
III DOMENICA DI PASQUA
10.04.2016
Giovanni 8, 12-19
Riferimenti : Apostoli 28,
16-28 - SALMO 96 - Romani 1, 1-16b |
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte. Giustizia e diritto sostengono il suo
trono. Annunciano i cieli la sua giustizia, e tutti i popoli
vedono la sua gloria. A lui si prostrino tutti gli dèi! Tu,
Signore, sei l’Altissimo su tutta la terra, eccelso su tutti gli
dèi. |
Apostoli 28, 16-28 In quei
giorni. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per
conto suo con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, egli fece
chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro:
«Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro
le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e
consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi
interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato
in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si
opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza
intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco
perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa
della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena».
Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul
tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a
riferire o a parlar male di te. Ci sembra bene tuttavia
ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti
sappiamo che ovunque essa trova opposizione». E, avendo fissato
con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal
mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando
testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù,
partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. Alcuni erano
persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non
credevano. Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano
via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo
Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri: /
“Va’ da questo popolo e di’: / Udrete, sì, ma non comprenderete;
/ guarderete, sì, ma non vedrete. / Perché il cuore di questo
popolo è diventato insensibile, / sono diventati duri di orecchi
/ e hanno chiuso gli occhi, / perché non vedano con gli occhi, /
non ascoltino con gli orecchi / e non comprendano con il cuore /
e non si convertano, e io li guarisca!”. / Sia dunque noto a voi
che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse
ascolteranno!». Con questo testo Luca conclude il suo
libro sulla missione degli apostoli: "gli Atti" che hanno
intrapreso, fermandosi, in particolare, prima sulle iniziali
vicende di Pietro nella Comunità cristiana e poi sulle missioni
di Paolo. Ora Paolo è giunto a Roma. Lo spiega lui stesso: ha
fatto appello a Cesare in seguito al suo arresto a Gerusalemme
da parte degli ebrei che poi lo hanno consegnato ai romani
(28,17-20). A Roma Paolo convoca i notabili dei Giudei per
spiegare la sua posizione. Gli garantiscono che da parte degli
ebrei di Gerusalemme non è arrivata nessuna accusa contro di lui
per cui non ci sono preconcetti, né sono state inviate spie o
staffette per scoraggiare e metterlo in cattiva luce. Paolo
inizia, perciò, un poco rassicurato, il suo annuncio e lo fa
utilizzando tutta la sua conoscenza e preparazione biblica:
"cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di
Mosè e dai profeti" (28,23). Qui, come ha sperimentato altrove,
si ritrova con diffidenze e rifiuti anche se alcuni si lasciano
convincere, provocando una sua reazione rassegnata, nella
constatazione che non può aiutare il suo popolo a incontrare il
Messia. E' l'occasione che Paolo intravede, come segno di inizio
di predicazione ai pagani. E' avvenuta la stessa cosa ad
Antiochia di Pisidia (13,46-47) ed a Corinto ( 18,6.). Lo
scontro e il disagio lasciano insoddisfatti tutti, per cui "se
ne andarono a casa". E questo significa un ennesimo smacco per
il compito di evangelizzazione. Paolo non rinuncia a priori, ma
sa che si deve iniziare dai fratelli ebrei senza potere trovare
scuse poiché i suoi fratelli nella fede hanno diritto di essere
i primogeniti della salvezza. Poi però ritorna sul lamento di
Isaia (28,26-27) che, in seguito, è fatto proprio dal
racconto dei 4 Evangelisti per giustificare il rifiuto di
Israele di fronte alla predicazione di Gesù. La conclusione è
l'universalismo: "Questa salvezza di Dio fu inviata alle
nazioni, ed esse ascolteranno" (28,28). Paolo non si scoraggia,
ma opera "con franchezza e senza impedimenti" (28,30) con tutti
quelli che vengono a lui. Si fanno spesso programmazioni e
progetti, ma poi il Signore ti conduce per altre strade che
vanno riconosciute e seguite. La Comunità cristiana impara a
scoprire il vero significato del privilegio e della elezione di
un popolo che non diventa esclusivismo di scelta da parte di
Dio, ma che si fa servizio, annuncio gioioso. Come credenti
scopriamo la responsabilità di dover svelare la novità del Padre
della misericordia per ogni persona poiché il Padre desidera che
tutti siano raggiunti nel suo messaggio di novità e di speranza.
