
III di Quaresima
DOMENICA DI ABRAMO
28 febbraio 2016
Giovanni 8, 31-59
Riferimenti : Deuteronomio 6, 4a; 18, 9-2 - SALMO 105 - Romani
3, 21-26 |
Salvaci, Signore, nostro Dio. Abbiamo peccato
con i nostri padri, delitti e malvagità abbiamo commesso. I
nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie, non
si ricordarono della grandezza del tuo amore. Molte volte li
aveva liberati, eppure si ostinarono nei loro progetti. Ma egli
vide la loro angustia, quando udì il loro grido. |
Deuteronomio 6, 4a; 18, 9-22 In
quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele:
Quando sarai entrato nella terra che il Signore,
tuo Dio, sta per darti, non imparerai a
commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si
trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco
il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita
la divinazione o il sortilegio o il presagio o
la magia, né chi faccia incantesimi, né chi
consulti i negromanti o gli indovini, né chi
interroghi i morti, perché chiunque fa queste
cose è in abominio al Signore. A causa di questi
abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare
quelle nazioni davanti a te. Tu sarai
irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché
le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese,
ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma
quanto a te, non così ti ha permesso il Signore,
tuo Dio. Il Signore, tuo Dio, susciterà per te,
in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta
pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così
quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb,
il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non
oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda
più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il
Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va
bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai
loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole
ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se
qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà
in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il
profeta che avrà la presunzione di dire in mio
nome una cosa che io non gli ho comandato di
dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel
profeta dovrà morire”. Forse potresti dire nel
tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il
Signore non ha detto?”. Quando il profeta
parlerà in nome del Signore e la cosa non
accadrà e non si realizzerà, quella parola non
l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per
presunzione. Non devi aver paura di lui».
Mosè sta preparando l'entrata nella
terra d'Israele che il Signore ha destinato al
suo popolo. Abitare una terra significa
trasformarla come una propria casa: vi si
sviluppa il lavoro, si costruiscono le
abitazioni, si pongono i segni di culto. In
particolare le scelte religiose lasciano tracce
sulla terra che abitiamo e nel cuore di
ciascuno. E poiché ci vorranno strutture e
istituzioni per reggere questo popolo e
governarlo in un cammino verso la propria
pienezza e pace, nel libro del Deuteronomio, si
apre una sezione in cui parlare di uffici e
cariche: i giudici (16,18-20;17,2-13), la
monarchia (17,14-20), i sacerdoti (18,1-8) ed i
profeti (18,9-22). Resta chiaro, comunque, che
al centro della propria fede c'è un solo
Signore. Nella terra in cui si entra il popolo
troverà tracce di altre culture e religiosità,
scoprirà comportamenti aberranti fatti in nome
di Dio per cui, in circostanze drammatiche e
pericolose, si arriva ad uccidere e a bruciare i
propri figli e figlie in sacrificio agli dei. Il
popolo d'Israele poi troverà culti magici e
forme di divinazione che sono tentativi di
mediazione contrapposti alla mediazione di Mosé
(qui si fa l'elenco più completo delle pratiche
superstiziose che sono 8: "la divinazione o il
sortilegio o il presagio o la magia, chi fa
incantesimi, chi consulta i negromanti o gli
indovini, chi interroga i morti"). Tutto questo
si sviluppa soprattutto in momenti di crisi. E'
male poiché tenta di ricattare la potenza di Dio
a svelare il futuro e vuole costringere il
Sigmore ad operare secondo i propri desideri
insaziabili. Ma il futuro è nelle mani di Dio e
il compito del popolo è quello di ascoltare il
Signore. E se tutti questi "abomini" sono male,
nascono dalla volontà di possedere, dalla
pretesa della conquista e del potere, dalla
ricerca di ricchezza e di potenza. La profezia
nasce dalla richiesta di mediazione sull'Oreb.
