
IV DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA DEL CIECO 6 MARZO 2016
Giovanni 9, 1-38b
Riferimenti : Esodo 17, 1-11 - SALMO 35 - Prima lettera ai
Tessalonicesi 5, 1-11 |
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fedeltà fino alle
nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo
giudizio come l’abisso profondo: uomini e bestie tu salvi,
Signore. Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli
uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della
tua casa: tu li disseti al torrente delle tue delizie. |
Esodo 17, 1-11 In quei giorni.
Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende
dal deserto di Sin, camminando di tappa in
tappa, secondo l’ordine del Signore, e si
accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere
per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè:
«Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro:
«Perché protestate con me? Perché mettete alla
prova il Signore?». In quel luogo il popolo
soffriva la sete per mancanza di acqua; il
popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci
hai fatto salire dall’Egitto per far morire di
sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa
farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi
lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa
davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani
d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai
percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti
a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai
sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo
berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli
anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e
Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e
perché misero alla prova il Signore, dicendo:
«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Amalèk
venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni
uomini ed esci in battaglia contro Amalèk.
Domani io starò ritto sulla cima del colle, con
in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto
gli aveva ordinato Mosè per combattere contro
Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla
cima del colle. Quando Mosè alzava le mani,
Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere,
prevaleva Amalèk.
Israele ha accettato di seguire Mosè e di contrapporsi a
Faraone. Ma il cammino è faticoso e imprevedibile. E questo fa
scoprire limiti, difficoltà anche drammatiche. Così sorgono
malumori e proteste. Suppongono disagio e rabbia, ripensamento e
nostalgia del passato. Non si apprezza il tempo presente e non
si superano le difficoltà se non si tenta di accordarsi con i
responsabili. Non ci si deve dimenticare che bisogna,
coraggiosamente, ricostruire uno stile di vita completamente
diverso. Ci vogliono risorse e intraprendenza per lottare e
sopravvivere. Ma il cammino del popolo, uscito dall'Egitto, si
fa sempre più difficile perché gli Israeliti scoprono difficoltà
d'ogni genere. Prima manca il pane (e mangiano manna), poi manca
la carne ( e Dio offre loro le quaglie), poi manca l'acqua,
fondamentale per la vita quotidiana. Qui si inaspriscono le
recriminazioni perché si arriva ad avere seriamente paura. Il
popolo non ha strumenti per provvedervi; non sa rivolgersi a
Dio. Lotta e rimprovera Mosè fino a farlo responsabile della
propria miseria. Mosè è fedele a Dio ed in Lui ha creduto. In
questo caso è anche responsabile, mediatore, condottiero,
custode. Mosè grida poiché è spaventato dalla situazione
difficile. L'interrogativo fondamentale che serpeggia non è
quello dell'ateo: "Dio non c'è", ma l'interrogativo su dove Egli
sia presente, se è ancora disposto a mantenere la sua parola e
la sua protezione che ha promesso. Mosè si è presa la
responsabilità di essere l'intercessore e Dio lo ascolta. Dopo
la mancanza di acqua, risolta nel dono, che altrimenti avrebbe
portato alla morte, vengono la guerra e la violenza che possono
ricondurre alla schiavitù e alla distruzione di molti. Nella
battaglia contro Amelèk, ci si chiede come vincere un popolo che
impedisce la conquista della Terra Promessa? Il Signore dà
criteri inusuali ma complementari:
- la presenza di un piccolo gruppo di soldati, - la preghiera di
intercessione: il segno delle mani alzate come richiamo e
dipendenza al bisogno di Dio. Nelle difficoltà sono necessarie
le responsabilità personali che si mettono in campo con coraggio
e la fedeltà a Dio per intercedere e ricuperare la fiducia e la
libertà. L'intercessione è fondamentale per costruire un popolo
e strutturarlo nella fiducia e nel cammino di comunione. Dio ama
questa intercessione. Gesù è l'esempio più alto della
intercessione per tutti gli uomini e le donne
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Prima lettera ai Tessalonicesi 5,
1-11 Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete
bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del
Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà:
«C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li
colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno
sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché
quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete
tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo
alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri,
ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono
di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi
invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la
corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la
speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla
sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro
Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia
che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a
vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.
