VI domenica di avvento
DOMENICA DELL’INCARNAZIONE
20 DICEMBRE 2015
Luca 1, 26-38a
RIFERIEMNTI
: Isaia 62, 10 - 63, 3b - Salmo 71 - Filippesi 4, 4-9
Rallegrati, popolo santo; viene il tuo Salvatore. Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai poveri del popolo renda giustizia, salvi i figli del misero e abbatta l’oppressore. Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra. Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace.

Isaia 62, 10 - 63, 3b
In quei giorni. Isaia disse: «Passate, passate per le porte, / sgombrate la via al popolo, / spianate, spianate la strada, / liberatela dalle pietre, / innalzate un vessillo per i popoli». Ecco ciò che il Signore fa sentire / all’estremità della terra: / «Dite alla figlia di Sion: / “Ecco, arriva il tuo salvatore; / ecco, egli ha con sé il premio / e la sua ricompensa lo precede”. / Li chiameranno “Popolo santo”, / “Redenti del Signore”. / E tu sarai chiamata Ricercata, / “Città non abbandonata”». «Chi è costui che viene da Edom, / da Bosra con le vesti tinte di rosso, / splendido nella sua veste, / che avanza nella pienezza della sua forza?». / «Sono io, che parlo con giustizia, / e sono grande nel salvare». / «Perché rossa è la tua veste / e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». / «Nel tino ho pigiato da solo / e del mio popolo nessuno era con me».

Siamo al canto del ritorno, della gloria del popolo finalmente splendido e salvato, della scoperta della bellezza della sua elezione da parte di Dio che ha scelto Gerusalemme come sposa. I primi versetti del capitolo 62 celebrano questa bellezza e questo splendore: "Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo". (62,3-4) E continua: "Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. (62,5). In questo splendore si formulano anche gli inviti. Ma bisogna rendere possibili gli accessi a questa città poiché bisogna onorare l'ospite prezioso che è il Signore, il Salvatore sta per entrare e facilitare gli invitati, anche "alzando un vessillo per i popoli". Questa Gerusalemme perciò, visitata da tutti i popoli e che riceve, insieme, come città della pace, il Signore, è inondata di regali e di ricompense per il progetto futuro. Vengono dati a Gerusalemme quattro nomi simbolici che indicano le qualità del nuovo popolo di Dio: «"Li chiameranno "Popolo santo", "Redenti del Signore", "Ricercata", "Città non abbandonata"».
Nel voler celebrare la grandezza e la novità il profeta della restaurazione della città liberata inserisce un testo carico di quelle immagini di guerra che un combattente eroe, vincitore e liberatore di Gerusalemme, porta con sé. Dio viene descritto come un vendemmiatore che torna dopo aver pigiato l'uva nel tino: i suoi abiti sono sporchi di mosto ma quel mosto è il sangue dei popoli nemici di Israele di cui Edom è il nemico tradizionale. Le stesse immagini e il ricordo preciso di Edom, in modi più tempestosi e più apocalittici, vengono ricordati in Isaia al capitolo 34 (Is.34,1-7). Senza scandalizzarci del linguaggio culturale del tempo, il Signore rivendica la sua giustizia, la sua forza e la sua totale scelta personale senza interventi né collaborazioni da parte di alcuno. E' il suo modo per sottolineare la pienezza di amore e quindi la gratuità. Viene immaginato un dialogo tra questo personaggio misterioso e vincitore e le sentinelle che invitano lo sconosciuto ad identificarsi (63,1-6). La risposta dà il profilo di una battaglia dove il valoroso sconosciuto ha vinto, combattendo da solo. Perciò la sua venuta non è per interesse, né per la volontà di potere e di potenza, ma solo per mantenere la sua parola e sua fedeltà alla sposa: Israele. E' chiaro che in una lettura cristiana colui che arriva è Gesù, potente ma che ha battuto il peccato e la morte nella sua vita. E' sporco del proprio sangue e non del sangue di altri.

