 III DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
24.01.2016 Matteo 15, 32-38 Riferimenti
: Numeri 13, 1-2. 17-27 - Salmo 104 - Seconda lettera
Corinzi 9, 7-14 |
Il Signore ricorda sempre la sua parola santa.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra
i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate
tutte le sue meraviglie. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca
il cuore di chi cerca il Signore. Si è sempre ricordato della
sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell’alleanza
stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco. |
Numeri 13, 1-2. 17-27 In
quei giorni. Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Manda uomini a esplorare la terra di Canaan che
sto per dare agli Israeliti. Manderete un uomo
per ogni tribù dei suoi padri: tutti siano
prìncipi fra loro». Mosè dunque li mandò a
esplorare la terra di Canaan e disse loro:
«Salite attraverso il Negheb; poi salirete alla
regione montana e osserverete che terra sia, che
popolo l’abiti, se forte o debole, se scarso o
numeroso; come sia la regione che esso abita, se
buona o cattiva, e come siano le città dove
abita, se siano accampamenti o luoghi
fortificati; come sia il terreno, se grasso o
magro, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi
e prendete dei frutti del luogo». Erano i giorni
delle primizie dell’uva. Salirono dunque ed
esplorarono la terra dal deserto di Sin fino a
Recob, all’ingresso di Camat. Salirono
attraverso il Negheb e arrivarono fino a Ebron,
dove erano Achimàn, Sesài e Talmài, discendenti
di Anak. Ebron era stata edificata sette anni
prima di Tanis d’Egitto. Giunsero fino alla
valle di Escol e là tagliarono un tralcio con un
grappolo d’uva, che portarono in due con una
stanga, e presero anche melagrane e fichi. Quel
luogo fu chiamato valle di Escol a causa del
grappolo d’uva che gli Israeliti vi avevano
tagliato. Al termine di quaranta giorni
tornarono dall’esplorazione della terra e
andarono da Mosè e Aronne e da tutta la comunità
degli Israeliti nel deserto di Paran, verso
Kades; riferirono ogni cosa a loro e a tutta la
comunità e mostrarono loro i frutti della terra.
Raccontarono: «Siamo andati nella terra alla
quale tu ci avevi mandato; vi scorrono davvero
latte e miele e questi sono i suoi frutti».
Il racconto di oggi inizia i capitoli 13 e 14
del libro dei Numeri. Dopo l'avventura e
l'incontro con Dio sul Sinai, gli avvenimenti
qui riportati indicano una svolta nel cammino
verso la terra che Dio offre al suo popolo. Il
popolo sa che la terra dovrà essere conquistata
e che nessuno la regalerà loro. Via via che si
avvicina alla terra, loro assegnata, sorgono le
preoccupazioni per il nuovo insediamento. Il
Signore vuole preparare coloro che accompagna e
incoraggia i primi approcci di conoscenza del
terreno, del territorio, degli abitanti, delle
culture. E’ un problema di consapevolezza che
non può e non deve mancare ad ogni persona,
perché è la base indispensabile per la
responsabilità. Il capitolo 14 prepara i lettori
a scoprire la motivazione di un infinito
peregrinare nel deserto e ricorda l'insuccesso
del progetto di Dio attraverso uno schema
frequente che si ripete nella Scrittura. Sorge
la paura e quindi l'insubordinazione da parte
del popolo. Si scatena la diffidenza per la
possibilità di un cammino di speranza con il
Signore, e si manifesta, di conseguenza, la
delusione di Dio espressa attraverso l'ira. Ma
Dio è fedele al suo popolo e quindi, nel cuore
di Mosè, si fa strada il coraggio per
l'intercessione. Dopo la sommossa, un gruppo di
coraggiosi si muove per conquistare, ugualmente,
la montagna, trasgredendo però la
raccomandazione di Mosè che li supplica di non
combattere: "Perché trasgredite l'ordine di
Jahweh?". Ma essi attaccano e sono travolti. Il
comando dell'esplorazione della terra incomincia
dal sud della Palestina con scelte persone che
devono essere capi. Sono i rappresentanti di
tutte le tribù. E’ tutto il popolo che si muove
e non devono emergere interessi di parte.
L’esplorazione è fatta seguendo le indicazioni
di Mosè e, a conferma di quello che avrebbero
detto, (e cioè hanno scoperto abbondanza,
ricchezza, potenza e forza tra gli abitanti del
paese) portano un grappolo d'uva così pesante da
dover impegnare la forza di due uomini. La
verifica che essi hanno fatto, dopo la fatica
del deserto, dà ragione alla munificenza e
all'amore di Dio per il suo popolo, poiché il
Signore ha conservato questa grande ricchezza
per gli schiavi che egli ha liberato. Gli
esploratori impiegano 40 giorni e al ritorno
riempiono di stupore e di paura il popolo che
aspetta. Un popolo, che non conquista la propria
libertà con la propria fatica, anche senza le
catene, continua ad essere schiavo e non c'è
fiducia, né coraggio, né parola di garanzia che
sappiano sostenerlo, poiché uno schiavo è sempre
impaurito. L'immagine del benessere è espresso
con lo scorrere di latte e miele come di un
torrente: un'immagine improbabile nel deserto,
segno di abbondanza, di gratuità e di benessere.
