
DOMENICA DELLE PALME
20/03/2016
Giovanni 11, 55 - 12, 11
Riferimenti :
Isaia 52, 13 - 53, 12 - Salmo 47 -
Ebrei 12, 1b-3
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Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio
con voci di gioia; perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra. Egli ci ha assoggettati i popoli,
ha messo le nazioni sotto i nostri piedi. La nostra eredità ha
scelto per noi, vanto di Giacobbe suo prediletto.
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Isaia 52, 13 - 53, 12
Così
dice il Signore Dio: / «Ecco, il mio servo avrà successo, / sarà
onorato, esaltato e
innalzato grandemente. / Come molti si stupirono di lui /
–
tanto era sfigurato per
essere d’uomo il suo aspetto / e diversa la sua forma da
quella dei figli dell’uomo
–,
/ così si meraviglieranno di lui molte nazioni; / i re
davanti a lui si chiuderanno la
bocca, / poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato / e
comprenderanno ciò che
mai avevano udito. / Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
/ A chi sarebbe stato
manifestato il braccio del Signore? / È cresciuto come un
virgulto davanti a lui / e
come una radice in terra arida. / Non ha apparenza né
bellezza / per attirare i nostri
sguardi, / non splendore per poterci piacere. / Disprezzato e
reietto dagli uomini, /
uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti
al quale ci si copre la
faccia; / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. /
Eppure egli si è caricato
delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori; /
e noi lo giudicavamo
castigato, / percosso da Dio e umiliato. / Egli è stato
trafitto per le nostre colpe, /
schiacciato per le nostre iniquità. / Il castigo che ci dà
salvezza si è abbattuto su di
lui; / per le sue piaghe noi siamo stati guariti. / Noi tutti
eravamo sperduti come un
gregge, / ognuno di noi seguiva la sua strada; / il Signore
fece ricadere su di lui /
l’iniquità di noi tutti. / Maltrattato, si lasciò umiliare /
e non aprì la sua bocca; / era
come agnello condotto al macello, / come pecora muta di
fronte ai suoi tosatori, / e
non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza
fu tolto di mezzo; / chi
si affligge per la sua posterità? / Sì, fu eliminato dalla
terra dei viventi, / per la colpa
del mio popolo fu percosso a morte. / Gli si diede sepoltura
con gli empi, / con il
ricco fu il suo tumulo, / sebbene non avesse commesso
violenza / né vi fosse
inganno nella sua bocca. / Ma al Signore è piaciuto
prostrarlo con dolori. / Quando
offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, / vedrà una
discendenza, vivrà a lungo, /
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. / Dopo il
suo intimo tormento
vedrà la luce / e si sazierà della sua conoscenza; / il
giusto mio servo giustificherà
molti, / egli si addosserà le loro iniquità. / Perciò io gli
darò in premio le moltitudini,
/ dei potenti egli farà bottino, / perché ha spogliato se
stesso fino alla morte / ed è
stato annoverato fra gli empi, / mentre egli portava il
peccato di molti / e
intercedeva per i colpevoli».
E’ in questa domenica che si celebra e si
commemora, liturgicamente, la passione di
Gesù. Infatti la prossima domenica
celebreremo la Pasqua, la risurrezione del
crocifisso e non avrebbe senso se prima non ci
siamo fermati a contemplare e a struggerci
sulla sua fine e sul significato della scelta
lucida e, per Lui prevedibilissima, della sua
morte. Perciò la liturgia ha proposto la scelta
di questi testi che teologicamente sono i più
drammatici ed insieme i più nitidi sulla
preparazione e sul significato della croce di
Gesù sul Gòlgota.
Il brano di Isaia, il Secondo Isaia, è un urlo
esterrefatto di dolore che vuole insegnarci i
parametri di verità su cui scorrono gli
avvenimenti del mondo e l’umanità in cerca di
significati. E’ scritto al ritorno da Babilonia,
dopo il secolo VI a.C., dopo l’esperienza della
deportazione. Isaia vuole inaugurare una
visione nuova sul Messia, non più trionfante,
guerriero e potente, ma pastore, maestro,
sofferente, re mansueto su un asino. Gesù
valorizza queste immagini, anche se nel suo
tempo non verranno sufficientemente
maturate, poiché sconvolgono i parametri della
grandezza di Dio e della sua potenza. Perciò
restano sospese a interpretazioni misteriose gli
stessi testi di Isaia, di Ezechiele, di Zaccaria
ma anche quelli di Geremia a cui Gesù fa
spesso riferimento.
