
V DOMENICA DI PASQUA
24.04.2016
Giovanni 13, 31b-35
Riferimenti : Atti degli Apostoli 4, 32-37 - SALMO 32 -
Prima lettera ai Corinzi 12, 31 - 13, 8a |
Dove la carità è vera, abita il
Signore. Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli
vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che
scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo
della sua veste. È come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti
di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per
sempre. |
Lettura degli Atti degli Apostoli 4, 32-37
In quei giorni. La moltitudine di coloro che erano diventati
credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno
considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra
loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano
testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti
godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era
bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano,
portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo
deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a
ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato
dagli apostoli Bàrnaba, che significa «figlio dell’esortazione»,
un levita originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette
e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.
Luca, scrivendo il seguito del suo
Vangelo come proseguimento e sviluppo della
presenza e dell’opera di Gesù risorto, nel breve testo di oggi
degli Atti, racconta la vita della comunità di
fratelli e sorelle, unita nel nome di Gesù. Tutti portano il
nuovo sigillo della vita piena e sono detti “i
cristiani”, (dopo qualche decennio, “ad
Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati
cristiani” At 11,26). Per essi la vita piena di fede deve avere
riflessi anche nei rapporti quotidiani con le persone della
comunità che si riconosce nella fede. Così la scelta
fondamentale di Gesù deve essere capace, insieme, di conoscere
il Salvatore e verificare la fatica, la sofferenza che vediamo
attorno, e il bisogno a cui portare sollievo. Non possiamo
provvedere a tutto ma, per lo meno, verificare e sottrarre
fratelli e sorelle dal bisogno, poiché si mettono insieme le
risorse. E’ vero che nel mondo greco ci sono richiami e ricordi
mitici dell’età dell’oro quando si favoleggia che, all’inizio
“tra amici tutto è in comune”. Ne parla Platone e altri
scrittori greci e latini, come Seneca. L’amicizia diventa un
elemento fondamentale di coerenza e di coesione per cui non si
accetta, potendo alleviare il bisogno, che un amico soffra. Per
questo all’amico si mette tutto a disposizione. Luca,
probabilmente, non ha la pretesa di ricostruire il mito. Luca
vuole aiutare a cogliere il senso di una esperienza che
capovolge i criteri della vita. La proprietà non è un assoluto
ma le risorse si utilizzano per alleviare la fatica di quelli
che conosciamo. Probabilmente non si tratta
però di un fatto generalizzato dal momento che si sente
l’esigenza di ricordare il gesto di donazione di Giuseppe che
offre il ricavato di una sua vendita agli apostoli. E tuttavia
non si tratta di minimizzare la generosità della Comunità
cristiana (ci sono tre sommari che riprendono lo stesso tema: At
2,42; 4, 32-37 (testo di oggi) e 5, 12-16). Infatti scopriamo
che c’è la impegnata e seria preoccupazione di un servizio
giornaliero di mense per i poveri e, in particolare, per le
vedove. E questa provvidenza, nella Comunità cristiana, costa
molte energie e pone fortemente un problema di carità generosa e
disinteressata. In realtà a Gerusalemme, molto presto, per
carestia e per il moltiplicarsi dei poveri, finiscono presto le
risorse dei cristiani nella città e si sente il bisogno
dell’aiuto delle altre chiese (At 11,29-30) per cui s. Paolo si
fa portavoce e raccoglitore della colletta (Gal 2,10). Anzi,
proprio questa è una delle più grandi preoccupazioni che Paolo
riprende nelle due lettere ai Corinzi (1 Cor 16,1-3; 2 Cor8-9;
12,16-18). Nella prima Comunità cristiana l’ideale perseguito
non è quello della spogliazione e della povertà volontaria, ma
quello di una carità che non può tollerare che vi siano dei
fratelli e sorelle nella indigenza. Paolo parla di “uguaglianza”
(isòtes) che nell’ellenismo è considerato elemento specifico
dell’amicizia, e che diventa il tratto distintivo della carità
fraterna (2Cor 8,13 “Non si tratta infatti di mettere in
difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia
uguaglianza”; 2Cor 8,14 “Per il momento la vostra abbondanza
supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza
supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza)”. La
comunità dei beni materiali può essere la manifestazione di una
più profonda comunione di cuore. Per chi è cristiano, allora,
questa attenzione all’uguaglianza deve diventare sempre più il
contenuto vero della democrazia. Ed è necessario che la nostra
sensibilità politica, che è impegno per il bene comune, si
alimenti di queste attenzioni e preoccupazioni. |
Prima lettera ai Corinzi
12, 31 - 13, 8a
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E
allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue
degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come
bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il
dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi
tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le
montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche
dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per
averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La
carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non
si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non
cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della
verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
La Comunità cristiana di Corinto, pervasa dalla presenza
dello Spirito, in particolare, gode di una ricchezza di doni
(carismi) che, a volte, raggiunge anche una sua spettacolarità.
