
II Domenica di Avvento
25 novembre 2012
Marco 1, 1-8
Riferimenti :
Isaia19, 18-24 - Salmo 86 -
Efesini 3, 8-13 |
Signore, tendi
l'orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice.
Custodiscimi perché sono fedele; tu, Dio mio, salva il tuo
servo, che in te spera. Pietà di me, Signore, a te grido tutto
il giorno. Rallegra la vita del tuo servo, perché a te, Signore,
innalzo l'anima mia. Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno
di misericordia con chi ti invoca. Porgi l'orecchio, Signore,
alla mia preghiera e sii attento alla voce della mia supplica.
Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido e tu mi
esaudirai. |
Isaia19, 18-24
Così dice
il Signore Dio: In quel giorno ci saranno cinque città
nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan
e giureranno per il Signore degli eserciti; una
di esse si chiamerà Città del Sole. In quel giorno ci sarà un
altare dedicato al
Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele
in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e
una testimonianza per ilSignore degli eserciti nella terra
d’Egitto.
Quando, di fronte agli avversari, invocheranno
il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li
difenderà e li libererà. Il
Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli
Egiziani riconosceranno in quel giorno il
Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte,
faranno voti al Signore e li adempiranno. Il
Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una
volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al
Signore ed egli si placherà e li risanerà. In quel giorno ci
sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in
Egitto e
l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno
culto insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il
terzo con
l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra”.
Per il popolo d’Israele l’Egitto è sempre stato il regno
nemico da abbattere: immagine di una nazione
schiavista che porta alla morte, paese di idolatria. Così
Isaia, nei capitoli 19 e 20, pronuncia un giudizio
sull’Egitto che però, in modo sorprendente, si capovolge; nel
tempo della sventura Dio soccorre e usa
benevolenza per un popolo sconfitto e in preda al terrore.
Negli anni del secolo VIII (prima del 701 a.C). i Faraoni
avevano tentato di porre resistenza contro l’Assiria,
cercando di coalizzare piccoli stati orientali per difendersi
e per fermare l’invasione. Isaia era sempre stato in
disaccordo con tale politica.
Nei primi versetti del cap. 19 vengono predetti il giudizio
di Dio contro l’Egitto: si sarebbero scatenate lotte
civili e sarebbe giunta l’invasione straniera ( come avvenne
attorno al 670 a.C.). Le predizioni sono
catastrofiche: dalla siccità del Nilo alle piante che,
perciò, si sono seccate al territorio tutto che diventa
deserto. Perdono il loro lavoro i tessitori, i pescatori, gli
agricoltori.
Poi improvvisamente lo scenario cambia (il testo di oggi),
tra i più stupefacente del VT riguardo la
conversione dei popoli al Dio d’Israele.
Si parla di 5 città abitate da Ebrei che fondano comunità e
colonie ebraiche, che convertono il paese alla fede
del Jhwh.
Di fatto c’è stata una dispersione della popolazione ebraica
che si è istallata anche in Egitto e si parla, nei
documenti di Elefantina, di un tempio costruito in onore di
Jhwh alla prima cataratta del Nilo. Non si sono
trovate le 5 città, archeologicamente, ma forse si tratta di
un numero simbolico per ricordare che qui si
stabilisce una popolazione che si appoggia alla Legge (5
libri). Probabilmente c’è anche il richiamo a
Eliopoli, “città del sole”, come si traduce il nome della
città, dove viene adorato il Signore e si giura sul suo
nome. Infatti ci si fida di Lui e su di Lui si imposta la
propria verità.
IL richiamo a un altare e ad un obelisco (stele) documenta la
fede in Jhwh che fa superare l’esclusività di
Gerusalemme e del suo unico tempio. Anzi si ripensa ad una
salvezza di popol, in Egitto, a somiglianza della
salvezza operata da Dio attraverso Mosè.
Si immagina che, finalmente, si costruirà una strada che
andrà dall’Assiria all’Egitto e vice versa e vi
cammineranno i popoli, passando attraverso Israele che “sarà
Benedizione” allo stesso modo di quella
benedizione che portò Abramo al suo popolo. C’è una splendida
visione che fa riconoscere una predilezione
particolare e un riconoscimento per i popoli pagani che,
finora, erano nemici e che finalmente sono
riconosciuti ed amati come un popolo unico di grazia.
In tutta la Scrittura non esiste una equiparazione simile.
Anche dove si parla di riconciliazione dei popoli
stranieri, Gerusalemme ed il suo tempio hanno sempre una loro
preminenza e le genti straniere o sono
sottomesse o almeno spontaneamente portano doni all’unico
tempio di Jhwh nella città santa.
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Efesini 3, 8-13
Fratelli, A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata
concessa questa grazia: annunciare alle genti le
impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare
tutti sulla attuazione del mistero nascosto da
secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché,
per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai
Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme
sapienza di Dio, secondo il progetto eterno
che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro
Signore, nel quale abbiamo la libertà di
accedere a Dio in piena fiducia mediante la
fede in lui. Vi prego quindi di non perdervi
d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi:
sono gloria vostra.