Così il testo di Isaia, stupefacente per il VT,
viene interpretato come immagine della
tragedia del popolo vinto e distrutto, deportato
e abbandonato. Resta, tuttavia misteriosa
questa sostituzione del peccatore e dei
violenti, questo prendersi sulle spalle i peccati
degli altri per portare la pace. Il Servo
sofferente, in faccia al mondo, ha accettato il
disonore di una maledizione.
I vv 52,13-15: E’ Dio stesso che parla e che
anticipa l’esperienza del Servo e la gloria
finale.
I vv 53,1-6 identificano il “noi” di un popolo
che fatica a comprendere il senso della
sofferenza del Servo.
I vv 53,7-11b. Espressioni di un “solista”
annunciano la morte del Servo e la sua
glorificazione inattesa.
I vv 53,11c-12 Ritorna l’intervento di Dio che
garantisce la esaltazione del Servo.potenza di Dio (il suo
braccio), qui, si
manifesta nella umiliazione. Ma, nella
esperienza e nella storia umana, tutto questo
non è evidente. Eppure, si dice, il mondo
nuovo nasce da chi spezza il cerchio dell’odio
e del male con l’amore, lasciando che su di sé
si scarichi la violenza. E lo sconcerto aumenta
poiché la vittima non si lamenta, ma vive
questo dramma nel silenzio. Radice e terra
arida si rifanno alla dinastia di Davide ormai
detronizzata e dimenticata.
La conclusione sarà la risurrezione, la vita
piena, raccontato per come si può raccontare
nel Primo Testamento che non ha ancora
maturato, in questo tempo, il significato della
risurrezione dai morti.
Ci ritroviamo così davanti all’agnello, che
accetta volontariamente di essere portato
ovunque, mite e paziente. Un agnello, mattino
e sera, viene ucciso nel tempio, ad espiazione,
e Giovanni Battista intravede in Gesù
“l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato
del mondo” (Gv1,29). Giovanni Battista,
probabilmente, pensa agli agnelli del tempio,
all’agnello pasquale, al servo di JHVH e,
forse, anche all’agnello offerto da Abramo a
Dio, inviato perché fosse sacrificato al posto di
Isacco (Gen 22).
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Ebrei 12, 1b-3
Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato
che ci assedia, corriamo
con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo
fisso lo sguardo su Gesù,
colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli,
di fronte alla gioia che gli
era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il
disonore, e siede alla destra
del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha
sopportato contro di sé una
così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate
perdendovi d’animo.
La “Lettera agli ebrei” vuole aiutare ad
approfondire la fede in Gesù sviluppando, in
modo particolarmente ricco, la teologia
precedente del Primo Testamento per far
intravedere la pienezza di Gesù e il significato
drammatico della sua morte. La prima parte,
dottrinale (1,5-10,18), precede quella
esortativa (10,19-13,21) da cui è stato tratto
questo breve testo. I credenti, a cui l’autore si
rivolge, hanno nostalgia del tempo dei
Patriarchi e timore ad affrontare la fede in
Gesù che risulta drammatica, disorientante e
persino pericolosa poiché suscita diffidenze
attorno e persecuzioni.
L’immagine cara all’autore di questa lettera, e
facile da comprendere, è quella sportiva della
corsa negli stadi. Già presente in altri contesti
(1Cor 9, 24-26; Fil 3, 12-14) di Paolo, si adatta
a significare lo sforzo e la concentrazione nel
dover affrontare la fede che è una conquista,
ma anche una rivoluzione della propria
esistenza. Il vivere la fede, come Gesù ci ha
proposto, cambia lo stile e rigenera una
comunità credente.
“Deporre ogni peso, correre con perseveranza,
tenere gli occhi fissi alla meta senza distrarsi”:
sono atteggiamenti propri di chi corre per ottenere una
corona ed un riconoscimento di
gloria, sapendo che tutta la corsa è orientata
verso Cristo, origine di quella fede che in Lui
viene condotta a compimento.
