango. E’ più di una parabola, ma suggerisce le linee
del giudizio.
Alle donne vengono riconosciute le responsabilità di essenzialità e
previdenza nel proprio ruolo,
mantenendo la sapienza del vivere e sapendo provvedere con saggezza a ruoli e
compiti di persone
affidabili (Mt 25,1-13): le dieci vergini aspettano lo sposo con le lampade
accese ma, al momento in cui
è maggiormente necessario l’essere pronte, scoprono di essere sprovvedute di
olio e quindi incapaci a
sostenere il ruolo per cui sono state chiamate. Risultano stolte cinque di
loro e cinque previdenti, sagge.
Agli uomini la parabola che li vede impegnati nel dover gestire in somme
ingentissime chiede la
responsabilità di far fruttificare le ricchezze che possiedono. Pur diversi,
i tre uomini, a cui si
riconoscono capacità diverse, si vedono affidare compiti compatibili con le
rispettive risorse: a uno sono
affidati 5 talenti (circa 160 kg d’oro), ad uno 2 talenti (circa 65 kg d’oro)
e all’ultimo un talento (circa
33 Kg d’oro). Alla fine dovranno rendere conto dei frutti guadagnati
(Mt25,14-30). E non è pensabile di
poter restituire solo il capitale: ognuno riceve e deve far crescere ciò che
ha ricevuto. In mancanza
d’altro, bisogna almeno mettere i soldi in banca per restituire con
l’interesse (25,27). Nella vita ciascuno
ha ricevuto tesori e ciascuno deve rendere nel mondo i propri frutti. Così
collabora alla vita del mondo,
creato da Dio.
Il giudizio. Il terzo testo (Mt 25,31-46) è il brano di oggi: drammatico,
conclusivo della storia, aperto a
tutti, uomini e donne, responsabili di una mondo segnato dal male in cui è
necessario intervenire per
sanare e aiutare. Il gesto del dividere come i pastori dividono le pecore e i
capri è una scena normale, in
Israele. Sul fare della sera, quando bisogna prepararsi per la notte, i capri
debbono essere separati dalle
pecore perché sono più delicati nel confronto del freddo e bisogna portarli
dentro l’ovile, al coperto,
mentre le pecore, per la lana che portano, vivono più facilmente nel fresco
della notte. Ci troviamo
davanti ad immagini drammatiche e, al limite, spietate. Siamo così obbligati
ad immergere il testo, in
modo particolare, nella cultura del tempo e soprattutto nello spirito con cui
Gesù vuole insegnare ai suoi
il significato della storia e della vita. Perciò questo testo va riletto
secondo un linguaggio tipico dei
predicatori del tempo che vogliono scuotere gli ascoltatori con immagini
impressionanti. Ma il motivo
non è tanto quello di suggerire ciò che avverrà nell'eternità, che resta il
mistero del Dio misericordioso
che si apre a noi, pur sapendo che le nostre scelte di male possono
procurarci un rifiuto totale di Dio.
In altri termini, siamo di fronte ad una visione che esprime il giudizio
sulla storia, sul mondo e sulle
azioni di ciascuno da parte di Gesù, e quindi su che cosa veramente è il
riferimento alla volontà di Dio.
La riflessione è per tutti e il riferimento si gioca sulla vita quotidiana,
che ci sta sotto gli occhi, in cui è
fondamentale la misericordia.
Il testo intende esprimere i valori di Dio che sono curiosamente contrari
alle scelte che normalmente si
compiono. E se ci si rende di avere, per caso, agito con gratuità e
compassione, ci accorgeremo che
proprio quelli sono gli unici gesti per cui ci sentiremo grati. Nella vita
siamo continuamente invogliati ad
agire per ottenere, per approfittare, per metterci in mostra, per guadagnare,
ma qui ci sentiamo
ringraziare dal giudice del mondo perché lo abbiamo aiutato nelle persone più
piccole e bisognose.
Le situazioni sono diverse. Le povertà potrebbero essere causate da colpe, da
disgrazie o da incidenti: la
fame, la sete, la malattia o il carcere, restare senza vestiti per coprirsi o
senza casa. Ci si deve muovere
senza guardare se l’altro se lo merita o meno. Vale la sua sofferenza
immediata: esprime mancanza di
attenzione e annullamento di dignità. Il giudice, che presiede al giudizio
del mondo e della storia, si
rivolge a ciascuno, ringraziando o rimproverando e ci si stupirà di quella
immedesimazione: “L’avete
fatto a me”. Perciò non si tratta del fare il bene per ottenere, avere
compassione per ricevere meriti,
aiutare qualcuno per guadagnare il paradiso. Siamo nell’anonimato, nel pieno
gratuito, nel disinteresse,
nel muoversi verso l’altro semplicemente perché l’altro ha bisogno.
Parla così Gesù che si presenta come “Figlio dell’uomo” (24,30), accompagnato
da “tutti i suoi angeli”:
la corte celeste che fa da cornice al giudizio finale. Egli è re, giudice,
viene chiamato “Signore” (25,34) e
si dice “Figlio di Dio” (25,34). Tutto si svolge come un dialogo tra il re e
i due gruppi divisi tra destra e
sinistra (nella simbologia religiosa la mano destra richiama gesti e
situazioni favorevoli). La verifica è
sul “fare” e sull’“aver fatto”. E il mondo si dimostra come un enorme catino
di sofferenze in cui
ciascuno è chiamato a sostenere e liberare. Non c’è nulla di eroico, ma se le
opere di misericordia sono
6, è perché Gesù non vuole enumerare tutte le povertà ma quelle che più
sorgono immediate, quelle del
proprio tempo e del proprio contesto. Ma poi, a tutti noi, spetterà il
compito di scoprire altre realtà di
sofferenze: l’ignoranza, la droga, l’oppressione, il disprezzo, la violenza,
la sopraffazione, la solitudine,
l’abbandono. la disoccupazione, l’insicurezza sul domani e l’angoscia di non
saper alleviare la povertà
dei figli. E l’elenco si allunga: la mancanza di case in affitto,
l’impossibilità di poter emigrare, sentirsi un
criminale se si è affrontata la fuga dalla guerra. Tutti sono chiamati alla
salvezza, e la strada c’è.
Terribile la responsabilità di chi predica l’interesse egoista, la volontà di
sfruttamento o la violenza.
Da qui l’invito a non accontentarsi di dire: “Signore, Signore” (Mt 7,21:
“Non chiunque mi dice:
Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli).
Quello che conta è l’essenziale agli occhi del Padre per ogni persona.
Paradossalmente questo testo ci dice che il vero giudice della storia è il
povero.
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