Tutto il capitolo 3 ripropone la consapevolezza che il
messaggio di Dio passa attraverso lui, Paolo, per
arrivare ai pagani. In fondo Paolo, ebreo convinto, e perciò
fedelissimo custode della fede d’Israele e, quindi,
della predilezione di Dio nell’Alleanza offerta solo agli
Ebrei, si stupisce di essere stato scelto da Dio per il
ruolo di apostolo “per le genti”. In pratica, ogni volta che
vi ritorna a pensare, si stupisce di questa vocazione
e di questa scelta. Non si rammarica poiché, nella sua
esperienza, ha scoperto splendore di fedeltà e di amore
anche tra i pagani ed ha assistito ad una rivoluzione del
cuore dei lontani, via via che accoglievano il
messaggio di Gesù. Non si pente, anzi si sente gioioso,
addirittura orgoglioso nella sua piccolezza e umiltà,
poiché, per mezzo suo, “annuncia alle genti le impenetrabili
ricchezze di Cristo”. Si sente tutta la sorpresa di
essere tramite tra la profondità di Cristo e l’immensità del
creato. Esiste un mistero gelosamente custodito da
Dio e assolutamente impensabile. Ora Paolo sa che quel
mistero passa per le sue mani e nelle sue parole.
E Paolo sa che, attraverso lui, sono svelate la grande
misericordia e la salvezza per tutti. Questo segreto è ora
affidato alla Chiesa perché, aprendo il mondo alla
“multiforme sapienza di Dio”, faccia scoprire anche ai
“principati e potenze dei cieli" la conoscenza del progetto
divino sul mondo.
Paolo sta suggerendo una vocazione che il Signore ha offerto
prima di tutto ai 12, quindi a lui come
annunciatore alle genti. Non si tratta di esserne degni, si
tratta di accogliere e di credere che il Signore passa
anche attraverso le nostre parole, le nostre scelte, la
nostra fede, le tribolazioni che richiedono una fedeltà
larga. Paolo conosce, perché l’ha percepito, il tesoro che va
comunque custodito, salvato e offerto: e sta
dicendo a tutti noi che siamo nella Chiesa che è il dono che
possiamo fare al mondo.
Un dono gratuito è ricevuto, e va riproposto e scambiato
senza altro guadagno nel sapere che il Signore, per
mezzo nostro, ha raggiunto altri e li rende fiduciosi,
portatori di speranza e di grazia.
La misericordia, che il Signore offre ad ogni popolo , senza
distinzione, ci immette sulla strada della pace
poiché ci impegna a rintracciare, noi stessi, la misericordia
di Dio con tutti, Certamente , ci dice Paolo, non
possiamo più permetterci di selezionare le persone per
classi, onore, stima ed interessi. Non possiamo
riprendere i miti della discriminazione, del razzismo, della
intolleranza o del fanatismo né accettare le paure
del diverso. Il Signore ci ha posto sulla strada
nell’accoglienza, del rispetto e della fraternità.
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Marco 1, 1-8
Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi
battezzerà con lo Spirito Santo. Inizio
del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta
Isaia: Ecco,
dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di
uno che grida nel
deserto: Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che
battezzava nel deserto e proclamava un
battesimo di conversione per il perdono dei
peccati. Accorrevano a lui tutta la regione
della Giudea e tutti gli abitanti di
Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui
nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli
di cammello, con
una cintura di pelle attorno ai fianchi, e
mangiava cavallette e miele selvatico. E
proclamava: «Viene dopo di me colui che è più
forte di me: io non sono degno di chinarmi per
slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho
battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Siamo probabilmente negli anni 60 d.C. e, a Roma, la piccola comunità
cristiana sente il bisogno di avere uno scritto di
riferimento su Gesù mentre molti, di quelli che lo hanno conosciuto, sono
ancora vivi. Si sceglie Marco, un discepolo molto
stimato che ha seguito Pietro e Paolo, documentato, serio.
Deve raccontare come la promessa che Dio aveva fatto al suo popolo con il
grande Isaia: “Io creo nuovi cieli e nuova terra; non si
ricorderà più il passato” (65,17), si stia avverando in Gesù.
E Marco, che poteva sintetizzare in dense formule teologiche il messaggio
della novità di Dio, preferisce raccontare.
E l’inizio del Vangelo di Marco, in un solo versetto, sintetizza tutto il
messaggio che vuole proporci, ricordandoci che sta riferendo
una notizia splendida: fa riferimento ad un personaggio: Gesù che è Messia
nel mondo ebraico (Cristo) e presenza di Dio come
Figlio del Padre.
Marco vuole raccontare ciò che Gesù ci svela, portatore di un segreto
nascosto nelle profondità dei secoli e che finalmente ci
viene offerto per la nostra gioia e speranza.
Perciò Marco racconta fatti gioiosi, attese di secoli per quel Messia
aspettato, ma assolutamente nuovo,
perché ha una personalità incredibile, legata a Dio in modo impensabile
perché Figlio.
