
XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
31.07.2016 Luca 16, 19-31
Riferimenti : primo libro dei Re 21, 1-19 -
SALMO 5 - Romani 12, 9-18 |
Ascolta, Signore, il povero che t’invoca. Porgi
l’orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento.
Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché
a te, Signore, rivolgo la mia preghiera. Tu non sei un Dio che
gode del male, non è tuo ospite il malvagio; gli stolti non
resistono al tuo sguardo. |
primo libro dei Re 21, 1-19 In quei giorni.
Avvenne questo episodio. Nabot di Izreèl possedeva una vigna che
era a Izreèl, vicino al palazzo di Acab, re di Samaria. Acab
disse a Nabot: «Cedimi la tua vigna; ne farò un orto, perché è
confinante con la mia casa. Al suo posto ti darò una vigna
migliore di quella, oppure, se preferisci, te la pagherò in
denaro al prezzo che vale». Nabot rispose ad Acab: «Mi guardi il
Signore dal cederti l’eredità dei miei padri». Acab se ne andò a
casa amareggiato e sdegnato per le parole dettegli da Nabot di
Izreèl, che aveva affermato: «Non ti cederò l’eredità dei miei
padri!». Si coricò sul letto, voltò la faccia da un lato e non
mangiò niente. Entrò da lui la moglie Gezabele e gli domandò:
«Perché mai il tuo animo è tanto amareggiato e perché non vuoi
mangiare?». Le rispose: «Perché ho detto a Nabot di Izreèl:
“Cedimi la tua vigna per denaro, o, se preferisci, ti darò
un’altra vigna” ed egli mi ha risposto: “Non cederò la mia
vigna!”». Allora sua moglie Gezabele gli disse: «Tu eserciti
così la potestà regale su Israele? Àlzati, mangia e il tuo cuore
gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreèl!». Ella
scrisse lettere con il nome di Acab, le sigillò con il suo
sigillo, quindi le spedì agli anziani e ai notabili della città,
che abitavano vicino a Nabot. Nelle lettere scrisse: «Bandite un
digiuno e fate sedere Nabot alla testa del popolo. Di fronte a
lui fate sedere due uomini perversi, i quali l’accusino: “Hai
maledetto Dio e il re!”. Quindi conducetelo fuori e lapidatelo
ed egli muoia». Gli uomini della città di Nabot, gli anziani e i
notabili che abitavano nella sua città, fecero come aveva
ordinato loro Gezabele, ossia come era scritto nelle lettere che
aveva loro spedito. Bandirono un digiuno e fecero sedere Nabot
alla testa del popolo. Giunsero i due uomini perversi, che si
sedettero di fronte a lui. Costoro accusarono Nabot davanti al
popolo affermando: «Nabot ha maledetto Dio e il re». Lo
condussero fuori della città e lo lapidarono ed egli morì.
Quindi mandarono a dire a Gezabele: «Nabot è stato lapidato ed è
morto». Appena Gezabele sentì che Nabot era stato lapidato ed
era morto, disse ad Acab: «Su, prendi possesso della vigna di
Nabot di Izreèl, il quale ha rifiutato di dartela in cambio di
denaro, perché Nabot non vive più, è morto». Quando sentì che
Nabot era morto, Acab si alzò per scendere nella vigna di Nabot
di Izreèl a prenderne possesso. Allora la parola del Signore fu
rivolta a Elia il Tisbita: «Su, scendi incontro ad Acab, re
d’Israele, che abita a Samaria; ecco, è nella vigna di Nabot,
ove è sceso a prenderne possesso. Poi parlerai a lui dicendo:
“Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi!”. Gli dirai
anche: “Così dice il Signore: Nel luogo ove lambirono il sangue
di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue”».
