SS.TRINITA
22/05/2016
Giovanni 14, 21-2
Riferimenti : Genesi 18, 1-10aSALMO 104 Prima lettera ai Corinzi 12, 2-6
Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca, voi, stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe, suo eletto. ® È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi.
Genesi 18, 1-10aIn quei giorni. Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
I cristiani hanno riletto questa visita del Signore ad Abramo come la visita della Trinità, poiché il Signore si presenta – così dice l’autore – sotto forma di tre uomini. La lettera agli Ebrei, raccomandando l’ospitalità afferma: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (13,2). L’accoglienza che Abramo pratica è tipica di quel tempo. Egli si trova, straniero, e si premura di offrire ospitalità a queste tre uomini che gli appaiono nel tempo meno opportuno per viaggiare: l’ora più calda, quando tutti si riposano. Abramo non conosce le loro intenzioni nei suoi confronti: cercano refrigerio e da mangiare? Sono lì per fargli del male? Il testo non lo fa nemmeno intuire e ci mostra Abramo come uomo fiducioso che una ricca accoglienza è un gesto che sicuramente farà piacere ai tre uomini. Si presenta come loro servo, capace di preparare un buon pasto e un luogo dove ristorarsi dal cammino. Le parole di Abramo vengono accolte come un comando: «Fa’ pure come hai detto»,come il servo interpretata il volere del signore prima ancora che venga formulato. Egli non partecipa al banchetto come avrebbe fatto un servo, non c’è pari dignità tra lui e i tre uomini. Egli è pur sempre un forestiero. l passaggio alla prima persona singolare: «Tornerò» è quello che ha fatto interpretare, nella rilettura cristiana, questa visita come quella della Trinità. Occorre tutta via fare attenzione al messaggio del testo: se si accoglie l’ospite inatteso si riceve la vita, se si condivide ciò che si ha la vita fiorisce, il tempo di una nascita. Se si accoglie Dio, anche inconsapevolmente, con un gesto di ospitalità, lavita trova continuità, anche là dove sembra non ci sia più alcuna speranza (Sara era sterile). Quando il Signore visita la storia degli uomini, si crea la vita.
Prima lettera ai Corinzi 12, 2-6 Fratelli, voi sapete che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
 
La liturgia non fa difficoltà a riproporre una parte del brano che abbiamo letto la scorsa settimana per la solennità della Pentecoste. Oggi la sottolineatura riguarda l’unicità di Dio, che opera tutto in tutti. Paolo ci parla della sua esperienza di Dio che è Spirito santo, che è Signore – e qui si riferisce a Gesù, e quando afferma che uno solo è Dio si riferisce al Padre. E’ lo Spirito che ci aiuta a riconoscere l’unico Dio, quello «opera tutto in tutti», cioè dà la vita (opera tutto) a ciascuno (in tutti). Il Signore non è come gli idoli fatti da mano d’uomo che non possono dare la vita (Is 44,9-20), ma egli è il creatore del cosmo e dell’uomo, è il Signore della vita. Chi lo riconosce e lo accoglie trova la vita,come afferma Giovanni: «In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (5,24).Paolo scrive questa prima lettera ai Corinti verso la Pasqua del 54 d.C., su sollecitazione di una delegazione della comunità che lo aveva raggiunto ad Efeso. Corinto era un grande porto, città di passaggio di marinai e merci, multietnica e con culti diversificati. La comunità era formata in prevalenza da pagani convertiti. E’ una comunità vivace e che ha problemi di rapporti interni. Ricordando la loro provenienza, Paolo offre due criteri per discernere chi viene dallo Spirito e chi no. Nessuno mosso dallo Spirito può dire Gesù è anatema, cioè maledizione, come solo sotto lo Spirito si può dire: Gesù è Signore. Paolo affronta poi il problema dei carismi, cioè dei doni dello Spirito per il bene della comunità (v. 7). Se la diversità è un dato di fatto ed è cosa buona voluta dal Signore,tuttavia essa viene dall’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirito santo, e per questo motivo non può essere causa di rivalità e di divisione all’interno della comunità. Il linguaggio di sapienza, di conoscenza, la fede, il dono delle guarigioni, il potere dei miracoli, il dono della profezia, il dono di discernere gli spiriti, la varietà delle lingue e la loro interpretazione, indicano la ricchezza della vita della comunità che viene dalla presenza dello Spirito del Signore, che abbonda nei doni per il bene comune. Tutte queste attività sono il segno della presenza dello Spirito che le distribuisce secondo il suo beneplacito. Nessuno si deve sentire orgoglioso del dono ricevuto e per questo migliore o superiore a qualcun altro, e nessuno carisma è più grande e/o migliore degli altri. Invece i carismi vanno vissuti secondo l’intenzione dello Spirito che li distribuisce:per il bene della comunità. Tutti sono necessari, ma tutti sono dono gratuito per il bene comune. Cristo infatti non è diviso in se stesso, come il corpo che ha molte membra e che cooperano tra di loro. Ognuna è necessaria e nessuna può prendere il sopravvento sulle altre, perché tutte cooperano al bene del corpo. Questo principio di comunione e di relazionalità dei carismi, si può applicare anche alla vita civile, come il paragone del corpo - utilizzato già dagli antichi filosofi e politici romani - ci aiuta a comprendere.