Filippesi 4, 4-9
Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

La prima parte di questo testo (4,4-5) e la terza parte (4, 8-9) hanno, come riferimento, la vicinanza di Dio, mentre, nella parte centrale (4, 6-7), la preghiera apre la propria vita sul mondo di Dio attraverso una comunicazione profonda di ringraziamento, di suppliche e di intercessione. Così, concludendo la lettera, Paolo, dopo alcune esortazioni, consigli pratici e raccomandazioni, invita alla gioia. "Rallegratevi nel Signore". E se può sembrare una stranezza comandare la gioia, Paolo crede che ci si debba sforzare di raggiungere questo sentimento poiché egli stesso sta sperimentando la gioia in rapporto a Cristo risorto (il Signore). Egli ha scoperto di poterla vivere con fedeltà per la consapevolezza che il suo sacrificio può aiutare a far crescere la fede ai credenti di Filippi.
La gioia porta amabilità con gli uomini e la vicinanza della venuta del Signore; anzi, più che incentivare il distacco verso questo mondo, diventa occasione di un impegno più solido e saldo dì amore.
Il "Non angustiatevi" ricorda lo stesso verbo del discorso delle beatitudini (Mt 6,25-34) e impegna un giusto rapporto con le cose. Il cristiano, di fronte alle difficoltà, non può disperarsi ma deve fidarsi di Dio Provvidenza e deve chiedere ciò che gli serve per il proprio mantenimento. E nel momento stesso che chiede, secondo lo stile ebraico, deve anche ringraziare poiché il ringraziamento è costitutivo della preghiera, indipendentemente che si faccia una richiesta o che questa sia esaudita.
Allora "cuore e pensieri" (dimensione profonda e interiore della persona) saranno custoditi nella pace e quindi in quell'equilibrio che non prova più ansia né sgomento. Un atteggiamento di fiducia che accetta di camminare nella fedeltà al Signore e nella pace deve saper scoprire i valori fondamentali da cui ogni comunità non dovrebbe mai prescindere. Paolo elenca otto valori che toccano il vivere morale di ogni persona, e non solo quello della comunità cristiana. Il numero 8 è il numero della risurrezione, e quindi fa riferimento alla fede dei credenti in Gesù risorto che accolgono e vivono la speranza della vita piena. A conclusione del testo Paolo suggerisce di imitarlo poiché si è fatto per loro accompagnatore e maestro. Così l'augurio finale passa dalla pace di Dio (v 7) al Dio della pace (v 9). Se c'è Dio c'è la pace, e se c'è la pace Dio agisce.

Luca 1, 26-38a
In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Questo racconto è parallelo a quello, immediatamente precedente, in cui si narra l’annunzio a Zaccaria riguardante la nascita miracolosa di Giovanni; seguono poi, dopo il racconto della visitazione, i due racconti, anch’essi paralleli, della nascita di Giovanni e di quella di Gesù. L’annunzio a Maria è narrato sulla falsariga dei testi in cui Dio si manifesta e comunica la sua volontà a personaggi da lui scelti. In base a questo genere letterario il racconto lucano si articola nei seguenti punti: situazione di Maria e apparizione dell’angelo (vv. 26-27); saluto, turbamento di Maria e messaggio (vv. 28-33); domanda di una spiegazione da parte di Maria (v. 34); risposta dell’angelo (v. 35); conferimento di un segno (vv. 36-37); risposta di Maria e partenza dell’angelo (v. 38). L’evangelista inizia il suo racconto specificando che l’evento ha avuto luogo sei mesi dopo l’apparizione dell’angelo a Zaccaria nella «città» di Nazaret, che in realtà era un piccolo villaggio rurale della Galilea. Vengono presentati i personaggi: Gabriele e Maria. Gabriele è l’angelo della presenza, la cui apparizione in precede immediatamente la profezia delle settanta settimane: a lui spetta dunque un ruolo particolare in vista degli ultimi tempi. La persona da cui si reca porta un nome molto comune nel mondo giudaico: Maria (Myriam) era la sorella di Mosè, la cui cognata, moglie del sommo sacerdote Aronne, si chiamava Elisabetta. Il nome Maria evoca l’idea di «padrona» o di signora. Sembra che, secondo Luca, Maria fosse di origine sacerdotale, essendo parente di Elisabetta (1,36), moglie di un sacerdote e quindi lei stessa di famiglia sacerdotale (i sacerdoti di solito si sposavano con ragazze della propria stirpe).
Maria è una parthenos, cioè una ragazza, e pertanto, in generale, una vergine, e al tempo stesso è «promessa sposa» (emnêsteumenê, sposata). Nell’ambiente dell’epoca, e soprattutto in Galilea, una ragazza di poco più di dodici anni poteva essere già data in sposa, ma rimaneva per un certo tempo nella casa paterna, prima che il marito la portasse a vivere in casa sua (cfr. Mt 25,1-13). Non sorprende quindi che Maria sia designata contemporaneamente come sposata e vergine: proprio questa situazione a prima vista contraddittoria costituirà la molla della narrazione. Del suo fidanzato (sposo) si dice semplicemente che portava il nome di Giuseppe, uno dei grandi patriarchi di Israele, e che apparteneva alla casa di Davide, alla quale erano state fatte le grandi promesse messianiche (cfr. 2Sam 7). Per un lettore del I secolo la venuta di Gabriele preannunciava già in se stessa una rivelazione imminente, riguardante la «fine dei tempi» e il mondo escatologico.