V DOMENICA DOPO PENTECOSTE
19.06.2016
Luca 13, 23-29
Riferimenti : Genesi 18, 1-2a. 16-33 - SALMO 27 - Romani 4,
16-25 |
Ascolta la voce della mia supplica,
quando a te grido aiuto, quando alzo le mie mani verso il tuo
santo tempio. Sia benedetto il Signore, che ha dato
ascolto alla voce della mia supplica. Il Signore è mia forza e
mio scudo, in lui ha confidato il mio cuore. Mi ha dato aiuto:
esulta il mio cuore,con il mio canto voglio rendergli grazie. |
Genesi 18, 1-2a. 16-33
In quei
giorni. Il Signore apparve a lui alle Querce di
Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della
tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò
gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi
presso di lui. Quegli uomini andarono a
contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li
accompagnava per congedarli. Il Signore diceva:
«Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che
sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una
nazione grande e potente e in lui si diranno
benedette tutte le nazioni della terra? Infatti
io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi
figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare
la via del Signore e ad agire con giustizia e
diritto, perché il Signore compia per Abramo
quanto gli ha promesso». Disse allora il
Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo
grande e il loro peccato è molto grave. Voglio
scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto
il male di cui è giunto il grido fino a me; lo
voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e
andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava
ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si
avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il
giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta
giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere?
E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai
cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da
te il far morire il giusto con l’empio, così che
il giusto sia trattato come l’empio; lontano da
te! Forse il giudice di tutta la terra non
praticherà la giustizia?». Rispose il Signore:
«Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti
nell’ambito della città, per riguardo a loro
perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e
disse: «Vedi come ardisco parlare al mio
Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai
cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per
questi cinque distruggerai tutta la città?».
Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò
quarantacinque». Abramo riprese ancora a
parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno
quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a
quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio
Signore, se parlo ancora: forse là se ne
troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve
ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco
parlare al mio Signore! Forse là se ne
troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò
per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si
adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta
sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose:
«Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».
Come ebbe finito di parlare con Abramo, il
Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua
abitazione.
Questo racconto segue
l’annuncio della nascita di Isacco ad Abramo da
parte di Sara, entrambi sterili. Dopo
questo dono che realizza la promessa di Gen
12,-3 che vede una discendenza infinita per
Abramo, qui il Signore viene presentato dal
narratore biblico come una persona che vuole
coinvolgere Abramo nelle sue scelte, e non ne è
deluso. Viene presentato prima un dialogo
interiore di Dio con se stesso, in cui si
intravede la messa alla prova di Abramo, se
sia capace di prendersi cura delle nazioni, dopo
aver visto che la promessa di Dio si realizzerà.
La domanda di Abramo al Signore è quella che ci
poniamo anche noi: «Davvero sterminerai il
giusto con l’empio?». Si tratta della giustizia
di Dio: è una buona giustizia o è una
giustizia arbitraria, che non distingue il
giusto dall’empio?Questo gustoso racconto di
una trattativa tra Dio e Abramo, si ferma a un
certo punto: 10 giusti sono sufficienti per
salvare una città violenta. In questo caso
non si troveranno e la città verrà distrutta
dopo che Lot ne uscirà per salvarsi con tutta
la famiglia. Una rilettura cristiana ci dice
che un solo giusto, Gesù, sarà capace di salvare
non solo una città, ma tutta l’umanità. |
Romani 4, 16-25 Fratelli, eredi
si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e
in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non
soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella
che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi –
come sta scritto: «Ti ho costituito padre di molti popoli» –
davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama
all’esistenza le cose che non esistono. Egli credette, saldo
nella speranza contro ogni speranza, e così divenne «padre di
molti popoli», come gli era stato detto: «Così sarà la tua
discendenza». Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come
morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il
seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per
incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio,
pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche
capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato
come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli
fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere
accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai
morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla
morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la
nostra giustificazione. Paolo sta concludendo l’esposizione alla comunità di Roma della
sua teologia sulla giustizia di Dio mediante la sola fede.
