VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE
10.07.2016
Matteo 22, 15-22
Riferimenti : primo libro di Samuele 8, 1-22a - SALMO 88 - Prima lettera a Timòteo 2, 1-8
Sei tu, Signore, la guida del tuo popolo. Beato il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto; esulta tutto il giorno nel tuo nome, si esalta nella tua giustizia. Perché tu sei lo splendore della sua forza e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.Perché del Signore è il nostro scudo, il nostro re, del Santo d’Israele.

primo libro di Samuele 8, 1-22a
In quei giorni. Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli. Il primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto. Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te. Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro». Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse: «Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: «No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie». Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro».

Samuele ha coraggiosamente e lucidamente retto il suo ruolo di giudice, difendendo le diverse tribù dalla rapine e invadenze dei popoli vicini. Si trova però ad una svolta importante nella storia politica e religiosa d'Israele. Il santuario dell'arca di Silo è stato distrutto e l'unità è minacciata di fronte al crescere del pericolo filisteo. Le tribù del nord non si interessano delle difficoltà del sud e le tribù ad oriente del Giordano, separate, riescono solo a raccogliere i fuggiaschi delle tribù occidentali. Il pericolo dei Filistei e il comportamento molto anarchico delle tribù che non si occupano a sufficienza delle difficoltà che vivono le altre tribù sorelle fanno ripensare a una nuova struttura di governo. Una parte chiede un re (c'era già stato un tentativo con Gedeone (Gdc 8,22s) e la conseguenza tragica di Abimèlec (Gdc 9,1s), «come le altre nazioni». Ma un'altra corrente si oppone, perché vuole lasciare a YHWH, unico Signore d'Israele, la cura di suscitare i capi che le circostanze esigono, come ai tempi dei Giudici. Questo brano segna il maturare della scelta. Samuele si oppone al movimento del popolo che vuole un re «come le altre nazioni» (cf.v 5). Egli pensa "Il popolo d'Israele non può misurarsi con la mentalità degli altri popoli, profana la propria vocazione e missione, seguendo il loro esempio e rifiutando il suo vero re, YHWH". Eppure il Signore acconsente a malincuore (vv 8-9) e obbliga Samuele ad avvertire Israele per tutti gli inconvenienti che la monarchia comporterà (vv 10-18). Si parla del diritto del re e lo si esemplifica, presentandolo come una deformazione del potere. E invece scoperte recenti indicano che esso rappresenta la pratica dei regni cananei anteriori a Israele. Il popolo è pressato dai dubbi di una palese debolezza poiché capisce che è necessario un comando unitario e autorevole. Lo stesso fallimento dei due figli di Samuele, posti come giudici, in sostituzione del padre ormai vecchio, fa individuare i pericoli della corruzione del danaro senza la contropartita di una unità di resistenza. Non si crede più nella istituzione temporanea di un giudice, ma nella costituzione di un governo, retto da un re, che coordini e comandi e con il diritto della successione. Samuele accetta le richieste del popolo. E Dio stesso non si tira indietro. Sarà proprio il Signore a scegliere via via i re: Saul, Davide, Salomone. Infonderà il suo Spirito ma, nello stesso tempo, obbligandoli ad essere responsabili delle proprie azioni. I profeti continueranno a suggerire il vero significato del re come pastore e custode del popolo. Da una discendenza regale nascerà il Messia. Mai come in questi giorni si sta sperimentando l'esigenza di una presenza politica che sappia reggere un progetto di rinnovamento, di coerente sviluppo, di operosità che rispetti il bene comune di tutti e sorregga, soprattutto, le realtà dei più disagiati perché senza lavoro e quindi senza risorse.