Se Mosè può parlare con Dio faccia a faccia
(Es33,11), perché il popolo deve accettare la
rivelazione del Signore tra lampi e tuoni, come
sull'Oreb? Il popolo ha paura e non vuole
sentire la Parola del Signore proclamata in
questo modo. Questo disagio trova consenso e
comprensione nel Signore stesso. Così, venendo
incontro ai bisogni ed esigenze del suo popolo,
dona loro i profeti. Anche il popolo d'Israele
avrà persone che lo aiuteranno a nome di Dio
come tutti i popoli hanno persone dotate di
grandi poteri divinatori. Ma i profeti, che il
Dio d'Israele invia, sono diversi: non saranno
potenti né faranno paura, saranno i "profeti"
disarmati e non ricatteranno nessuno. Porteranno
la Parola del Signore e insegneranno ciò che il
Signore vuole nella giustizia e nella pace. Il
Signore garantisce un profeta, a somiglianza di
Mosè, che continuerà l'opera di Dio. I giudei
aspettano, dice l'evangelista Giovanni, un nuovo
profeta (Gv.1,21). Negli Atti (3,22-26) questo
nuovo profeta è identificato con Gesù: "Mosè
infatti disse: Il Signore vostro Dio farà
sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta
come me; voi lo ascolterete in tutto quello che
egli vi dirà. (3,22). Nella promessa il Signore
garantisce, in tal modo, un nuovo modo di
comunicazione. La Parola di Dio ha suscitato
problemi sull'Oreb poiché si è vestita di forza
tonante e fuoco. Ora non ci si gioca sulla paura
ma solo sulla Parola di Dio, il cui valore si
può misurare da ciò che il profeta predica e
garantisce, poiché si compie. Ma il profeta non
è indovino. Egli proclama una seria rilettura di
fatti, lo sgretolamento e la saldatura con la
forza di Dio. Anche oggi tutti noi siamo profeti
per vocazione, a somiglianza di Gesù, essendo
stati battezzati. Riceviamo la sapienza di Dio e
siamo chiamati ad analizzare le lacerazioni e le
novità del mondo che è sempre sotto lo sguardo
di Dio ed è tentato ogni giorno dal male. A noi
tutti spetta l'impegno di aiutarlo a scoprire la
forza di Dio e viverla quotidianamente.
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Romani 3, 21-26 Fratelli, ora,
indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di
Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio
per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che
credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato
e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati
gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che
è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come
strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a
manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati
passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la
sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e
rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù.
Paolo è a Corinto (inverno 57-58) quando scrive la
lettera. La lettera ai Romani costituisce uno spazio
intellettuale di Paolo che , con tutta la sua preparazione del
Vecchio Testamento e una esperienza cristiana maturata, affronta
i problemi più caratteristici del cristianesimo in un dialogo
ideale con la comunità composita (giudei e romani) di Roma. Il
peccato, trasgressione, attaccamento, viene visto nella sua
dimensione individuale e psicologica, in quella sociale e
collettiva ed in quella storica ed esistenziale. Cristo è venuto
per giustificare l’uomo. La giustificazione è il pareggio
realizzato tra la misura dell’uomo stabilita da Dio e la sua
attualizzazione concreta, di Dio nel senso che è Lui la causa
efficiente della sua realizzazione. Tutta la scrittura nel suo
complesso esprime l’azione rettificante di Dio nei vari tipi di
intervento nel mondo. Giustificazione per mezzo della fede in
Cristo: l’azione giustificante richiede l’apertura della fede
nel senso che Cristo annunciato nel vangelo costituisce il
contenuto della fede, ciò che si accetta credendo. Gli uomini
sono tutti sullo stesso piano, solo se si crede si può essere
giustificati e partecipare della gloria di Dio. La gloria è il
valore che si manifesta e si partecipa, ed è una partecipazione
di quello che Dio è. Dio prende l’iniziativa di questa
partecipazione (movimento discendente della gloria) e l’uomo se
ne rende conto, reagisce accettando, glorifica Dio esprimendo
quanto ha ricevuto nel suo comportamento in forme diverse che
costituiscono il movimento ascendente. Il cristiano in
conseguenza del peccato si trova in una situazione di chiusura
che finché rimane non può partecipare alla gloria. Il cristiano
vede in Cristo il luogo dove avviene l’incontro riconciliativo,
dove si manifesta e si realizza la bontà di Dio tendente a
superare il male del peccato. L’uomo fatto ad immagine di Dio
proprio come tale costituisce una manifestazione di quello che
Dio è: siamo quindi nell’ambito teologico della gloria che
l’immagine esprime e concretizza. Il cristiano privo
dell’accettazione e della gloria di Dio non realizza la formula
ideale escogitata per lui: essere Sua immagine. La fede deve
invadere tutta la persona, dopo l’ apertura iniziale al
contenuto del Vangelo, Gesù morto e risorto, diventa la
struttura portante del cristiano. L’azione giustificante di Dio
mediante questa disponibilità continua dell’uomo ad esprimere
Cristo acquista una dimensione positiva: il “pareggio”
realizzato permette alla creatura di riconoscere una nuova luce,
la luce della grazia; la grazia è la nascita ad una nuova vita,
quella dello spirito, che è propria dei figli di Dio. La Grazia
è un concetto bipolare, in Paolo indica la benevolenza attiva da
parte di Dio e l’effetto dell’uomo che essa produce. La
redenzione liberatrice nei riguardi dell’uomo da giustificare,
produce il passaggio dalla non appartenenza alla sottomissione
amorosa di Cristo che appaga nell’uomo la nostalgia del Padre.