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Seconda lettera Corinzi 9, 7-14
Fratelli, ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore,
non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con
gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni
grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate
compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto
infatti: / «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, / la sua
giustizia dura in eterno». Colui che dà il seme al seminatore e
il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra
semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così
sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio
l’inno di ringraziamento per mezzo nostro. Perché l’adempimento
di questo servizio sacro non provvede solo alle necessità dei
santi, ma deve anche suscitare molti ringraziamenti a Dio. A
causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno
Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di
Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e
con tutti. Pregando per voi manifesteranno il loro affetto a
causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi.
Viene qui espressa un’altra regola che deve animare la
nostra carità a favore dei fratelli. La decisione di quanto e
quando dare una cosa spetta solo all’autore del dono. Nessuno di
noi può dire all’altro cosa fare e quando farlo. La libera
decisione è obbligo morale che venga sempre rispettata. Le
ragioni sono del cuore di chi dona, non di chi chiede. Nessuno
può dare ragioni all’altro, e questo a motivo della fede
dell’altro. C’è chi ha una fede forte, robusta e secondo questa
fede si spoglia di tutto per venire in soccorso ai fratelli. C’è
chi ha una fede piccola, assai povera, e allora tutto vede nelle
sue mani e ha timore che le cose possano domani finire, o teme
di non riuscire a fare tutto secondo vie che la sua razionalità,
non sufficientemente illuminata dalla fede, gli suggerisce. La
Chiesa ha l’obbligo di formare i suoi figli ad una fede forte,
robusta, tenace, una fede grande. Se la fede è grande anche
l’opera di carità è grande, se invece la fede è piccola, anche
l’opera di carità è piccola. Posta la libera decisione, che deve
essere antecedente all’opera e mai susseguente, di convincimento
a posteriori, occorrono perché l’azione sia secondo il cuore di
Dio altre tre qualità. Nel dare non deve esserci tristezza. La
tristezza nasce dal cuore pavido, pauroso; dal cuore che dona,
ma che ha timore di restare lui senza. Se c’è questa tristezza
che l’opera non si faccia. L’elemosina deve essere considerata
una vera seminagione. Essa produce una ricchezza infinita per
noi sulla terra e nel cielo. L’opera non deve essere forzata,
non si può costringere uno a fare l’opera di bene. Occorre la
somma libertà, nella quantità e nel tempo. Senza questa libertà
l’opera non è gradita al Signore. Cristo Gesù si è offerto
liberamente alla passione, liberamente è andato incontro alla
morte, liberamente si è lasciato inchiodare sul legno,
liberamente ha amato, liberamente ha dato se stesso per noi.
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Rovine di Betsaida nell'estate 2011 Betsaida o Betseda
(Βηθσαΐδα, "casa della pesca") era una cittadina , in Galilea, a nord
del lago di Tiberiade. Il Vangelo di GiovaNNI 1,44 e 12,21 riporta
che vi nacquero gli Apostoli
Pietro, Andrea,
Filippo. In un passo
Matteo 11,21, Gesù
rimprovera Betsaida poiché non s'è convertita
nonostante abbia assistito a numerosi miracoli.
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Matteo 15, 32-38 In quel tempo. Il Signore Gesù chiamò a sé
i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre
giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni,
perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come
possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi
pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i
sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i
discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi
avanzati: sette sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila
uomini, senza contare le donne e i bambini.
La compassione di Gesù è la stessa compassione del Padre suo verso il suo
popolo. È compassione di perdono, misericordia, pietà, benedizione,
abbondanza di ogni dono celeste. Il popolo del Signore vive per questa
compassione. Se il Padre celeste si fosse stancato un solo attimo di esso, il
popolo sarebbe precipitato nella non esistenza, sarebbe cancellato dalla
storia, non esisterebbe per l'eternità. Cantore della compassione, della
tenerezza, dell'amore paterno di Dio è il profeta Osea. Gesù mostra al suo
popolo che da tre giorni lo segue, tutta la compassione del Padre, che è
amore concreto, reale, efficace. Gliela mostra attraverso un doppio
nutrimento: spirituale e materiale. Prima gli dona il pane della Parola,
della luce, della verità, della speranza e poi quello materiale, per sfamare
il suo corpo. La compassione del Padre, che è compassione di Cristo, è per
tutto l'uomo, mai per una sola parte di esso. Se nutre il corpo è per nutrire
lo spirito, se nutre lo spirito è per nutrire il corpo. Questa unità di
compassione va vissuta secondo pienezza di verità. Vi potrebbe essere infatti
compassione solo per l'anima e non per il corpo, oppure solo per il corpo e
non per l'anima. La compassione è spirituale e materiale, per l'anima e per
il corpo. Nella moltiplicazione dei pani vi è una verità nascosta, invisibile
ed è ben giusto che venga messa in luce. Non è il popolo che chiede il pane.
È Gesù che lo dona. Chi cerca il Signore secondo verità, lo cerca come luce,
parola, voce da ascoltare, obbedienza da vivere, sempre sperimenterà su di sé
la compassione del Padre celeste. Sempre il Padre celeste lo nutrirà. Questa
verità nascosta è rivelata da Gesù. Il popolo cerca Gesù, cerca il regno di
Dio, la sua giustizia, cerca la verità, la Parola, Gesù dona il pane in
aggiunta. Sfama il popolo che lo cerca. È verità eterna che si compirà
sempre. Mai il Padre celeste lascerà senza pane materiale colui che cerca
senza interruzione il pane spirituale. È lo statuto eterno del suo amore e
compassione.
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