L’autore ricorda che, per affrontare questo
nuovo cammino, bisogna utilizzare e
sviluppare una intelligenza tattica, la stessa
che usa lo sportivo: si libera di ogni peso,
addirittura di vestiti che intralciano poiché
decide un risultato e questo diventa
orientamento, consapevolezza e criterio di
tutte le proprie scelte.
Gesù stesso ci ha dato l’esempio poiché
l’obiettivo di pienezza, che voleva raggiungere
nella volontà del Padre, e quindi nella
conclusione della gioia e gloria, gli ha fatto
scegliere la croce e il suo disonore, di
conseguenza. Noi siamo abituati alla croce e
non capiamo più il significato di distruzione e
di infamia che ha nel I secolo questo supplizio,
quando Gesù è giudicato ed ucciso con il più
assurdo dei supplizi romani. Egli è
abbandonato ai margini del disonore e della
abiezione, assolutamente indegno di
qualunque considerazione e dignità.
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Giovanni 11, 55 - 12, 11
In quel tempo. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono
a
Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando
nel
tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i
capi dei
sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si
trovava lo
denunciasse, perché potessero arrestarlo. Sei giorni prima della Pasqua, Gesù
andò
a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E
qui fecero
per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria
allora
prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i
piedi
di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì
dell’aroma di quel
profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per
tradirlo, disse:
«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono
dati ai
poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un
ladro
e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù
allora
disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia
sepoltura. I poveri
infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande
folla
di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù,
ma
anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei
sacerdoti
allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano
a
causa di lui e credevano in Gesù.
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Ampolle
di vetro iridescente dei tempi di Gesù ritrovate a Betania. Gli
unguenti preziosi erano contenuti in simili ampolle |
E’ bello che la liturgia ambrosiana apra la
Settimana “autentica” con l’episodio
dell’unzione di Betania: è come se, pur nel
contesto austero della prossima memoria della
passione e morte di Gesù, aleggiasse
quest’ondata di profumo prezioso, che
stordisce, inebria, trasfigura. Fa presagire più
che l’unzione per la sepoltura, la rinascita
della Pasqua, il colpo d’ala della resurrezione.
E così tutti i richiami alla gratuità, all’amore e
alla tenerezza, alla preziosità incalcolabile del
dono, alla pur incombente drammaticità della
morte (e di quale morte!), si dilatano, per così
dire, in una bellezza, nella sensazione
piacevole che solo un profumo di pregio può
dare, in una possibilità di leggerezza che solo
una fiducia e una speranza incrollabili possono
infondere.
E’ la testimonianza di Maria di Betania.
Celebrare così il Triduo pasquale, mi pare,
possa mettere maggiormente in rilievo il senso
principale della tragica vicenda di Gesù, che è
quello del dono, della gratuità del dare la vita
per la salvezza dell’umanità; salvezza in nome
dell’amore, in nome della misericordia.
Questo non distoglie dal pensiero -anzi, lo
sottolinea maggiormente- che in questa morte
del Giusto e dell’Innocente siano comprese
tutte le morti e le atrocità di uomini contro uomini spesso incolpevoli, che
straziano la
storia dei nostri giorni e che andrebbero
ugualmente celebrate e sentite come carne
della nostra carne.
In queste morti non c’è profumo, solo odore
nauseabondo del sangue, dell’odio e dello
sprezzo della vita.
Ce ne facciamo carico? O nel nostro angusto
mondo di cosiddetti benpensanti ci rifugiamo
solo nei riti come antidoto delle paure e come
presa di distanza da quanto vorremo non
succedesse?
Credo invece, che celebrare la morte e la
passione di Gesù sia quanto mai impensabile
senza avere presente tutte le uccisioni e le
atrocità commesse sull’uomo (quanti ECCE
HOMO nella storia e nell’oggi!), perché possa
esserci anche per loro un soffio del profumo
della Pasqua, una carezza ed un pianto.
Gesù è morto, è stato ucciso per noi, con noi,
con ciascuno degli umani trucidati
freddamente dai poteri e dalla violenza: la Sua
Via Crucis è là, qua, dove qualcuno viene
ammazzato senza motivo e senza pietà.
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