Il tempo può custodire la pace e può nascondere
la guerra. Noi cristiani siamo chiamati ad essere sempre
all'erta, pronti però ad affrontare situazioni di emergenza e di
sconvolgimento. Paolo, riprendendo le affermazioni del Signore
sull'incertezza della data della conclusione del mondo (Mt
24,36p; At 1,7), e che bisogna attendere vegliando (Mt
24,42p.50;25,13), afferma di non conoscere il termine
dell'esistenza del mondo. Il giorno del Signore (1Cor 1,8) verrà
come un ladro (cf.Mt 24,43p); bisogna stare in guardia (v 6;
cf.Rm 13,11), il tempo è breve (2Cor 6,2). Egli, prima, si pone
per ipotesi tra quelli che vedranno questo giorno (4,17; cf.1Cor
15,51); poi passa a considerare di morire prima (2Cor 5,3;Fil
1,23); quindi mette in guardia quelli che credono imminente (2Ts
2,1s) il compimento, considerando che prima deve verificarsi la
conversione dei pagani (Rm 11,25). In questa totale incertezza i
tempi non si intravedono brevi. Paolo riprende i contatti con la
prima comunità greca, da lui visitata, quella di Tessalonica,
che si è mostrata subito recettiva e attenta alla sua
predicazione, ma poi presto ha dovuto abbandonarla per la
reazione della popolazione non credente che ha messo in pericolo
la stessa vita di Paolo. Ora Timoteo torna a visitare la
comunità per garantirsi della solidità della fede, e quindi
riferisce all'apostolo liete e rassicuranti notizie.
Riconoscente e commosso, Paolo scrive una lettera che è il primo
testo scritto nel Nuovo Testamento (siamo nel 50 - 51 d.C.). Tra
i molti problemi Paolo sa di dover affrontare anche il "tempo
della Conclusione", come accennato più sopra. Alla fine ricorda
di essere svegli e all'erta perché nessuno lo conosce ma il
Giorno del Signore viene all'improvviso e chiederà conto della
responsabilità e della legge del nostro cuore a tutti gli uomini
e a tutte le donne del mondo. Per questo i credenti debbono
essere come figli della luce e custodire la luce di Dio senza
profanarla, né spegnerla. I "figli della luce" vivono la
sobrietà, si attrezzano sulle virtù della fede, della carità e
della speranza come difesa contro il tempo e i drammi che nella
vita rapiscono la serenità e l'esistenza. Abbiamo un destino di
speranza perché ci fidiamo di Gesù che ci apre alla garanzia e
alla fiducia nel mondo di Dio. Il modo migliore per camminare
verso il tempo del Signore è sostenere i fratelli e le sorelle,
dando loro sostegno e aiutando materialmente per ciò di cui
possono avere bisogno.