Prima lettera a Timòteo 2, 1-8
Carissimo, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche.
 Ormai Paolo si rende conto di dover reggere le diverse comunità che fanno capo a lui, attraverso i discepoli, qui Timoteo. Paolo sta sviluppando scelte pastorali poiché è il comportamento di vita quotidiana che rende giustizia della fede e delle scelte che ai credenti Gesù suggerisce. Perciò lo sviluppo della Chiesa è affidato, molto più di prima, alla testimonianza operosa della fede che non alla stessa predicazione: la testimonianza motiva ed evidenzia efficacemente, nel mondo, i criteri di Gesù. In questa lettera Paolo si dimostra molto affettuoso con Timoteo per aiutarlo nel suo ruolo di capo della comunità cristiana. Nel brano letto oggi. Paolo ricorda a Timoteo che deve educare alla preghiera i suoi: il rapporto primo con Dio si sviluppa nella preghiera. E in ciò che chiediamo, noi manifestiamo ciò che siamo e ciò che accogliamo nel cuore: la fede, l'amore, la maturazione e la consapevolezza della propria adesione alle scelte di Gesù. Qui, tra l'altro, si intravede una preghiera corale, liturgica. Essa deve essere universale: "Si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere" (4 forme di preghiera e 3 riferimenti: il 7 sintetizza la creazione del cielo e della terra, l'universo dell'uomo e del mondo)." E il brano continua con affermazioni grandiose che sottolineano e chiariscono le scelte che la comunità cristiana deve saper maturare in sé: "Dio, nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (e "tutti" è ripetuto 4 volte, per richiamare l'orizzonte dell'umanità). Così la preghiera cristiana è "per tutti gli uomini" (2,4) e i cristiani sono chiamati alla collaborazione perché tutti possano salvarsi. La preghiera si allarga alle persone che hanno autorità poiché spetta a loro l'impegno di mediazione, di equilibrio e di armonia nella comunità che presiedono. Comunque si comportino, per il compito che hanno, non vanno considerati nemici, ma hanno particolarmente bisogno della forza di Dio per reggere nella pace. E il loro compito viene specificato con molta lucidità: "perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio " (anche qui viene specificato, declinandolo, il numero 4). Si prega quindi per l'imperatore che non è un Dio, ma un uomo che ha bisogno della forza di Dio. E si prega per chi ha potere perché loro compito è provvedere al bene comune, senza lasciarsi ingolosire da interessi di parte. Il compito fondamentale della politica, infatti, è vivere nella pace, e la pace ebraica è lo Shalom (armonia), avendo ciò che basta per vivere: rendere la vita "serena e tranquilla per tutti". La conclusione di questo splendido testo ci riporta all'atto della preghiera "disarmata", coraggiosa e fedele all'amore di Gesù. "Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche". Il tema della politica non può essere estraneo alla sensibilità credente, anzi "La Chiesa ha un'alta stima per la genuina azione politica; la dice "degna di lode e di considerazione" (Concilio GS 75), l'addita come "forma esigente di "carità" (Paolo VI OA 46). Riconosce che la necessità di una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell'uomo e deriva dalla volontà di Dio" (Conferenza Episcopale Italiana, la verità vi farà liberi, Roma. 1995, 1102).
La vita del mondo è responsabilità di tutti gli adulti. Vanno approfondite le analisi dei bisogni e la solidarietà ampia degli interventi. Non si comincia maledicendo, ma pregando per avere, ogni giorno, uno Spirito nuovo; si opera nelle scelte morali; si incoraggiano i migliori, i più competenti, i più saldi, accompagnando coloro che vi si incamminano perché lottino per un "bene che sia sempre più bene per tutti". Lo sfondo teologico è quello dell'unicità di Dio, di Gesù che è mediatore universale e la garanzia che Dio vuole salvi tutti gli uomini.



Ecco il "denarius" d'argento (ingrandito 4 volte) recante l'effige e il nome di Tibewrio Cesare Augusto.

...... e rispose loro" Rendete Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio"

Matteo 22, 15-22
In quel tempo. I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo il Signore Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

