 Ultima Domenica dell’Anno Liturgico NOSTRO SIGNORE GESÙ
CRISTO RE DELL’UNIVERSO
6.11.2016 Matteo 25, 31-46
Riferimenti : Daniele 7, 9-10. 13-14 - SALMO 109 - Prima lettera
ai Corinzi 15, 20-26. 28 |
Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.
Oracolo del Signore al mio signore:«Siedi alla mia destra finché
io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Lo scettro
del tuo potere stende il Signore da Sion: domina in mezzo ai
tuoi nemici! |
Daniele 7, 9-10. 13-14 Io
continuavo a guardare, / quand’ecco furono
collocati troni / e un vegliardo si assise. / La
sua veste era candida come la neve / e i capelli
del suo capo erano candidi come la lana; / il
suo trono era come vampe di fuoco / con le ruote
come fuoco ardente. / Un fiume di fuoco scorreva
/ e usciva dinanzi a lui, / mille migliaia lo
servivano / e diecimila miriadi lo assistevano.
/ La corte sedette e i libri furono aperti. /
Guardando ancora nelle visioni notturne, / ecco
venire con le nubi del cielo / uno simile a un
figlio d’uomo; / giunse fino al vegliardo e fu
presentato a lui. / Gli furono dati potere,
gloria e regno; / tutti i popoli, nazioni e
lingue lo servivano: / il suo potere è un potere
eterno, / che non finirà mai, / e il suo regno
non sarà mai distrutto. Nel
libro di Daniele ci viene proposta una famosa
visione apocalittica, con le quattro bestie,
simboli dei quattro regni che hanno dominato il
piccolo popolo d'Israele: il leone che
rappresenta Babilonia, l'orso che rappresenta il
popolo della Media, il leopardo con quattro
teste, simbolo dei Persiani che scrutano in ogni
direzione in cerca della preda, la quarta
bestia, un mostro terribile, richiama il regno
di Alessandro Magno e dei suoi successori. Alla
fine dell'anno liturgico ci viene suggerita
quella riflessione sul senso della Storia, che
ha sempre tormentato gli ebrei, in particolare
nel II secolo a.C., quelli che subivano
l'oppressione culturale e religiosa di Antioco
IV Epifane (175-164 a.C.). Questo Antioco era
uno dei Seleucidi, i successori di Alessandro
Magno nella zona siriaca; egli tentava di far
penetrare la cultura ellenistica, quindi pagana,
anche in Palestina, ma si scontrava con i
partigiani della tradizione ebraica, col
risultato che la società in Palestina era
fortemente divisa e contrapposta. Quando si
giunse alla crisi e allo scoppio della rivolta
maccabaica, i fedeli tradizionalisti ebbero la
meglio in modo totalmente inaspettato, e Antioco
IV morì di lì a poco (1 Mac 6,1-16). Tutto
questo portò a rileggere la storia di Israele e
del mondo allora conosciuto cercando di
individuare con quale logica Dio ne tenesse le
redini del tempo e le sorti d'Israele. Israele
aveva avuto il suo momento di gloria al tempo di
Davide e Salomone (X sec. a.C.). Ben presto si
era diviso in se stesso; poi erano giunti i
primi conquistatori, gli Assiri, quindi i
Babilonesi, poi ancora i Persiani, e infine i
Greci; ma ecco che, proprio quando l'oppressione
si era fatta più dura, un manipolo di eroi
fedeli alla Legge ("tôr'"), riesce ad avere il
sopravvento e a riprendere il controllo della
Terra Promessa. Nella visione appare il
Vegliardo circondato da miriadi di esseri
celesti. Egli siede sul trono, giudica i regni e
li fa concludere nel tempo e nella morte.
Appare, accanto, un nuovo sovrano, "sulle nubi
del cielo, simile a un figlio di uomo". Viene
dal cielo e non dagli abissi dell'oceano come le
bestie detronizzate. Riceve i poteri regali su
tutti i popoli della terra e il suo regno non
avrà fine. Probabilmente all'inizio questo
"figlio di uomo" rappresenta il popolo d'Israele
("resto santo" del popolo di Dio), il governo
dei "santi" e non si dice se il suo governo sia
spirituale o terreno. Lungo la storia, poi,
lentamente, prende forma un'attesa messianica,
aperta al futuro: e l'attesa prepara ad
accogliere l'Inviato del Signore, il Re Messia.
Di fatto, Gesù applicherà a se stesso
l'espressione "figlio dell'uomo", mettendovi
dentro sia l'aspetto più umano della sofferenza
(Lc 22,22), sia quello più divino della facoltà
di rimettere i peccati (Lc 5,24), sia quello
conclusivo della storia (escatologico) del
giudizio finale (Lc 21,27.36). E questa è
l'interpretazione che darà Gesù ricordando la
parabola del Giudizio finale (Mt 25,31),
accettando di rispondere al sommo sacerdote
circa la propria identità (Mt 26,64). Dio
stesso, signore della storia, intrama i fili del
tempo e del futuro e a tutto consegna un fine e
un progetto che è Gesù. Nel momento in cui i
cristiani celebrano Gesù come re dell'universo e
come loro re, ricordano di seguire le sue
tracce, accettando la sofferenza per il regno
dei cieli, contribuendo, per quanto possono,
alla remissione dei peccati, guardando al
presente e al futuro in prospettiva di eternità
e avendo, come unico criterio di valutazione, la
vita e la parola di Gesù. |
Prima lettera ai Corinzi 15, 20-26.