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La
piscina di siloe |
Ingresso alla fonte di Gihon che , attraverso un canale sotterraneo scavato
nella roccia da Ezexchia, da l'acqua alla Piscina di Siloe. E'
presso questa fonte che fu consacrato Re il Figlio di Davide,
Salomone, costruttore del primo tempio di Gerusalemme. |
Giovanni
9, 1-38b In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla
nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i
suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i
suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna
che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi
viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che
ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che
gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che
modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe
e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello
che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del
fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei
dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E
c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici
di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che
avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che
aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come
ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed
egli disse: «Credo, Signore!».Siamo sempre
più immersi in questo periodo dell'Anno Liturgico, la Quaresima, che ci invita
in maniera sempre più stringente a rispondere all'invito di convertirci e
credere nel Vangelo. Le icone, che la Liturgia ci invita a contemplare, sono
quelle adottate nella Chiesa Antica per accompagnare i catecumeni a camminare
verso il Battesimo da celebrarsi nella notte di Pasqua. Quella del cieco nato
colpisce perché mette in evidenza quella correlazione inversa di chi apre gli
occhi e vince la cecità grazie al dono della fede e di chi al contrario, invece,
li chiude a causa della chiusura al dono di Dio. I protagonisti di questa
vicenda sono oltre al Maestro e al cieco anche gli oppositori che a causa della
loro ostinazione chiudono gli occhi del cuore e impediscono alla grazia di
filtrare. A questo tipo di polemiche siamo abituati. Focalizziamo l'attenzione
invece su un'altra dimensione importante quella della risposta ai tentativi di
chi perseguita la nostra identità cristiana. Andiamo con ordine e entriamo nel
brano. Gesù agisce sul cieco non perché questi lo abbia pregato ma perché è
un'iniziativa gratuita di Dio Davanti a quell'uomo provato i discepoli si fanno
interpreti di una visione che sembra non debellarsi ai nostri giorni. Per i
discepoli la causa della cecità è dovuta ai peccati suoi e dei suoi genitori.
Gesù afferma che la cecità è dovuta al fatto che in Lui si visibilizzi l'amore
di Dio. Dio agisce anche in quelle vite che ai nostri occhi appaiono
insignificanti e anzi da eliminare nella concezione efficientista della nostra
società. Il Signore lo guarisce e il solo invito che gli fa è di lavarsi alla
piscina di Siloe. Questo dimostra il rispetto del Signore per la nostra libertà
non lo guarisce contro la sua volontà. La gioia del cieco è così grande che al
comando del Signore infrange il tabù del Sabato. I doni grandi che il Signore
concede a noi superano ogni vincolo formale della Legge. E' un gesto che apre le
incomprensioni.
Ogni brano del Vangelo va letto nel contesto di chi scrive. Il testo
evangelico è della scuola giovannea ed è redatto nel 70 dopo Cristo quando le
comunità cristiane iniziavano a subire la persecuzione. I discepoli di Giovanni,
trascrivendo questo episodio, di cui il loro maestro era stato testimone,
offrono ai lettori del tempo delle riflessioni importanti anche a noi cristiani
del XXI secolo, visto che il Vangelo ci fa rivivere nell'oggi questi eventi. La
riflessione che vuole suscitare è la capacità di essere in grado a rispondere
con coraggio alle provocazioni di chi attacca il cristiano da sempre.
L'atteggiamento che possiamo scorgere in questo brano è di due tipi. Il primo
tipo è quello timoroso dei genitori del cieco chiedete a Lui. Nelle prime
comunità non tutti erano coraggiosi e qualcuno perfino incensava le divinità
pagane piuttosto di essere uccisi e quelli che provenivano dal giudaismo
temevano ripercussioni dai compagni di fede ebrei. Il cieco nato guarito invece
cresce nella sua fede e questo crescere nella fede gli permette di professare la
sua fede davanti a Gesù che lo ha guarito non curante delle ripercussioni di cui
poteva soffrire. Noi oggi abbiamo il coraggio della fede davanti agli attacchi
che ci vengono perpetrati. Il coraggio è oggi più che mai l'unica strategia vera
di nuova evangelizzazione. In questo anno di pontificato lo dimostra Papa
Francesco che, con la semplicità che lo contraddistingue, non ha intaccato
minimamente la proposta cristiana. Questo coraggio dovrebbe abitare in tutti noi
cristiani per affrontare le grandi sfide del contesto in cui viviamo. Non
facciamoci prendere da timori il Signore c'è sempre vicino e ci dà il coraggio
di affrontare il Lunedì quando è più difficile visibilizzare la nostra
appartenenza alla Sua Chiesa.
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