Un giorno anche Israele volle un re - "come avviene per tutti i popoli" - e lo chiese al vecchio profeta Samuele. Parve a costui un torto fatto a Dio, quasi il popolo di Dio volesse gestire la vita civile indipendentemente dai criteri morali dati nella grande carta dei Comandamenti, dimenticando magari tutti i gesti di salvezza che Dio aveva operato per loro. E li mise in guardia da un tal pericolo, quasi presago di ciò che poi un giorno Gesù ebbe a denunciare con sarcasmo: "Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono" (Mt 20,25). L'esplosiva situazione politica creatasi al tempo di Gesù con la presenza dell'occupante Romano, alimentata dall'attesa religiosa di un Messia liberatore politico, doveva o prima o poi approdare polemicamente davanti a Lui: "E' lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?". Tradotto significa: dobbiamo essere collaborazionisti o rivoluzionari? La risposta di Gesù, certamente legata al contesto concreto immediato, ha anche una indicazione universale che la comunità cristiana istruita da Matteo ha voluto trasmettere a tutta la Chiesa. Questo insegnamento appunto ci interessa. Appare immediato il disimpegno di Gesù a voler dirimere la questione politica concreta, ponendosi su un altro piano, con una risposta che va ben al di là.. di Cesare: "Rendete a Dio quello che è di Dio". Si fa riferimento all'uomo nella sua più intima realtà, al di là dei ruoli storici che riveste. Si potrebbe dire: l'uomo nei suoi valori umani, individuali e sociali, nel suo profilo destinale, in quel che concerne la sua riuscita e salvezza ultima. E' il piano del senso dell'uomo e della sua identità, della dignità della persona umana, fondata su Dio e sul suo disegno eterno: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (Epist.). La salvezza che Gesù porta è integrale, nel senso che riguarda l'uomo totale nel suo rapporto con Dio, coi fratelli e col creato, ossia nella sua umanità più profonda e vera; in questo senso è universale. Chiaramente il piano in cui Gesù vuol porre la sua opera e il suo messianismo è quello religioso, non politico. Dichiarerà esplicitamente davanti a Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18,36). L'invito di Paolo è per la preghiera: "Che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio". Convivenza pacifica tra i due poteri, anzi servizio e apporto positivo reciproco. Dice il Concilio: "La Chiesa di Cristo è come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità del genere umano" (LG 1). Aiuta l'unità tra gli uomini, ne è l'inizio e il segno, per realizzare una vita civile più vivibile, basata sulla giustizia, la solidarietà e il rispetto di ogni persona. In particolare la fede è stimolo, motivazione e forza ad agire per il bene di tutti, come traduzione sociale di quel comando della carità la quale sola ci rende simili a quel Dio che ama ogni uomo con gratuità. Si parla di "carità politica", la più difficile da attuare. E' facile che la politica slitti in qualche interesse di parte o in ideologizzazioni, causa di gravi schiavitù imposte all'uomo. Oggi, di fronte alle sfide della nostra cultura secolarizzata e, in apparenza, così impermeabile a Dio, sembra sia richiesta anche più spiritualità e misticismo, che ricostruisca una speranza di fronte ad un mondo disperato. Più stile di comunione, anche, come forza attrattiva nei confronti di una umanità disgregata e piena di lotte. Assieme ad una forte testimonianza di solidarietà e servizio gratuito entro un mondo che soffre per troppo interesse e potere. E' il modo oggi della Chiesa di ridivenire "anima del mondo", abbandonando supplenze, "presenze" troppo compromesse, per ridiventare lievito, sale e luce. In una parola: stile evangelico e santità. Qualcuno ha scritto: "Il cristianesimo del XXI secolo o sarà santo o non sarà", cioè finirà! Detto questo - cioè "a Dio quello che è di Dio" - si inquadra bene anche quello che va dato a Cesare. La sfera politica attiene all'ordine dei mezzi e dei fini intermedi, non è un assoluto, è parte della realtà penultima, perché deve stare entro il quadro etico che le dà senso. La politica deve essere in funzione dell'uomo, un servizio alla sua crescita e libertà perché realizzi in pieno la sua vocazione globale, compresa quella soprannaturale. La politica non può essere neutra; deve mirare a creare condizioni con le quali ogni uomo possa sempre più facilmente realizzare se stesso in consonanza e con l'apporto degli altri. Il bene comune - fine primario della politica - è questa rete di opportunità e aiuti affinché l'uomo divenga sempre più uomo. Il rispetto della persona richiede il criterio della "sussidiarietà": lo statalismo - si dice con enfasi esagerata "lo stato di diritto" - è comune in concezioni di destra e di sinistra. In particolare va salvaguardata l'attenzione alla famiglia e alla sua primaria libertà di educare. Non è sufficiente proclamare principi: bisogna che la libertà di tutti e dei più deboli sia effettivamente garantita, istituzionalizzata e realizzata. Discorso più complesso, ma non meno decisivo - tra accoglienza e integrazione - è oggi quello della immigrazione, sempre più irreversibile. Non esiste solo il criterio della sicurezza, ma anche il diritto di chi chiede asilo e il necessario apporto economico e culturale che ne viene ad una società come la nostra oggi anche in crisi demografica. Bisogna che si rispetti l'ambito proprio della politica, della sua opinabilità, come lo è sempre l'ambito dei mezzi. Evitare cioè confessionalismo o fondamentalismo, oggi rinascenti e non solo tra culture diverse dalle nostre. Nessuno deve pensare di avere il monopolio delle formule politiche per salvare l'uomo. Le scelte politiche devono essere frutto di collaborazione e di dialogo con quanti sinceramente cercano il bene comune e determinano in concreto, in un certo tempo e luogo, formule più corrispondenti alla dignità dell'uomo, ai bisogni immediati, alla partecipazione più larga, tenendo conto anche dei più deboli. E' sulla base di un pacchetto di valori prima e poi di programmi che si deve giocare la collaborazione e l'unità degli uomini di buona volontà. In questo ambito "politico" sappiamo che la Chiesa contemporanea ha elaborato una Dottrina Sociale tra le più avanzate e le più stimate, anche dalla cultura laica. Uno dei più bei documenti, di largo respiro ma al tempo stesso preciso in formulazioni etiche concrete, è la "Centesimus Annus". O anche il Compedio della Dottrina Sociale della Chiesa. Vale la pena che ogni serio credente ne conosca direttamente il contenuto. Leggendola farà la scoperta gioiosa di chi - se uomo sincero e pensoso - dovrà dire: guarda, vi è scritto proprio quello che in fondo al cuore avevo sempre voluto in fatto di giustizia, solidarietà, libertà e pace!