Perciò il messaggio di questi giorni, ma che i Pontefici ci
stanno facendo da anni, è:" Aprite le porte, incontrate le
persone, accettate di condividere".
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Romani 1, 1-16b
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto
per annunciare il vangelo di Dio
– che egli
aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture
e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la
carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito
di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo
nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di
essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte
le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi,
chiamati da Gesù Cristo –,
a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per
chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal
Signore Gesù Cristo! Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo
di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché della vostra fede si
parla nel mondo intero. Mi è testimone Dio, al quale rendo culto
nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, come io
continuamente faccia memoria di voi, chiedendo sempre nelle mie
preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio,
io abbia l’opportunità di venire da voi. Desidero infatti
ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale,
perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi
confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. Non
voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto
di venire fino a voi –
ma finora ne sono stato impedito
–
per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre
nazioni. Sono in debito verso i Greci come verso i barbari,
verso i sapienti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto,
per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che
siete a Roma. Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è
potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede
Paolo scrive la Lettera ai Romani, di cui leggiamo l'inizio.
Egli incomincia un rapporto che si approfondirà nel tempo. Per
ora non ha avuto rapporti con la Comunità Romana che non è stata
fondata da lui, ma altri vi hanno portato la Parola del Signore.
Sa che è una grande comunità di giudeo-cristiani presso cui si
presenta e indica le caratteristiche del suo messaggio (Roma ha
circa 1 milione e mezzo di abitanti e circa 40.000 ebrei). -
Paolo si presenta come "servo di Gesù". Quest'ultimo titolo può
sembrare un dispregiativo ma Paolo si rivolge a conoscitori
della Scrittura dove si parla di Mosè, Giosuè e Davide "servi di
Jhwh". - Si presenta come "apostolo", quindi inviato nel mondo
per volontà di Gesù, con la vocazione di fondare tra i pagani
comunità cristiane. - Infine si presenta come "scelto" e quindi
onorato di annunciare il Vangelo di Gesù. La centralità della
fede si pone in Gesù Messia che si è rivelato a Pasqua nello
splendore della potenza di Dio che vince la morte: criterio e
risposta dell'esistenza umana. E la fede in Gesù della Comunità
romana ha raggiunto un alto grado di notorietà in tutto il
mondo. Paolo ne è suggestionato e continua a ripensare e a
desiderare di poter essere presente in questa Chiesa, mentre la
ricorda intensamente. Nel frattempo, continuando a pensarsi
strumento di Dio, schiavo e proprietà del Signore, interpreta i
fatti personali come indicazioni di Dio. In particolare l'aver
ricevuto la grazia della conversione (a Damasco -Atti 9) "lo ha
reso apostolo per suscitare l'obbedienza della fede in tutte le
genti". Saluta così con "Grazia e pace" per indicare ai
cristiani la benevolenza di Dio (Grazia) e la pace tra i
fratelli (1,7). Il richiamo alle proprie tradizioni ricorda che
l'elemento fondamentale, per tutti i credenti, è il culto, ma
Paolo traduce che il vertice del culto consiste
nell'evangelizzare: lo stesso sacrificio di Gesù si attua nel
manifestare l'amore di Dio. Così per Paolo: "Mi è testimone Dio,
al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il Vangelo del
Figlio suo" (1,9). Paolo insegna, qui ed in altri testi (es. Rom
12,1 ss), che il culto si vive particolarmente nella vita: è il
culto spirituale che ognuno propone mentre opera con
responsabilità ed amore nella vita quotidiana. E' qui che si
compie l'offerta gradita a Dio, molto più importante
dell'offerta sacrificale del tempio. Così ha vissuto Gesù. Nella
consapevolezza per cui agiamo nella fede, sulla quale fede ci
sentiamo gioiosi: "Non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza
di Dio per la salvezza di chiunque crede (1,16).
