
50 FESTA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO
20 ottobre 2013
Luca 6, 43-48
Riferimenti :
Isaia 60, 11-21 - Salmo 117 -
Ebrei. 13, 15-17. 20-21 |
Lodate il Signore, popoli tutti, voi
tutte, nazioni, dategli gloria; perché forte è il suo amore per
noi e la fedeltà del Signore dura in eterno |
Isaia 60, 11-21
Così dice il Signore Dio:
Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di
giorno né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza
delle genti e i loro re che faranno da guida. Perché la
nazione e il regno che non vorranno servirti periranno, e le
nazioni saranno tutte sterminate. La gloria del Libano
verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo
del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei
piedi.
Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei
tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante
dei piedi quanti ti disprezzavano. Ti
chiameranno «Città del Signore», «Sion del
Santo d’Israele».
Dopo essere stata derelitta,
odiata, senza che alcuno passasse da te, io farò
di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le
generazioni.
Tu succhierai il latte delle genti, succhierai le ricchezze dei
re. Saprai che io sono il Signore, il tuo salvatore e il tuo
redentore, il Potente di Giacobbe. Farò venire oro anziché
bronzo, farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno,
ferro anziché pietre. Costituirò tuo sovrano la pace, tuo
governatore la giustizia. Non si sentirà più parlare di
prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione
entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria
le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti
illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per
te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo
sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il
Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo
lutto.
Il tuo popolo sarà tutto di giusti,
per sempre avranno in eredità la terra, germogli
delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue
mani per mostrare la sua gloria.
Il popolo di Gerusalemme è orgoglioso di avere un tempio che
Dio stesso ha eletto come sua dimora sulla
terra. I testi che stiamo leggendo si riferiscono al terzo
Isaia, un profeta anonimo i cui scritti (cc 56-66) sono
stati inseriti nel grande libro di Isaia, vissuto circa tre
secoli prima. Siamo al ritorno da Babilonia dopo l'esilio
(587-538 a.C.), nel tempo in cui si sta ricostruendo la
Gerusalemme distrutta e si sta soprattutto ricostruendo il
Tempio di Gerusalemme (dal 520 a.C. in poi). Tutto costa
fatica poiché è un popolo senza risorse, povero,
sradicato un tempo ed ora profugo. Il ritorno ha riempito di
speranza e di sogni molti che hanno accettato la
fatica del cammino (non tutti), ma ora si ritrovano con i
grandi problemi della ricostruzione.
Perciò, da una parte si fidano di Dio che non abbandona, se
ha permesso, per circostanze strane e drammatiche,
di essere liberati da Ciro, re del popolo vincitore dei Medi
su Babilonia, e perciò sentono di essere grati a Dio
ed alla sua provvidenza. Questo testo corrisponde al sogno
che il profeta apre davanti, come garanzia di Dio.
Ogni elemento è di speranza e di benessere, di fiducia e di
pace.
Lasciare aperte le porte suppone che non si temono né ladri
né scorrerie di predoni. E il tempio accoglierà le
genti (sono popoli pagani e potenze straniere) che vengono a
rendere omaggio all’unico Dio, e quindi arrivano
a Gerusalemme che è il popolo alleato di Dio. Le immagini,
che scorrono davanti agli occhi, ricordano i
bassorilievi assiro-babilonesi con i re vinti in ginocchio
"proni alle piante dei piedi" del re vincitore.
Conseguenza di questi riconoscimenti e vittorie è la
ricchezza che affluisce. Il primo segno di benessere è lo
splendore del giardino in una città. L'abbondanza del legname
(v 13) ci riporta alla bellezza e all'abbondanza
del tempo di Salomone che, allora, aveva utilizzato il legno
delle foreste del Libano per il tempio ed ora lo
stesso legname può essere utilizzato per la città.