28 Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro
che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte,
per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come
infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno
la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la
primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi
sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo
avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È
necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i
nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato
sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso,
anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha
sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo sta
sviluppando la tematica sulla risurrezione dei cristiani. Egli
dice: essa prende consistenza dalla risurrezione di Gesù. Ci
sono molti testimoni (vv 5-8) ma alcuni, a Corinto, negano che i
cristiani possano risorgere, dimenticando di riflettere sulla
risurrezione di Gesù stesso. Una tale posizione si allinea con
il pensiero dei Sadducei e con la negazione della filosofia
greca. S. Paolo non discute, ma afferma che la risurrezione dei
credenti, a somiglianza di quella di Gesù, esprime una
concezione globale della vita cristiana. Cristo è contrapposto
ad Adamo: il primo uomo aveva aperto la strada della morte, Gesù
apre la strada della vita. Viene usata qui l'immagine ebraica
della "primizia": dono di novità che viene offerto a Dio e
inizio di abbondanza. Nel linguaggio apocalittico, usato nei
racconti che riguardano la conclusione della storia, Cristo
appare come colui che "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo
aver ridotto al nulla ogni principato e potestà e potenza".
Gesù, in tal caso, si mostra Signore e Re, capace di vincere i
nemici terribili di Dio e dell'uomo.
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Matteo 25, 31-46 In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con
lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati
tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le
pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla
sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo
e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti
a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo
visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da
bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti
abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo
venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto
quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via,
lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i
suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto
sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo
e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o
assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo
servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello
che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a
me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita
eterna». Ci troviamo davanti ad immagini drammatiche e, al
limite, spietate. Siamo così obbligati ad immergere il testo, in modo
particolare, nella cultura del tempo e soprattutto nello spirito con cui Gesù
vuole insegnare ai suoi il significato della storia e della vita. Dobbiamo
tener presente infatti che, solo qualche giorno dopo la proclamazione di
questo testo, Gesù sarà arrestato, condannato e crocifisso, mentre egli
stesso esprimerà infinito amore e infinito perdono per chi lo uccide o lo
tradisce. Perciò questo testo va riletto secondo un linguaggio tipico dei
predicatori del tempo che volevano scuotere gli ascoltatori con immagini
impressionanti. Ma il motivo non è tanto quello di suggerire ciò che avverrà
nell'eternità, che resta il mistero del Dio misericordioso che si apre a noi,
pur sapendo che le nostre scelte di male possono procurarci un rifiuto totale
verso Dio. La teologia delle "ultime cose", come tutta la riflessione
teologica, non si basa su un testo solo o su una parola, ma sulla ricchezza
globale del messaggio. Qui si vogliono fornire insegnamenti su come
comportarsi oggi, su che cosa veramente vale, su che cosa significhi seguire
Gesù e come veramente incontrarlo. Matteo usa l'immagine del pastore che,
alla sera, quando raccoglie il suo gregge, divide i capri dalle pecore.
Queste sono coperte di lana e amano il fresco della notte e stanno volentieri
all'aperto, mentre i capri, i più sensibile al freddo, vanno collocati al
riparo. Così i rabbini, quando parlavano del fuoco della Geenna, non si
riferivano all'inferno, ma al fuoco sempre acceso nella valle attorno a
Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie. Nello stesso tempo, la parola
"eterno", in questo contesto, ha il significato di "tempo lungo, indefinito".
In altri termini siamo di fronte ad una parabola che esprime il giudizio
sulla storia, sul mondo e sulle azioni di ciascuno, su che cosa veramente è
il riferimento alla volontà di Dio. Gesù è presentato come "Figlio dell'uomo"
(24,30), accompagnato da "tutti i suoi angeli": la corte celeste che fa da
cornice al giudizio finale. Egli è re, giudice, viene chiamato "Signore"
(25,34) e si dice "Figlio di Dio" (25,34). Tutto si svolge come un dialogo
tra il re e i due gruppi divisi tra destra e sinistra (nella simbologia
religiosa la mano destra richiama gesti e situazioni favorevoli). La verifica
è sul "fare" e sull'"aver fatto" in rapporto ai bisogni e alle necessità
quotidiane delle persone. Non c'è nulla di eroico, ma il richiamo alle opere
di misericordia (ne sono elencate 6, numero imperfetto) richiede attenzione a
queste e ad altre che potrebbero sorgere nella realtà di ciascuno, allungando
l'elenco stesso. I giusti non sanno neppure di aver soccorso il Signore
stesso nei bisognosi. Non c'è neppure un accenno a gesti religiosi di culto,
né ai temi dell'Alleanza ebraica. Quello che conta sembra essere il puro
gesto materiale di aiuto. Tutti sono chiamati alla salvezza, passando
attraverso l'attenzione a chi è povero. E' una splendida, terribile e
semplice sintesi che angoscia nella storia e si pone come vera attenzione.
Matteo scrive per una Comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi
superficiali, incapace di impegnarsi seriamente sulla carità. Da qui l'invito
a non accontentarsi di dire: "Signore, Signore" (Mt 7,21: "Non chiunque mi
dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la
volontà del Padre mio che è nei cieli). Quello che conta è l'essenziale agli
occhi del Padre. Il problema perciò non è quello di vedere Gesù nel povero
(nessuno lo vede), ma nell'identificarlo in chi soffre, in coloro che Cristo
ha scelto come i suoi amici e che sono gli ultimi della terra. Questa pagina
paradossale ci indica che Gesù, nello stesso tempo, è il povero umiliato e il
re-giudice che giudica.
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