Giovanni 14, 21-2
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

E’ instancabile Gesù nel richiamarci al suo amore. Nel Vangelo di oggi continua a ribadire il profilo di chi lo ama: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”.Si tratta non solo di accogliere teoricamente perché è bello e ci piace, quanto dice il Signore, ma di “osservarlo”, cioè di metterlo in pratica. E quanto Egli ci dice è un comandamento solo “amatevi come io vi ho amato”.Va sottolineato che qui, ad indicare il ‘comandamento’ dell’amore è usato il plurale“i miei comandamenti”, proprio perché l’amore è declinato nella pluralità delle situazioni umane, nel complesso intreccio dell’esistenza: non è un manto che ricopre tutto o generalizza tutto, ma è uno sfaccettarsi di luce calda in ogni momento e con ogni persona. Un’altra sottolineatura, mi pare sa quella che vede tutta la vita di Dio implicata in una intensa relazione: la Trinità, secondo la formula del catechismo, infatti è stato il tentativo di spiegare, razionalizzando, il mistero di Dio, che è Amore, e perciò non può esprimersi che nella relazione, nell’incontro, nello scambio. E questo ci porta a pensare come sia realistico il richiamo di Gesù: ci si può rendere conto se Lo si ama, solo se la nostra vita è intessuta del desiderio e della pratica della relazione con tutti gli altri che incrociamo e che sono messi sul nostro cammino. Altrimenti sono parole al vento. Non è facile entrare in vera relazione con l’altro/a, perché ciò comporta uscire da se stessi e acquisire lo sguardo dell’altro/a, mettersi dalla parte di…, capire, conoscere,chinarsi, rispettare, imparare…. Per questo c’è il richiamo al movimento della relazione, che indica la pienezza (il 3dice sempre ‘pienezza’, ‘completezza’) e il dinamismo della vita di Dio, al suo intervento per mezzo dello Spirito, che è la presenza del Suo amore, per ricordarci “tutto” ciò che ha detto il Signore Gesù, e per “insegnarci ogni cosa”.E’ bella questa parola –“insegnare”-, vuol dire ‘porre dei segni’, aprire una sequela più ravvicinata e convinta, accorgerci di Dio come presenza appassionata e intensa(“verremo e prenderemo dimora”).Come a dire che siamo abitati e alimentati da questo Amore, e, nella misura in cui cene rendiamo coscienti, a nostra volta possiamo rientrare in questo avvincente movimento di un Amore indicibile e perennemente vivo.