Poi le importazioni abbondano in metalli preziosi, utili per
le costruzioni e per lo sfarzo: oro, argento, bronzo e
ferro sostituiscono il materiale povero di cui si debbono
servire. L’altro segno di fiducia è la pace, garantita
sulla terra di Gerusalemme. Quindi il sorgere della luna e il
sorgere del sole non sono più considerati portatori
di luce perché c’è uno splendore più grande che è Dio. La
stessa immagine sarà ricordata in Apocalisse 21,23,
quando, alla conclusione del mondo, si apriranno "cieli nuovi
e terre nuove" (Ap 21,1). In una visione
apocalittica l’unica luce abbagliante e gioiosa nel mondo
sarà quella di Dio che non tramonta mai e sostituirà
ogni altra sorgente luminosa. Probabilmente, ci si riferisce
alle credenze di Canaan per cui il sole e la luna si
considerano divinità. Gerusalemme è un popolo di giusti e non
sarà tentato da alcuna idolatria. Solo Dio sarà
salvezza. Egli solo brillerà come luce eterna, perenne, per
Sion.
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Ebrei. 13, 15-17. 20-21
Fratelli,
per mezzo di lui dunque offriamo a
Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il
frutto di labbra che confessano il suo nome. Non dimenticatevi della beneficenza e della
comunione dei beni, perché di tali sacrifici il
Signore si compiace. Obbedite ai vostri capi e
state loro sottomessi, perché essi vegliano su di
voi e devono renderne conto, affinché lo
facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non
sarebbe di vantaggio per voi.
Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti
il Pastore grande delle pecore, in virtù del
sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro
Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché
possiate compiere la sua volontà, operando in
voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù
Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
Alla conclusione della "Lettera agli ebrei" l’autore è
consapevole di aver operato, scritto e insegnato con
coerenza e amore ai suoi destinatari. Vuole lasciare alcuni
ultimi sintetici messaggi che riescano a richiamare
ciò che ha sviluppato lungamente. Perciò ci distacchiamo dal
culto, che risale a Mosè, ed agli animali
sacrificati. Ora il culto più profondo nasce dal cuore ed è
un sacrificio di lode, carico del riconoscimento di Dioe della
fede maturata attraverso Gesù. Da questa fede nascono alcune
convinzioni che hanno lo spessore del
dono a Dio: "la beneficenza e il mettere in comune ciò che si
ha" (v 16). Lo sforzo e l’impegno per la coesione
interna della comunità suppongono obbedienza, partecipazione
e solidarietà con i responsabili (capi e guide)
poiché compiono un compito difficile, gravoso e spesso
faticoso, soprattutto quando non trovano
collaborazione ma diffidenza. Ma ci si rende conto che una
comunità deve saper sostenere la fatica e lo sforzo
dell’unità.
Il testo di oggi conclude con un augurio di pace che si
appoggia a colui che è fonte di grazia e fonte di
consolazione: il Dio della pace, che ci è stato comunicato da
Gesù, e che ha rinnovato una Alleanza eterna.
Egli saprà dare sufficiente forza a ciascuno di noi perché,
nel mondo, compiamo ciò che è gradito a Lui. C’è
sempre un collegamento stretto tra l’assemblea in cui Dio si
riconosce Alleato, la presenza dell’amore di Gesù
che rende eterno e incommensurabile questo incontro,
l’operosità di amore nel mondo, la testimonianza e la
gioia profonda di un cammino fiducioso.
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Nel
mondo ebraico la presenza divina aveva un particolare riferimento al tempio,
chiamato perciò spesso "casa di Dio". Dopo Gesù però la presenza di Dio non è
più, fondamentalmente, in un edificio.
E’ la comunità cristiana il nuovo tempio (2 Cor 5,16-17: "Noi siamo infatti
il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto"). La comunità, ovunque si
trovi,
in un edificio o all’aperto, nel Duomo o in un capannone, celebra nel mistero
la presenza di Dio in Gesù attraverso i segni consegnatici da Lui nella Chiesa
(i
Sacramenti). Certo, nelle Chiese cattoliche noi conserviamo l’Eucarestia che
è il mistero di Gesù celebrato in assemblea e che ci rimane per il dono
dell’adorazione a per chi ha bisogno della comunione.
E quindi Dio è nel cuore di ciascuno che opera nella vita quotidiana,
attraverso la consapevolezza di essere figli di Dio e l'operosità suggerita
dalla volontà di Dio
nel proprio cuore.
Luca 6, 43-48
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: Non vi è albero
buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che
produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto:
non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo
dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che
dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: "Signore, Signore!" e non fate
quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in
pratica, vi mostrerò a chi è simile:
è simile a un uomo che, costruendo una casa,
ha scavato molto profondo e ha posto le
fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il
fiume investì quella casa, ma non riuscì a
smuoverla perché era costruita bene.