Abramo ha creduto per fede alla promessa di Dio e per questo
è diventato erede del mondo (cfr. Rm 4,13).Dio è colui che
dà la vita e Abramo ha avuto fiducia in lui, nonostante fossero
avanti negli anni sia lui che sua moglie Sara: erano
consapevoli di non poter più avere figli,tuttavia Abramo
continuò a fidarsi del Signore che gli aveva promesso una
discendenza numerosa come le stelle del cielo. Questa fede è
ciò che rende giusto Abramo agli occhi del Signore e degli
uomini. Giusto perché si è fidato di Dio che attesta,
realizzando la promessa fatta, che Abramo è uomo fedele. E’
un circolo virtuoso tra fede, speranza e realizzazione, che
diventa così giustizia anche per noi che crediamo in Gesù
risorto dai morti. Nell’evento pasquale Dio si mostra ancora
una volta, e una volta per tutte, il Signore della vita che
realizza la promessa di vita per tutto coloro che credono che
sia capace di compiere questa opera di giustizia. Se crediamo
in lui diventiamo giusti non per le nostre opere, ma per la
nostra fede. Ed è la nostra fede nel Signore della vita che
ci fa compiere opere di vita, opere giuste che diventano il
segno della fede professata. |
Luca
13, 23-29
In quel tempo. Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono
pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la
porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci
riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi,
rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”.
Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire:
“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre
piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da
me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di
denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno
di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da
settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».
Non è che la domanda su quanti potranno essere i salvati
viene fatta a Gesù di punto in bianco. Ci troviamo in un contesto
preciso, che è indicato nel versetto precedente (qui omesso): “E passava
per città e villaggi, insegnando e facendo il cammino verso
Gerusalemme”(13,22)Siamo cioè nella sezione del vangelo di Luca che va
sotto il titolo “Verso Gerusalemme”, in cui l’evangelista vuole inserire
gli insegnamenti e i gesti di Gesù nella prospettiva dei fatti decisivi
della sua morte/risurrezione, che accadranno appunto a Gerusalemme.E’
il cammino verso la Croce, che radicalizza tutte le azioni e le parole di
Gesù, ed esprime soprattutto la preoccupazione di preparare i discepoli
alla grande fedeltà e testimonianza. C’era allora nelle scuole
rabbiniche il dibattito teologico sulla salvezza del popolo dell’Alleanza,
che spesso viene trasgredita: chi si salverà? Saranno pochi? o tanti? o
tutti? Gesù sorvola: a Lui interessa togliere a chi lo interroga su questioni
a tavolino la falsa sicurezza che può derivare da un’errata concezione
dell’appartenenza al Signore. Infatti la salvezza non è scontata per
nessuno. Dipende da Dio e dal tuo rapporto di fiducia in Lui, se si vuole,
dipende dalla tua fede nella gratuità della misericordia di Dio. E
subito c’è l’immagine della ‘porta stretta’, che, oltre alle varie e consuete
interpretazioni, fa venire in mente concretamente l’identificazione che nel vangelo di Giovanni è esplicitamente dichiarata, di Gesù con la porta (“Io
sono la porta”),ma soprattutto il richiamo a non lasciarsi affascinare
dai grandi portoni e portali del potere e dei paludamenti pubblici, che
ostentano desiderio di ammirazione e di superiorità, ma a prediligere le
porte umili di tutti i giorni, della gente comune, che appunto non
abbagliano con la loro grandiosità, ma accomunano nell’accalcarsi della
gente che si confonde e non accampa privilegi di passaggi. La porta
stretta è la porta dell’umiltà che richiede appunto lo sforzo di una scelta
non facile: quella di accettare di non essere messo in risalto, di non
mostrarti vanamente e falsamente arricchito. Di non far parte del corteo
degli applauditi. Il rischio è quello di non essere coerenti sino alla
fine, di fuggire , di essere respinti per la propria indecisione, di
perdere tempo, di indugiare nell’ingiustizia. Il versetto di chiusura
(anche questo omesso) è: “Ed ecco, ci sono ultimi che saranno primi e ci
sono primi che saranno ultimi”.L’invito è universale, a partire da quelli
che lo seguono con il cuore nel cammino verso Gerusalemme. |