Una tale presentazione, per quanto scarna e assolutamente insufficiente, apre
orizzonti di sorprese e di
perplessità. Si gioca immediatamente con l’incredulità di chi ascolta, con
l’impossibilità per chi pensa, con
l’ironia di chi ritiene di essere alla presenza di racconti ingenui.
Ma l’inizio stesso obbliga a incuriosirci fino alla fine, poiché il
personaggio, di cui si parla, è veramente
esistito, dice Marco, ed è nell’orizzonte delle nostre azioni, raggiungibile,
udibile, chiamato a rispondere e
chiamato a motivare, interpellato sulla sapienza e sui drammi delle persone,
disarmato di fronte a tutti,
sapiente e sincero, onesto nelle sue scelte e sorprendente, capace di dare
valore agli ultimi, agli intoccabili, ai
disonesti, ai lebbrosi, scoprendo che il valore di ciascuno è nel cuore di
Dio che li ama personalmente e Lui
garantisce per risollevarli, liberarli, rinfrancare, rincuorarli.
Il primo rapporto con la gente, però, raccontato da Marco, è per interposta
persona. Si chiama Giovanni e
parla ad un popolo che deve riconoscersi peccatore ed infedele. Egli viene
dal deserto e inizia a smascherare
il male e lo fa pubblicamente. Non è un annunciatore di disperazione. Nella
sua denuncia e chiarezza
incoraggia al perdono, alla speranza, alla purificazione. E’ un uomo che
crede nella capacità di saper
riconoscere, di saper finalmente denunciare il proprio male. Incoraggia un
popolo che scopre di poter essere
libero poiché qualcuno, coraggioso e fedele a Dio, osa richiamare ciò che
conta davvero e osa riprendere a
far sperare una giustizia più profonda. E il popolo, che accorre, sente di
aver bisogno di essere perdonato
mentre scopre un mare di malignità e di iniquità.
Giovanni si presenta così come il profeta: il vestito, la cintura, il
nutrimento fanno ripensare ad Elia,
all’uomo fedele che ha consacrato tutta la sua vita a Dio e non fa più nulla
per sé.
Così Marco, presentando Giovanni, sa collegare Gesù con la storia d’Israele,
la rivelazione di Dio e
l’annuncio dei profeti. Riprende l’Esodo (23,20: "Ecco io mando il mio
messaggero davanti a te” (è l'angelo
che precede Mosè nel cammino); Isaia (40,3: "Voce di uno che grida nel
deserto”); Malachia (3,1: "Ecco, io
mando il mio messaggero davanti a me", da leggere con Malachia 3,23-24:
"Invierò il profeta Elia... perché
converta il cuore dei padri verso i figli”).
Gesù non è ancora apparso all’orizzonte, ma è già presente come atteso. Marco
sta suggerendo le tappe del
riconoscimento e della sequela di Gesù. Prima di tutto bisogna entrare nella
propria vita, scoprire e chiarirsi,
cercare ciò che vale e rifiutare il male che si annida dentro. Il male è
subdolo, maligno, sinuoso. Giovanni è
l’immagine vivente che contrasta il male, fa da contro-specchio e suggerisce
a ciascuno una radicale
revisione.
Poi verrà l’Altro, colui che ci fa rinascere alla vita nuova, allo Spirito,
che ci riconsegna nella pienezza del
dono di Dio. Lo Spirito richiama la creazione, la parola nuova di Dio che
rigenera, la voce di Dio che
orienta, la forza di Dio che sostiene le scelte nuove di vita e la pienezza
di un popolo finalmente libero,
accolto dalla gioia del Padre.
"Preparate la via al Signore": significa non tanto aprire le strade dell'uomo
verso Dio ma quelle di Dio verso
l'uomo (es. Es 33,14). Togliere gl’inciampi e livellare il terreno permettono
possibile la venuta del Signore.
Allora ci prenderà per mano per orientarci sulle sue strade, e quindi sapremo
“amarlo, servire il Signore tuo
Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima?" (Deut 10,12).
Giovanni vive nella zona desertica a nord del Mar Morto, vicino alla comunità
degli Esseni (scoperta alcuni
decenni fa, a Qumran). In obbedienza al profeta Isaia (40,3), essi si erano
ritirati nel deserto a preparare la
via del Signore con le veglie, la preghiera e lo studio della Sacra
Scrittura.
Marco dice che i primi destinatari sono gli abitanti della Giudea e di
Gerusalemme perché sono il nucleo che
è rimasto convinto dell’attesa
“Il Messia, che viene dopo di me”, umilmente, si è fatto discepolo di
Giovanni: Il "viene dopo di me” si
potrebbe anche tradurre come: “viene dietro di me" (un primo tempo,
discepolo) ma è "il più forte" anche
contro Satana, e porta lo Spirito, profetizzato dai profeti su ogni credente
(Gioele 3,1 ss). Giovanni si sente
meno di uno schiavo, indegno di sciogliere i suoi sandali. Ma, come ciascuno
di noi, sa di essere chiamato a
testimoniarlo poiché dall’annuncio che fa, chi lo conosce, è possibile
trasmettere la speranza nel mondo.
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