 IV DOMENICA DI AVVENTO
L’Ingresso del Messia 6 dicembre 2015
Lc 19,28-38
Riferimenti : Isaia 4,2-5; Salmo 23 - Ebrei 2,5-15
Lc 19,28-38 |
Alzatevi, o porte: entri il re della gloria. Chi
potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo
santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge
agli idoli, chi non giura con inganno. Egli otterrà benedizione
dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza. Ecco la generazione
che lo cerca,che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe |
Isaia 4, 2-5 In quel tempo. Isaia
disse: «In quel giorno, il germoglio del Signore
crescerà in onore e gloria e il frutto della
terra sarà a magnificenza e ornamento per i
superstiti d’Israele. Chi sarà rimasto in Sion e
chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato
santo: quanti saranno iscritti per restare in
vita in Gerusalemme. Quando il Signore avrà
lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà
pulito Gerusalemme dal sangue che vi è stato
versato, con il soffio del giudizio e con il
soffio dello sterminio, allora creerà il Signore
su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi
delle sue assemblee una nube di fumo durante il
giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante
durante la notte, perché la gloria del Signore
sarà sopra ogni cosa come protezione».
Un bellissimo annuncio di speranza nasce da una
condizione di sofferenza e di sconfitta. Il
primo versetto parla addirittura di "sette donne
che afferrano un sol uomo e gli domandano di
«portare il suo nome», cioè che possano averlo
come loro signore e loro marito poiché gli
uomini della città sono stati decimati dalla
guerra (3,25-26). Le figlie orgogliose di
Gerusalemme diventeranno concubine, ma sono
disposte a sposare insieme un uomo solo e a
mantenerlo, pur di averlo marito e di avere da
lui dei figli. Non essere sposata era
considerato essere disonorata, perché infeconda
e priva di futuro (Dt 25,5-6). Il profeta
intravede una speranza nel futuro. Tutto inizia
con "il germoglio del Signore", che sarà il
Messia (Ger 23,5=33,15;Zc 3,8;6,12), e il
"frutto della terra" che può indicare le
benedizioni di Dio sulla terra e la ricchezza
che rinasce sul suolo di Palestina. Questo
testo è probabilmente una riflessione maturata
dopo l'esilio di Babilonia che riassume per i
ritornati, i superstiti, il futuro di speranza.
Tutta la spiritualità ebraica conduce alla
consapevolezza che la propria infedeltà causa la
rovina di tutto il popolo, ma conduce con
altrettanta fiducia alla convinzione che Dio ama
il suo popolo e, quindi, un piccolo «resto»
sfuggirà alla spada degli invasori e
sopravvivrà. Ne parlano molti profeti: Amos,
Isaia, Michea, Sofonia, Geremia ed Ezechiele.
Rimasto a Gerusalemme, questo "resto" continuerà
a mantenere il valore di un popolo, fatto santo
da Dio, ora purificato e ormai fedele. Esso
diventerà una nazione potente. Dopo la
catastrofe del 587, quando Gerusalemme fu
distrutta completamente, si pensò che il "resto"
era tra i deportati, Convertendosi durante
l'esilio alla legge del Signore e purificandosi
dagli idoli che avevano in precedenza accettato,
sarebbero sopravvissuti. Ci sono i ricordi del
tempo dell'Esodo poiché si elenca la nube di
giorno e il bagliore di notte come segno della
presenza e della protezione di Dio. E' il tempo
dell'Alleanza, del fidanzamento e del matrimonio
con Dio. La "protezione", qui ricordata, è anche
un particolare riferimento al baldacchino,
chiamato "chuppà" che ancora oggi è un elemento
essenziale per la celebrazione delle nozze. Può
essere un telo o una copertura e richiama la
tutela di Dio.. La comunità cristiana vedrà in
Cristo il vero «germoglio» dell'Israele nuovo e
santificato.
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Ebrei 2, 5-15 Fratelli, non certo
a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale
parliamo. Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha
dichiarato: «Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il
figlio dell’uomo perché te ne curi? / Di poco l’hai fatto
inferiore agli angeli, / di gloria e di onore l’hai coronato / e
hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi». Avendo sottomesso a lui
tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso.
Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a
lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco
inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore
a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio
egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti
che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le
cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse
perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla
salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono
santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo
non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: «Annuncerò il
tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all’assemblea canterò le
tue lodi»; / e ancora: / «Io metterò la mia fiducia in lui»; / e
inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato». Poiché
dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche
Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre
all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il
potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore
della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Nella Comunità cristiana c'è molta stanchezza che può
portare al rilassamento. Bisogna, infatti, ubbidire con maggior
impegno alla Parola di Gesù, con una coerenza e attenzione più
mature che non l'ubbidienza della legge ebraica. Se la legge è
stata data dagli angeli e " si è dimostrata salda, ed ogni
trasgressione o disubbidienza ha ricevuto giusta punizione" (Eb
2,2), tanto più bisogna prendere sul serio una salvezza così
grande, portata da Gesù. Dio stesso ha messo mano: è "il mondo
futuro della salvezza". Tale salvezza "cominciò a essere
annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che
l'avevano ascoltata, mentre Dio ne dava testimonianza con segni
e prodigi e miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo,
distribuiti secondo la sua volontà" (Eb 2,4-5). Questo futuro ci
viene da Gesù. Egli è vero uomo, come ogni uomo che "di poco hai
fatto inferiore agli angeli" (Eb 2,7 che si rifà al salmo 8,5).