Siamo, con il vangelo di Luca, nella lettura parallela del discorso "sulle
beatitudini" riportato da Matteo (capp
5-7). Si riscontrano tuttavia alcune differenze, date dal contesto per cui
l’evangelista scrive. Matteo ha davanti
un popolo di poveri che è assetato della Parola nuova di Dio e il continuo
sguardo critico dei farisei, dotti e
diffidenti, anzi avversari accaniti di Gesù per i loro presupposti che li
rende assolutamente incapaci di accettare
Gesù. Luca invece si preoccupa della sua comunità che vive in una cultura
greca e che è, certamente, costituita
da discepoli e che, tuttavia, almeno alcuni, mantengono difetti e rigidità
proprie di persone superficiali.
Se riprendessimo la lettura del Vangelo di oggi al versetto 39: "Può forse un
cieco guidare un altro cieco?",
scopriremmo che Luca fa una profonda ricerca, analizzando i limiti della sua
comunità, ma con la speranza di
aiutare a crescere. I difetti, che emergono tra i credenti, dice Luca, ci
fanno scoprire ciechi alla misericordia (v
39), presuntuosi (v 40), duri nel valutare gli altri e indulgenti verso se
stessi (v 41), sicuri di non aver bisogno
del perdono (v 42). Così ci viene posto il problema di un esame di coscienza
da fare su noi stessi e, nonostante
Luca utilizzi la stessa similitudine di Gesù sul costruire la casa, pone
accenti diversi. Matteo ci dice che la
bontà o meno di una persona si valuta dai frutti. Luca pone il problema di
ciò che si insegna sul fare. In fondo,
Luca vuol fare una verifica per i maestri che insegnano ed hanno
responsabilità nella Comunità cristiana.
Non basta avere fede, non basta pregare dicendo "Signore, Signore". E’
necessario fare quello che Gesù vuole.
E’ il messaggio che offre. Ma come so che quello che offro è buono o cattivo?
Debbo verificare le fondamenta
del mio vivere e rendermi conto se le appoggio alla roccia , avendo prima
faticosamente scavato fino ad
arrivarvi.
In altri termini, ciò che insegno deve nascere dal cuore. Ma quello che mi
nasce dal cuore, si misura
veramente sulla Parola del Signore e sulla sua volontà?
In questi mesi stiamo, con sorpresa, seguendo i messaggi e le parole di Papa
Francesco. Scopriamo che in lui ci
sono una grande libertà e una grande consapevolezza. Ma ci ricorda
continuamente, e nessuno lo può negare,
che le sue parole si ricollegano con semplicità e profondità alle scelte di
Gesù, scombinandoci le immagini di
grandezza, di pienezza e di potere, di ostentazione, di sfoggio, di
sontuosità e di sfarzo che molte volte lo
ritenevamo dovuto per un Papa.
Egli ci chiede di riprendere le raccomandazioni di Gesù. Non solo bisogna
fare opere buone e frutti, ma ciò
che si fa e ciò che si insegna va scavato fino ad arrivare alle fondamenta
della Parola di Gesù, ripensata
nell’oggi.
Abbiamo continuato a utilizzare immagini edilizie, eppure abbiamo abbandonato
gli edifici e ci siamo
incamminati sulle strade dell’accoglienza, sulle esigenze di disegni e di
progetti di vita, sulle coesioni di una
comunità che costruisce la pace. Siamo chiamati alla responsabilità di
verificarci sulla Parola di Gesù, sempre
da ricercare, sempre da interpretare, sempre da affrontare con trepidazione.
Ci sono garanzie? Il Papa sa di
avere, come compito, di aiutarci a cercare Gesù. Egli ci incoraggia a
desiderare di trovarlo, a vivere nella
libertà più profonda che viene da Cristo; ci anima a pregare per la Chiesa,
per il mondo ed anche per il suo
ministero, e resta fedele al suo compito di pastore che ci vuole liberi e
misericordiosi. E ci sa dire parole vere
di santità e di fedeltà.
Noi cerchiamo da lui le garanzie? Dobbiamo cercare da lui la fiducia, la
traccia di un cammino fedele, la
testimonianza che ci rincuora mentre sappiamo di doverci sostenere insieme.
L’unica garanzia che abbiamo è
Gesù.
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