Ci sono manifestazioni che conducono ad una utilità della Chiesa
per la conversione degli infedeli e sono frutto dei doni di Dio
e del suo Spirito,, ma altre assomigliano di più a stati
estatici pagani che portano al delirio, a perdita parziale o
totale della razionalità, a manifestazioni spettacolari, ambite
e apprezzate spesso, ma che inducono al disordine, alla
stravaganza e che, comunque, tolgono la libertà. Diventano
fenomeni di dubbia autenticità e vanno tutti verificati dalla
fede. Paolo suggerisce di attendere ai carismi più grandi e più
utili per l’edificazione della Comunità, ma suggerisce che il
vero fondamento è dato dalla "carità" (in greco “agape”) che,
poco usata, nel linguaggio cristiano corrisponde all’amore di
comunione. E’ “la via più sublime”. Essa è dono di Dio, è strada
da percorrere, è stile credente, è coscienza operativa nella
vita, è apertura di cuore che accoglie gratuitamente l’altro,
preoccupati, prima di tutto, dei suoi problemi. Ci troviamo di
fronte ad un testo famoso e bellissimo, mai sufficientemente
meditato. Sono molti gli aspetti che vengono riletti e calati
nella quotidianità: non è assolutamente un testo astratto o
moralistico. Esprime una ricchezza infinita che solo Dio
pienamente raggiunge, ma che a noi è dato come paradigma per
confrontarci e maturarvi la nostra esistenza.
- Il parlare nelle varie lingue mi farebbe un buon comunicatore,
ma senza la “carità” non evangelizzerei nessuno perché non
comunico il Signore.
- Così, senza la “carità”, la profezia, la conoscenza e la fede
non mi mettono pienamente in sintonia con il
Signore e le sue opere
- Anche il dare tutti i beni e il corpo stesso in sacrificio ,
senza la "carità" non mi fanno un benefattore:
sono nulla.
- Si propongono 3 aspetti in positivo: la "carità" è paziente,
benevola (v 4) e si rallegra della verità
(v.7)
- 8 stili di vita descrivono la "carità" negando il male (o
negando la morte: il numero 8 richiama la risurrezione, “il
giorno dopo il sabato”): “non è invidiosa, non si vanta, non si
gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio
interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non
gode dell’ingiustizia” (vv 4-7).
- 4 atteggiamenti del cuore garantiscono una totalità di
accoglienza: “Tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta”. Il tutto è ripetuto 4 volte: è la
totalità dell’orizzonte umano (numero 4). Si
sommano l’accoglienza, la fiducia, l’attesa piena e la non
violenza.
- “La "carità"” non avrà più fine (v 8) poiché è eterna come
Dio, che è carità” (Gv 4,8). Il pensiero di
Paolo viene ripreso, con chiarezza e nello stesso spessore,
nella lettera ai Galati (5,14): “Tutta la legge infatti trova la
sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te
stesso”.
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Gerusalemme - Interno del piano superiore del S. Cenacolo.
In questa sala, abbellita posteriormente dai Crociati. Gesù istituì l'
Eucarestia e diede gli ultimi ricordi ai suoi Apostoli. |
Giovanni 13, 31b-35
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato
glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in
lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli,
ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora
lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento
nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche
voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se
avete amore gli uni per gli altri»
Qual è il segno di riconoscimento dei cristiani? “Da
questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”
Il discepolo è uno/a chiamato ad amare, non con un amore qualsiasi, che può
anche essere un suo surrogato egoistico, così come spesso viene contrabbandato
dalla cultura effimera della logica mondana; ma l’amore con cui Gesù ci ha
amato. Un amore che si dona totalmente, che non pretende, che non schiavizza,
che non si concede, ma liberamente si apre alla gratuità, alla piena
condivisione. Infatti quello richiesto da Gesù, è un amore che libera, che si
esprime con tenerezza e rispetto, che stima l’altro, che lo accoglie, che entra
in un cammino comune. Non è un amore astratto, generico, ma richiede sguardi e
sorrisi, un darsi la mano per accompagnarsi reciprocamente nelle vie della vita.
L’amore di Gesù non è generico o superficiale o distaccato (come può essere
distaccato se è vero amore?), non ammicca da lontano o pretende esclusivismi, ma
riguarda volti e nomi precisi, persone che hanno e vivono una storia, che
piangono e ridono e faticano e si meravigliano e si donano alla vita ritenendola
un bene prezioso. Per l’amore richiesto da Gesù non occorrono
dottrine sapienti o elaborate ricerche, perché attiene alla
semplicità, alla essenzialità, a quella sfera della bellezza e della bontà che
ciascuno può ritrovare in sé, nella sua vena più genuina, quando si lascia
parlare il cuore facendolo risuonare delle parole di Gesù
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