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 Rovine
del pozzo di Abramo |
Veduta
della Moschea di Omar costruita sopra la roccia sacra dell'antico
tempio ebraico. Su tale roccia Abramo avrebbe preparato l'altare per
immolarvi suo figlio Isacco; ai tempi di Salomone la roccia avrebbe
servito da base per l'altare degli olocausti. |
Giovanni
8, 31-59 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli
avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli;
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo
discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi
dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi
dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non
resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il
Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di
Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova
accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi
dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il
padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste
le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha
detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le
opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da
prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse
vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto
da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio
linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per
padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era
omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non
c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e
padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.
Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi
credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate:
perché non siete da Dio».Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione
di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non
sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco
la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico:
se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero
allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come
anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà
la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?
Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io
glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il
Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece
lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma
io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i
Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse,
Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù
si nascose e uscì dal tempio. Un Dio fedele alle sue
promesse, come nella prima lettura, non mi basta. Molti uomini lo sono:
fedeli agli impegni, alla parola data, fedeli a se stessi. Ma la differenza
biblica è un Dio fedele non solo alle sue promesse, ma alla sua intenzione di
bene verso l’uomo, fedele ad una volontà d’amore, fedele ad un futuro buono:
“Renderò i suoi figli numerosi come le stelle del cielo”. Nel cuore di tutti
gli altri noi cerchiamo un perché, nel cuore degli altri un perché della
nostra vita. Tutte le creature del mondo, bambini, uomini, donne, ragazzi,
mogli, genitori, figli, suore, frati, perfino gli animali e i fiori, nel
cuore degli altri cercano un perché. Nel cuore di Dio noi cerchiamo un
perché. Oggi ci aiuta Abramo, che ha cercato e trovato, Abramo il padre nella
fede.Nel lungo conflitto riferito dal vangelo, Gesù dice ai giudei, ai
credenti e ai praticanti, di allora e di ogni tempo: voi avete costruito un
modello perfetto, ma non avete l’essenziale. C’è la religione, ci sono i
codici, ci sono le parole, ci sono i riti, ma non c’è più Abramo! Non c’è più
la fede! Quale monito anche per noi: Io che ho tutta la cornice religiosa, ho
davvero la sostanza, la fede? Ho Dio per padre? Una parola terribile di Gesù
ai credenti (solo a quelli di allora?): voi avete per padre il diavolo, siete
suoi figli. Inversione di paternità, terribile rischio per tutti. Avete
adottato un altro padre, perché ne fate le opere. Che sono due: violenza (è
l’omicida fin dal principio) e inganno (è il padre della menzogna).Come
evitare il rischio di essere figli del diavolo?Ascoltiamo Gesù: Chi è da Dio
ascolta la mia parola! Lo dice anche a noi. È il primo criterio. Ascoltare,
riaprire l’ascolto quotidianamente, tenacemente, fiduciosamente. Poi aggiunge
:Voi non siete figli di Abramo perché non fate le opere di Abramo. Fare le
opere di Abramo, secondo criterio per chi vuol essere da Dio. Mi sono chiesto
quali sono. Ne ho trovate tre: l'opera della fede, l'opera della libertà e
l'opera della speranza. L'opera della fede: Abramo è pronto all'impossibile,
a contare le stelle e a misurare la sabbia, lui che cammina per tutta la vita
dietro a quelle tre promesse: “Avrai più figli che stelle, una terra di latte
e miele e una benedizione”. Un figlio, una terra, una benedizione. E Abramo
va’. Vecchio d'anni ma non vecchio di cuore e ama le promesse di Dio più
ancora della loro realizzazione. Perché Dio è affidabile. E Abramo si affida.
Ciò che Dio promette è perfino eccessivo, incomprensibile, illogico, ma Dio è
affidabile. E quando deve portare il figlio Isacco sul monte e lo lega e alza
il coltello, ciò che sta facendo è incredibile, in quel momento Dio nega le
promesse di Dio, Dio nega Dio, c’è da impazzire, ma Dio è affidabile. Lui
troverà il modo, ed è un angelo che ferma il balenare del coltello. In tutte
le vite, in ciascuno di noi, Dio è affidabile. La fede di Gesù ha una sigla
identificativa: la parola Padre. Che ricorre per quattordici volte in questo
brano, eppure anche questa parola è ambigua. Abbiamo sperimentato nella vita,
in noi e attorno a noi, paternità non sempre felici, non sempre feconde.
Dobbiamo andare oltre a ciò che questa immagine suscita, oltre la parola, al
di là della metafora. Anche dire Padre è dire poco, è dire male, dire nel
limite. Dio non è ciò che dico di Lui, è oltre tutte le parole e più ti
avvicini a Lui più appare Altro. Un Dio da cercare sempre, da inseguire. Esci
dalla tua terra, come Abramo, da dove credi di possedere. L’errore dei Giudei
è questo: pensano di possedere Dio e la verità: noi siamo, noi sappiamo,
noi.... La verità non è un possesso, è un rispetto, sapere di non sapere
ancora. |