VII di Pasqua  DOMENICA DOPO L’ASCENSIONE
8 maggio 2016
Giovanni 17, 1b. 20-26
Riferimenti : Atti degli Apostoli 7, 48-57 - SALMO 26 -Efesini 1, 17-23
Nella casa del Signore contempleremo il suo volto. Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario

 Atti degli Apostoli 7, 48-57 In quei giorni. Stefano disse: «L’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta: / “Il cielo è il mio trono / e la terra sgabello dei miei piedi. / Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, / o quale sarà il luogo del mio riposo? / Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?”. Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata». All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui
Luca sta raccontando il martirio di Stefano, uno sette diaconi istituiti dagli apostoliper aiutarli a servire i poveri (At 6,1-7). Stefano viene arrestato con false accuse chelo indicavano come uno che voleva distruggere il tempio e sovvertire la legge (At6,8-15). Egli pronuncia un lungo discorso, per difendersi dalle accuse, in cui riprendela storia della fedeltà di Dio con il suo popolo Israele. La lettura di oggi riprende leultime battute di questa difesa appassionata.Stefano vuole chiarire che Dio non abita nel tempio. Questi infatti è segno dellapresenza di Dio in Israele, ma non si può limitare Dio in uno spazio costruito da manid’uomo.A sostegno della sua tesi cita il profeta Isaia (66,1-2) che parla a nome del Signore: Io abito nei cieli e il tempio che avete costruito, in fondo, sono io che l’ho creato,perché ho creato tutta la terra. Isaia, nei versetti seguenti, denuncia l’ipocrisia delpopolo che va al tempio per pregare, ma poi vive nella violenza e nell’ingiustizia.Stefano riprende questa denuncia dell’infedeltà di Israele e la attualizza al momentopresente, denunciando la resistenza alla novità dello Spirito Santo che si è resapresente nel Giusto Gesù Cristo. Come allora avevano ucciso i profeti che annunciavano la venuto di Gesù, così ora – dice Stefano – voi avete ucciso il Messia annunciato da quei profeti, trasgredendo così anche la Legge ricevuta da Dio.La reazione dei suoi interlocutori è chiara: essi che si sentono giusti, perché vanno altempio e osservano la Legge, non riescono a riconoscere il proprio peccato diincomprensione delle vie di Dio.Stefano ha qui una visione di Gesù asceso al cielo che siede alla destra di Dio,possibilità inconcepibile i suoi interlocutori: un uomo non può farsi Dio e sedere allasua destra. Sono teologie diverse che non riescono a dialogare e che si scontrano con violenza estrema: da una parte l’invito di Stefano di accogliere la rivelazione diDio in Gesù, dall’altra l’irremovibile adesione ad una tradizione che impedisce diaccedere a ciò che è realmente accaduto in Gesù.La conclusione è la morte di Stefano, testimone della resurrezione e ascensione diGesù al cielo.

Efesini 1, 17-23Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, / quando lo risuscitò dai morti / e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, / al di sopra di ogni Principato e Potenza, / al di sopra di ogni Forza e Dominazione / e di ogni nome che viene nominato / non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. / «Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi» / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: / essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Paolo chiede al Padre di donare ai cristiani di Efeso, città multietnica dove eranopresenti vari culti e religioni, la sapienza per poter comprendere la speranza che si èrivelata in Gesù: la morte non è l’ultima parola della vita degli uomini e delle donne,perché Dio – che è amore – lo ha amato fino a ridargli vita.E’ la potenza dell’amore del Padre che ridà la vita a Gesù facendolo risorgere daimorti per farlo sedere alla sua destra. Le potenze cosmiche, pur grandiose eprogressivamente considerate in modo negativo da Paolo, sono sottoposte al poteredi Gesù, non solo oggi, ma per sempre.Paolo è consapevole che ogni potere d’amore, per questo di dominio per dare vita,è stato dato a Gesù dal Padre. Per questo è stato messo a capo della chiesa, e qui Paolo utilizza la metafora del corpo, per mostrare come il suo è un potere d’amoreche fa vivere. Questo è il compimento dell’uomo: amare per dare la vita, e questo èstato realizzato in Gesù. Compimento dell’uomo e compimento di Dio, allo stessotempo, perché in Gesù Dio e l’uomo si uniscono per manifestare in modo definitivoche è l’amore ciò che ci fa vivere.

Giovanni 17, 1b. 20-26In quel tempo. Il Signore Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Sembra che in questi testi del vangelo di Giovanni delle domeniche di Pasqua leparole si rincorrano e si ripetano intensificando il desiderio di Gesù che rimanganoaccese nel cuore dei discepoli, che non vengano sorvolate o avvertite comescontate o come sentimentalismi, ma come ragioni profonde del vivere.Sono infatti le parole dell’amore: parole semplici, univoche, poche, perché l’amorenon si perde in slogan, ma si vive, e ciascuno deve trovarne la ragione e l’intensitànel proprio cuore, nella propria interiorità.Nel vangelo di oggi c’è una parola ricorrente, incalzante: ‘conoscere’. E’ una parola, che richiama l’atteggiamento primario, profondo dell’’amore: il conoscersi. Che nellinguaggio biblico significa incontrarsi, comprendersi, allacciare una relazionereciproca di scambio, di partecipazione, di condivisione. Il riferimento è la conoscenza, il rapporto che Gesù ha con il Padre, l’incontroassoluto, radicale che lo unisce al Padre.Per questo parla di unità, di comunione, che i discepoli devono imparare a vivere; ene parla come preghiera al Padre, perché l’uomo è incapace di amare e di creare comunione vera, così come la prospetta Gesù nel paragone con l’unità e l’amoreesistente tra lui e il Padrese non è sostenuto e orientato dall’amore di Dio.Non si pensa mai davvero quanto sia importante la relazione e le relazioni che sivengono a costituire tra le persone; qui poi l’importanza della relazione, dellaconoscenza, dell’incontro è riferita alla comunità dei discepoli, alla Chiesa. Di solito,questi rapporti si danno per scontati e spesso la testimonianza che si dà è quella della divisione, dei campanilismi, delle esclusività. Dalle grandi vicende della storiaalle piccole esperienze della vita parrocchiale.Il “mondo” , dice Gesù, può riconoscerLo come inviato del Padre a manifestare perl’umanità lo stesso amore che ha per Gesù, il Figlio, se i suoi discepoli vivranno etestimonieranno una comunione totale –“perfetti nell’unità”-.Comunione, unità (il termine greco è il neutro, che significa ‘una cosa sola’), che nonvuol dire uniformità, conformismo, ma sfaccettatura di mille volti e sorrisi, mani chesi accompagnano in un cammino comune di testimonianza di amore “come” quellodi Gesù, di reciproca conoscenza, comprensione e incontro, di desiderio di stare insieme.Come l’arcobaleno, che brilla di mille colori e sfumature, differenziandosi in essi ericomponendosi in un insieme armonioso.O come i petali dei fiori, che in più diffondono il profumo della mitezza e dellafragranza. come segno umile, segreto, bello, del loro essere insieme.