Dio si presenta come custode della giustizia e come
difensore del debole. E questo avviene attraverso il profeta,
oggi con Elia e, un tempo, con Natan di fronte al peccato di
Davide con Betsabea (2 Sm 11) e l'omicidio del marito di
Betsabea, Uria. Anche là, tutto si sarebbe svolto nell'anonimato
e nel silenzio, se il Signore non avesse fatto emergere la
condanna del profeta che ha denunciato apertamente a Davide il
suo peccato e quindi il castigo che ne sarebbe venuto. Nella
Scrittura i racconti di misfatti sono riferiti senza reticenze
poiché sono il volto di una umanità prepotente, sfruttatrice,
debole. Il racconto non risparmia amici e nemici mentre mette
sempre in luce la giustizia e la misericordia di Dio, custode di
una umanità di cui è pastore. Il testo di oggi è il paradigma di
come il mondo può essere sovvertito dalla prepotenza e
dall'ingordigia. In tal modo chi ha potere, se non segue le
leggi di Dio, può stravolgere secondo il proprio interesse
quello che è giusto e travolgere ogni persona debole e fragile,
anche se si trova dalla parte della ragione. Il racconto della
vigna di Nabot segna un esempio classico di ingiustizia e di
prevaricazione per il potere che si esercita sui sudditi. Acab è
re di Samaria e desidera la vigna di un contadino che confina
col suo palazzo. La gestione del potere, non a caso, è governata
da una regina pagana che non ha assimilato la responsabilità del
re verso i suoi sudditi, Pastore visibile del Dio invisibile.
Nel mondo pagano il re è considerato, spesso, una divinità,
comunque sottratto alla legge che è solo dei sudditi. Il potere
del re è potere assoluto (absolutus: sciolto e superiore alla
legge). Per sé la proposta del re è ragionevole, ma non accetta
che l'altro si rifiuti. Ed il rifiuto dipende dal valore della
terra, ricevuta in eredità dai padri che dà diritto di
cittadinanza e che custodisce, spesso, la sepoltura degli
antenati (1 Samuele 25,1). Problemi e spogliazioni ancora più
macroscopiche avvengono oggi con i popoli poveri. Le loro terre
sono depredate delle ricchezze del sottosuolo senza un serio
mercato che permetta di superare la fame, la malattia,
l'ignoranza e la miseria. Sono saccheggi e rapine su paesi di
sfruttamento. Spesso tali territori diventano anche discariche
di rifiuti tossici. Paolo VI, nella "Populorum Progressio"
(1967, n. 49) scrive: "Una cosa va ribadita di nuovo: il
superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La
regola che valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere
applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo. I ricchi
saranno del resto i primi ad esserne avvantaggiati.
Diversamente, ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che
suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con
conseguenze imprevedibili". |
Romani 12, 9-18 Fratelli, la
carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene;
amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello
stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate
invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti
nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella
preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi
nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e
non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia;
piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi
sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di
grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi
sapienti da voi stessi. Non rendete a nessuno male per male.
Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se
possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti.
Tra i due drammi della vigna di Nabot e il
ricco epulone questo testo fa da cerniera per incoraggiare nel
mondo un criterio nuovo di rapporto con le persone. La Comunità
cristiana viene invitata ad essere esempio, come novità di Gesù
e quindi come il nuovo volto di Dio attraverso noi. Non si può
leggere questi bellissimi testi, esemplificativi sulla "carità",
senza premettere i primi due versetti di questo capitolo che
qualificano e illustrano il significato successivo del
messaggio. "Vi esorto, fratelli, ad offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro
culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi
trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e
perfetto." (12,1-2). Paolo incoraggia la comunità cristiana
perché riscopra, nella propria vocazione, un culto vissuto nello
Spirito, fatto di gesti e di scelte, di consapevolezza, di
responsabilità e di attenzione, trasformandosi completamente
rispetto alla mentalità corrente. Il tempio raccoglieva e
offriva preghiere e offerte sacrificali a Dio. Ora non c'è più,
ma preghiere e offerte salgono a Dio da un nuovo tempio, prima
quello di Gesù e poi costituito dalla nostra vita e dal nostro
corpo, a somiglianza del corpo del Signore Gesù che ha riassunto
in sé la pienezza della preghiera e la totale offerta del suo
cuore sulla croce. Noi siamo come Gesù segno e offerta con una
novità tutta sua che lo rende unico agli occhi di Dio. La
"carità" è l'amore di Dio e del prossimo con cui rispondo
all'amore di Dio e corrisponde alla parola di Gesù che
raccomanda il superamento della ipocrisia o dell'amore per il
proprio tornaconto "Infatti, se amate quelli che vi amano, -
dice Gesù - quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i
pubblicani? (Mt 5,46). Perciò, nell'amore fraterno che ci
sostiene non ci si mette al primo posto ma si apprezza l'altro
più di sé. I suggerimenti di Paolo nascono dalla lunga
esperienza che lo ha aiutato negli incontri con le culture e i
popoli diversi. Si sentono vari richiami di parole di Gesù
riportate da Matteo ( cap5). Significa che i testi delle parole
di Gesù circolano e sono ormai diventato patrimonio di fede e di
memoria per i cristiani nel mondo: "Benedite, rallegratevi con
chi è nel pianto e piangete con chi piange". Una preoccupazione
insistente è quella della pace, che non sempre dipende dai due
contendenti poiché il vivere in pace nasce dalla fiducia
reciproca, dal superamento dei pregiudizi, delle paure e delle
delusioni. La prima custodia della pace verso gli altri è il
proprio cuore, se la viviamo con libertà e la offriamo con
sincerità. Probabilmente la pace diventa credibile nel tempo, a
lunga distanza, nella continuità e nella fedeltà. Con molta
esperienza Paolo dice:" Se possibile, per quanto dipende da voi,
vivete in pace con tutti" (12,18).
