
IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE
12.06.2016
Matteo 5, 21-24
Riferimenti : Genesi 4, 1-16 - SALMO 49 - Lettera agli Ebrei 11,
1-6 |
Parla il Signore, Dio degli dèi, convoca la
terra da oriente a occidente. «Non ti rimprovero per i tuoi
sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti». Al
malvagio Dio dice: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai
sempre in bocca la mia alleanza, tu che hai in odio la
disciplina e le mie parole ti getti alle spalle? |
Genesi 4, 1-16
In quei giorni.
Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e
partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo
grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele,
suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi,
mentre Caino era lavoratore del suolo. Trascorso
del tempo, Caino presentò frutti del suolo come
offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua
volta primogeniti del suo gregge e il loro
grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta,
ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu
molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il
Signore disse allora a Caino: «Perché sei
irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se
agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma
se non agisci bene, il peccato è accovacciato
alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e
tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele.
Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano
contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il
Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo
fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse
io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che
hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello
grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano
dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il
sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando
lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi
prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla
terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è
la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi
scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi
lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla
terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma
il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà
Caino subirà la vendetta sette volte!». Il
Signore impose a Caino un segno, perché nessuno,
incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò
dal Signore e abitò nella regione di Nod, a
oriente di Eden.
Tra Caino e Abele ci sono diverse
differenze di status. Caino è il primogenito.
Caino è agricoltore, quindi conduce una vita
sedentaria, Abele un pastore, quindi una vita
errante che lo porta a cercare sempre nuovi
pascoli. Il testo non dice il motivo perché
Dio gradisce Abele e la sua offerta e non
gradisce Caino e la sua offerta. E anche noi
dobbiamo preservare questa ignoranza, anche se
ci piacerebbe molto colmare questa reticenza del
testo. L’autore non ha ritenuto importante
farci partecipi di questo motivo, perché ha
ritenuto più importante farci riflettere su come
reagire di fronte a questa situazione. Se ci
facciamo prendere dall’invidia per la preferenza
del Signore invece di provare a renderci
graditi a nostra volta al Signore, vuol dire che
non sorvegliamo ciò che accade nel nostro
cuore. E’ come vigiliamo sul nostro cuore che
fa la differenza rispetto al nostro agire.
Alla domanda di Dio, Caino rispondendo: «Non lo
so. Sono forse io il custode di mio
fratello?» mostra come egli sia venuto meno
prima nel suo cuore e poi nei suoi
comportamenti ai doveri di primogenito che si
deve prendere cura del fratello minore.
Questo però non impedisce a Dio di prendersi
cura di Caino e del suo peccato.
L’imposizione del segno come protezione per
Caino, segno che può essere inteso, da chi lo
vede, come protezione di Dio nei confronti della
vita di Caino, ci spinge a considerare la
volontà di Dio anche nei nostri confronti. Egli
si prende cura di Abele e del suo sangue che
grida a lui, grido che può essere sia richiesta
di salvezza per sé,sia richiesta di
giustizia, che anche invocazione di aiuto per
Caino. Da questo grido accolto dal Signore
nasce l’agire di Dio verso Caino. |
Lettera agli Ebrei 11, 1-6
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di
ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono
stati approvati da Dio. Per fede, noi sappiamo che i mondi
furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha
preso origine il mondo visibile. Per fede, Abele offrì a Dio un
sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu
dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni;
per essa, benché morto, parla ancora. Per fede, Enoc fu portato
via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più,
perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere
portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Senza
la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina
a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che
lo cercano. Questo capitolo
della lettera agli Ebrei parla della fede dei nostri antenati.
L’autore accosta la fede alla speranza come il suo fondamento.
Se si ha fede si spera che ciò in cui si ha fiducia si possa
realizzare, quindi testimonia di ciò che non si vede ancora:
la salvezza futura. La fede dei nostri antenati li ha fatti
approvare da Dio, proprio perché hanno avuto fiducia nelle
sue promesse di vita. Il primo atto di fede è nella creazione
del mondo da parte di Dio. Questo primo passo è quello che fonda
la speranza che Dio si mantenga fedele al suo atto creatore e
che continui a darci vita. La vicenda di Caino e Abele ci
parla ancora oggi della innocenza di Abele e della sua morte
ingiusta, solo perché ha avuto fiducia in Dio offrendogli,
secondo l’autore della lettera, un sacrificio migliore di
quello di Caino. La fede di Enoc, gradita al Signore, gli ha
permesso di non passare attraverso l’esperienza della morte.
La fede è questo atto di fiducia nella bontà del Signore che
ricompensa coloro che hanno fiducia in lui e lo cercano. E’
un circolo virtuoso che richiede la nostra libera scelta non
in un atto di cieca fiducia, ma in una ragionevole fiducia in
ciò che vediamo: la creazione come segno dell’amore di Dio
per l’uomo che ha creato, e i suoi interventi nella storia
per sostenere coloro che hanno avuto fiducia in lui. |
Matteo 5, 21-24In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso
dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il
proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al
fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice:
“Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua
offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di
te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con
il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».
La liturgia ambrosiana delle domeniche dopo Pentecoste
ripercorre gli episodi più significativi della storia della salvezza,
quasi a voler proporre una meditazione rinnovata e più approfondita di
quanto il Signore sia presente all’umanità e di come le indichi le tappe
di un cammino e di un’alleanza che vorrebbe condivisa e sostenuta dal suo
popolo. Nei testi del vangelo, in particolare quello di oggi, la
manifestazione dell’angelo a Giuseppe vuole ricordare la svolta che la
nascita di Gesù opererà nella storia: Egli sarà, è il salvatore di tutta
l’umanità, senza preclusioni. Occorre il “si” anche di Giuseppe; e il “si”
di Giuseppe è, in un certo senso, più importante di quello di Maria perché
inserisce a pieno titolo Gesù nella storia del suo popolo, e quindi
dell’umanità intera. Lo rende legittimo, in piena parità e dignità di un
popolo di appartenenza. E’ bello pensare che Gesù, l’Emanuele (“il Dio con
noi”) dipenda non solo primariamente dal dono di Dio, ma anche, se posso
dire, a pari titolo, da questi due“si”; sono i “si” di due sposi che si
amano e che accolgono il dono di Dio, pur forse non comprendendone subito
appieno il significato, perché si manifesta in questo modo straordinario e
inaspettato per due persone semplici come loro. Ma ascoltano l’invito
dell’angelo a non temere: si fidano di Dio. E Giuseppe si assume la
responsabilità di accogliere con tutti i crismi della legalità religiosa e
pubblica Maria, sua sposa, e il bambino, di proteggerli e di formare una
famiglia. Questo brano evangelico su Giuseppe invita a trovare (o
ritrovare) la semplicità dei“si” importanti, la capacità di captare, se
pur evanescenti e flebili come nel sogno,le voci dell’angelo –cioè della
presenza del Signore, che parla in noi- che ci invitano a non temere , a
non chiuderci, ad accogliere il Bambino, ad esempio provvedendo a tanti
bambini che nel mondo sono considerati scarti, carne da trafficare o da
abusare. Ci son tanti modi per accogliere. La prima cosa però è
accogliere nel cuore.“Non temere, Maria”, “Non temere Giuseppe”; “Non
temere…” mettiamo qui i nostri nomi e accettiamo anche noi di diventare
collaboratori di nascite, di salvezze,di speranza, di tenerezza e di
misericordia. Cercando di non inflazionare superficialmente queste parole
ma lasciandoci scavare da esse nelle radici del cuore. |