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Spianata del tempio con il muro del pianto - ove Gesù fece diversi
discorsi e tutto il popolo accorreva a lui, ed egli, seduto ammaestrava
il popolo |
Giovanni
8, 12-19
In quel tempo. Il Signore Gesù parlò agli scribi e ai farisei e disse: «Io sono
la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita». Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso;
la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do
testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono
venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi
giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il
mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E
nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono
io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà
testimonianza di me». Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi
non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il
Padre mio».
Il dialogo tra Gesù e i giudei si apre con la solenne proclamazione: "Io sono
la luce del mondo". Per fare questa affermazione, Gesù prende lo spunto dalle
luminarie della Festa delle Capanne, nella quale si illuminava il tempio di
Gerusalemme con tanta profusione di luci. Superando l'orizzonte giudaico, Gesù
si proclama la luce non solo di Gerusalemme, ma di tutta l'umanità. Egli, per la
prima volta, si proclama, in modo solenne ed esplicito, la luce del mondo, cioè
la rivelazione divina che porta vita e salvezza. Per non camminare nelle
tenebre, bisogna seguire Gesù, diventare suoi discepoli. Cammina nelle tenebre
chi rifiuta l'adesione personale al Figlio di Dio (cfr Gv 12,35.46) e chi odia
il proprio fratello (cfr 1Gv 2,9.11). I giudei accusano Gesù di vanagloria
perché rende testimonianza a se stesso e perciò concludono che la sua
testimonianza non è verace. In 5,32-37 Gesù aveva già portato a suo favore la
testimonianza del Battista, delle opere compiute e del Padre. Ora afferma che la
sua testimonianza è attendibile perché egli è una persona divina. In 5,31 Gesù
aveva detto: "Se fossi io a rendere testimonianza a me stesso, la mia
testimonianza non sarebbe vera". Ora qui sembra dire il contrario: "Anche se io
rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove
vengo e dove vado" (v. 14). Nel primo caso Gesù parlava della sua testimonianza
umana, nel secondo si appella alla sua natura divina. Gesù conosce per scienza
divina il mistero della sua origine. I farisei ignorano completamente la vera
identità di Gesù e la sua origine divina perché giudicano secondo la carne, a
differenza del Figlio che vive in sintonia e in comunione con il Padre che l'ha
mandato. Gesù che è pieno della grazia della verità (cfr Gv 1,14. 17) non solo è
la rivelazione vivente del Padre, ma con il suo giudizio mostra lo stato reale
degli uomini. La ragione della veracità del giudizio di Cristo sta nella sua
intima unione con il Padre. In tal modo è rispettata anche l'esigenza della
legge mosaica, che esige la testimonianza di due persone, perché Gesù non è
solo, perché il Padre è sempre con lui (cfr Gv 8,29; 16,32). "Gli dissero
allora: ‘Dov'è tuo padre?'. Rispose Gesù: ‘Voi non conoscete né me né il Padre;
se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio' ". Questa risposta di Gesù
insinua implicitamente la sua divinità. Egli dichiara che uno solo è suo Padre,
Dio, e che per conoscere il Padre bisogna conoscere lui che è suo Figlio. I
giudei ignorano la vera identità di Gesù, non sanno che egli è il Figlio di Dio
e tanto meno immaginano che per giungere alla vera conoscenza del Padre occorra
passare per la persona del Cristo. Gesù dichiara che nessuno può andare al Padre
se non per mezzo di lui che è via, verità e vita; che per conoscere il Padre
bisogna conoscere il Figlio; che vedendo Gesù si vede il Padre, perché l'uno
vive nell'altro (cfr Gv 14,6-11). Gesù attacca il giudaismo e gli nega ciò di
cui è più fiero: la conoscenza di Dio. Gli ebrei in realtà non conoscono Dio,
perché rifiutano il Figlio di Dio. Questa sublime rivelazione della vita
trinitaria fu proclamata presso la camera del tesoro nel tempio. Tale
precisazione forse vuol dare alla testimonianza un carattere più ufficiale e più
solenne. La frase finale "E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la
sua ora" è un ritornello che ricorre varie volte nel vangelo. Esso vuol mettere
in evidenza l'impossibilità, per i nemici, di impedire a Gesù di compiere la sua
missione secondo il disegno del Padre.
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