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Luca
16, 19-31 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «C’era un uomo ricco, che
indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a
lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di
piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma
erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e
fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.
Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo,
e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di
me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la
lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose:
“Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i
suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai
tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro
che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere
fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a
casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente,
perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose:
“Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo,
ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose:
“Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno
risorgesse dai morti”». Poco prima Luca notava che "i
farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si
beffavano di lui" (16,14). Noi forse non arriviamo a deridere e disprezzare
Gesù apertamente, ma quando di fatto l'oggetto delle nostre reali attenzioni
non sono i poveri, ma i ricchi e i potenti di questo mondo, allora è come se
ci disinteressassimo di quello che sta a cuore a Gesù. Perché sono i ricchi
che oggi fanno notizia e ad occupare la nostra mente e forse anche il nostro
cuore. Sono sempre loro ad essere circondati di tante attenzioni e delle
nostre attese e deferenze. I loro nomi ci frullano per la testa ogni giorno,
mentre le migliaia di profughi che annegano nei nostri mari scivolano via
come numeri senza nome. Mentre la domenica in chiesa Gesù ci dice che sono
beati i poveri, quelli che piangono o che hanno fame e sete di giustizia,
ogni giorno finiamo per venerare e riconoscere solo quei ricchi e potenti che
giornali e telegiornali ci propinano per occupare la nostra attenzione. Il
povero Lazzaro, invece, non lo riconosce nessuno. Solo i cani lo avvicinano
per leccargli le piaghe. La questione è tutta qui: i ricchi hanno un nome in
questo mondo, i poveri no. Ma questa non è la logica di Dio che Gesù ci ha
svelato: per Lui sono anzitutto i poveri ad avere un nome. Mentre il ricco
sembra avere tutto: una casa, dei vestiti costosi, pranzi e cene tutti i
giorni con gli amici ce lo adulano, tuttavia non ha un nome nella parabola.
Mentre quel povero per Gesù si chiama Lazzaro (El'azar, Dio ha aiutato).
Perché i poveri sono i prediletti da Dio. Dio se li porta nel cuore e non li
dimentica. E la questione non sta certo nella contrapposizione tra ricchi e
poveri. Perché non è difficile constatare quanti poveri - e magari potremmo
essere anche noi - sono semplicemente sedotti dal fascino e dalla bramosia
della ricchezza. Chiediamoci piuttosto perché questo ricco è condannato e va
all'inferno? Non era un violento o un oppressore. E neppure si dice che fosse
contro Dio o contro il prossimo. La sua condanna non è dovuta a qualche
azione scellerata o per qualche omissione vistosa. Anche a noi non capita
forse di dire che non abbiamo fatto niente di male? E' invece proprio questo
modo generico e superficiale di giustificarsi a svelarci il peccato del
ricco: non avere coscienza del male, non pensare più, abbandonandosi ad una
vita dissipata. Spensierata appunto. Come scrive il profeta Amos: "guai agli
spensierati di Sion, a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di
Samaria" (6,1-7). Volendo essere più precisi, per stare al racconto
evangelico, quest'uomo ricco è condannato propriamente perché non vede, non
s'avvede, non s'accorge più di nessuno, se non di se stesso. E questo allora
ci riguarda, perché è anche sconcertante, Se Lazzaro fosse stato almeno
lontano dallo sguardo, forse la distanza avrebbe potuto essere un alibi, una
scusa. Invece Lazzaro sta proprio rannicchiato proprio davanti alla porta di
casa sua. Perché altro è vedere i poveri e altro è accorgersi di loro,
guardandoli in faccia.
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