Egli, che si è abbassato" poiché nella sua vita mortale si è
privato della sua gloria (Fil 2,6-11: "svuotò se stesso, pur
essendo Dio"), ha vissuto come ogni altro uomo la sua
limitatezza, ma accettò fino in fondo la volontà del Padre,
arrivando alla morte. Perciò il Padre lo ha «coronato», e alla
fine dei tempi avrà il dominio su tutto. Questo è il mondo nuovo
che porta la salvezza e che è tutto nelle mani di Gesù. Noi non
ce ne rendiamo ancora conto di questa sovranità di Gesù sul
mondo (Eb2,8) e i primi cristiani, che si sentono disprezzati e
perseguitati, sembra che attendano con fatica, ancora, l'avvento
del regno di Dio sulla terra (2Pt 3,4). Ma Cristo è già entrato
nella gloria, e si è conquistato questo primato sugli angeli per
sé ed anche per tutti noi. E' sempre una strana scoperta
ritrovare nella Parola di Dio che "le sofferenze e la morte
rendono perfetto Cristo in quanto Salvatore, incaricato di
introdurre gli uomini nella gloria di Dio. Il verbo «rendere
perfetto», «compiere», ritorna spesso nella lettera: evoca i
diversi effetti dell'opera di Cristo nella relazione che l'uomo
ha con Dio ed evoca anche il rito di consacrazione dei
sacerdoti, l'«azione di riempire le mani (con le vittime)». In
questa salvezza Gesù crea una unità di cammino, anzi una
parentela che lega tutti noi in una fraternità con Lui. C'è una
comunione che ci viene dall'essere partecipi alla stessa natura
umana di Cristo; "il sangue e la carne sono comuni". E questo ci
libera dalla paura poiché Uno di noi sa lottare contro colui che
ha il potere della morte, cioè Satana. Il messaggio che ci viene
è grande: nessuno ci faccia paura se siamo nella linea di Gesù
che ci raccomanda al Padre, ci libera da Satana e dal male, ci
riscatta dalla schiavitù che ci viene dalla fragilità e
soggezione.
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Betfage,
villaggio tra Betania e Gerusalemme, sul monte degli ulivi, ove Gesù mandò a
prendere l'asino e il puledro.
Luca 19, 28-38 In quel tempo. Il Signore Gesù camminava
davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a
Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo:
«Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul
quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi
domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha
bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre
slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il
puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora
da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre
egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla
discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di
gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano
veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, / il re, nel nome del Signore. /
Pace in cielo / e gloria nel più alto dei cieli!». In questa
quarta domenica di avvento, viene proclamato, dal Vangelo di Luca, il passo
che racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme; il brano segna la conclusione
del grande viaggio di avvicinamento di Gesù a questa città dove si compirà il
suo destino di morte e di risurrezione. Il richiamo al periodo della vita
terrena di Gesù che prelude la sua passione e morte, viene ripreso nel cuore
del periodo di Avvento, perché nel mistero cristiano, non si può separare il
Natale dalla passione, il Natale dalla Pasqua. E’ quasi un monito affinché
questa attesa del Dio che si farà bambino, sia attesa del Dio creatore che si
è dato un nome, si è reso invocabile, si è reso quasi toccabile da parte
degli uomini e la cui missione è quella di dare la vita per redimere il
mondo, affinchè sia l’ attesa di quel Dio che nessun luogo può contenere e
che, tuttavia, si da un luogo ed un nome, in mezzo a quegli uomini che Egli è
venuto a salvare. L’evangelista Luca, nel suo racconto, moltiplica i
particolari che mettono in luce i tratti della "regalità" del Messia e
insieme della sua origine celeste. La scena è localizzata sul monte degli
Ulivi da cui muoveva il corteo che accompagna il re che sta per essere
intronizzato e che una specifica tradizione giudaica crede essere il luogo
dello svelamento del Messia come della parusia , cioè del ritorno glorioso di
Gesù alla fine dei tempi e del conseguente giudizio finale. Così è della
"specifica cavalcatura": "un puledro su cui non è mai salito nessuno" e che
appare nei racconti biblici di intronizzazione. Così è dei mantelli stesi
sulla strada. Altri particolari mettono in luce l’origine celeste del re
Messia. Gesù infatti conosce anticipatamente ogni cosa e le acclamazioni dei
discepoli coinvolgono anche le schiere angeliche: «Pace in cielo e gloria nel
più alto dei cieli». Gesù, dunque, è di fatto il re Messia, l’atteso dal suo
popolo desideroso di riscatto di tipo politiconazionalistico, ma lo è in
maniera sorprendentemente diversa da tali attese. Nel mistero del Natale
salutiamo perciò in Gesù, il nostro re-Messia che viene «per ridurre
all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il
diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a
schiavitù per tutta la vita». Il Natale perciò, va compreso alla luce dei
misteriosi disegni divini che contemplano la venuta nel mondo del suo Figlio
che è proclamato re e capo dell’umanità "a causa della morte che ha sofferto"
. Il Prefazio della Messa destinato ad avviare la Preghiera eucaristica,
nella quale viene riprodotta la morte salvifica del Signore, così sintetizza
la storia della nostra salvezza a partire dalla "promessa di redenzione"
fatta da Dio all’uomo "dopo la colpa": «nella pienezza dei tempi hai mandato
lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse
il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci
infondesse di nuovo la vita eterna del cielo». Partecipando all’Eucaristia
quindi, noi stendiamo i nostri "mantelli", la nostra stessa vita, davanti al
Signore che viene e nel cantare con gli angeli «benedetto colui che viene, il
re, nel nome del Signore» riconosciamo la sua regalità, accettiamo la legge
dell’’amore ed invochiamo per noi la salvezza tanto attesa e possibile solo
attraverso di Lui.
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