 I domenica di avvento
15 novembre 2015
Luca 21,5-28
Riferimenti : Isaia 13,4-11 - Salmo 67 - Efesini 5,1-11 |
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi
faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la
tua via, fra tutte le genti la tua salvezza. Ti lodino i popoli,
Dio, ti lodino i popoli tutti. Esultino le genti e si
rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le
nazioni sulla terra. |
Isaia 13,4-11 Rumore di folla sui
monti, simile a quello di un popolo immenso.
Rumore fragoroso di regni, di nazioni radunate.
Il Signore degli eserciti passa in rassegna un
esercito di guerra. Vengono da un paese lontano,
dall'estremo orizzonte, il Signore e gli
strumenti della sua collera, per devastare tutto
il paese. Urlate, perché è vicino il giorno del
Signore; esso viene come una devastazione da
parte dell'Onnipotente. Perciò tutte le braccia
sono fiacche, ogni cuore d'uomo viene meno; sono
costernati, spasimi e dolori li prendono, si
contorcono come una partoriente; ognuno osserva
sgomento il suo vicino; i loro volti sono volti
di fiamma. Ecco, il giorno del Signore arriva
implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare
della terra un deserto, per sterminare i
peccatori. Poiché le stelle del cielo e la
costellazione di Orione non daranno più la loro
luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la
luna non diffonderà la sua luce. Io punirò il
mondo per il male, gli empi per la loro
iniquità; farò cessare la superbia dei protervi
e umilierò l'orgoglio dei tiranni.
Al tempo del profeta Isaia (sec VIII)
Babilonia non aveva un particolare significato
militare ed era soggetta agli Assiri. Questo
testo, di lotta e di sconfitta dei babilonesi, è
molto più vicino agli avvenimenti del sec VI
quando Babilonia fu distrutta da Ciro, persiano,
nel 539 a.C. E' perciò un testo scritto,
probabilmente dal terzo Isaia che trasfigura
tale avvenimento bellico in un castigo che il
Signore infligge a Babilonia mentre Babilonia
diventa l'immagine simbolo di ogni potere
dispotico. E' perciò una rilettura teologica di
un avvenimento che aveva suscitato stupore in
Israele. Babilonia viene rappresentata come
capitale di una grande potenza mondiale pagana,
contraria a Dio e disumana. La sua fine dimostra
che il Signore irrompe nella storia del mondo
con il suo "giorno del Signore", portando le
situazioni catastrofiche della distruzione. I
vv.2-5 raccontano i preparativi della battaglia
decisiva e i combattenti sono considerati i
"consacrati", truppe di Dio e giustizieri a sua
volta: "Io ho dato un ordine ai miei consacrati;
ho chiamato anche i miei prodi a strumento del
mio sdegno, entusiasti della mia grandezza". (v.
3). Sono i soldati delle tribù di Israele che
combattono la battaglia di Jhwh. Essi, prima di
partecipare alla guerra, si sottoponevano a
determinati riti e dovevano osservare norme
specifiche, compresa l'astinenza sessuale
(Deuteronomio 23,10-15). Il Signore, con il suo
popolo purificato, combatte per liberare il
mondo dalla tirannia e dall'oppressione. Il
racconto descrive l'angoscia e il terrore delle
vittime, prima ancora che l'esercito del Signore
si sia messo in marcia (vv.6-8). E'
l'espressione della paura e il riconoscimento
che veramente Dio è grande e che solo lui è
capace di potere e di potenza sulla terra.
Inizia quindi la narrazione del manifestarsi del
Signore e le conseguenze catastrofiche che egli
porta (vv. 9-16) ma il testo merita di essere
letto per intero fino al v 22. Con questa
garanzia di presenza e di sostegno si apre il
"giorno del Signore" che diventa, in questo
caso, garanzia e liberazione per il popolo
oppresso. Dio, che è il Signore dell'universo,
interviene con tutta la sua potenza, arrivando a
coinvolgere le stelle, il sole e la luna. Si
descrive, attraverso immagini drammatiche, la
rovina che realmente cade su questa città,
orgogliosa e tiranna sui popoli. Il messaggio,
che si vuole trasmettere, è di fiducia e di
garanzia della presenza di Dio che non permette
ai potenti di arrivare a compiere il male contro
il suo popolo. E comunque, chi sviluppa violenza
e opprime gli altri, è destinato al fallimento.
Alla fine la potenza di Dio esplode nella
liberazione.
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Efesini 5,1-11 Fatevi dunque
imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella
carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se
stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o
cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi;
lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità:
cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!
Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro -
che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio.
Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose
infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non
abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate
tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i
figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà,
giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non
partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto
condannatele apertamente,
La collocazione di
questo brano, nella liturgia della 1 domenica di Avvento,
suggerisce ai credenti che vivono nella storia del mondo, di
essere lievito e luce, sale e sapienza, presenza coraggiosa e
generosa. In una storia che si imbastardisce in male, violenza e
dissoluzione, i cristiani sono chiamati alla novità, a non
lasciarsi travolgere. Essi, che vivevano con gli stessi criteri
e la stessa mentalità dei pagani, se ne possono rendere conto.
Ora sono stati salvati dal Signore e immessi in una comunità e
in una luce nuova: sono un corpo solo, la famiglia di Dio. Sono
costituiti in unità con "un solo Signore, una sola fede, un solo
battesimo... un solo Dio e Padre di tutti" (Ef 4,5-6), e quindi
costituiscono l'unità del corpo di Cristo (4,1-16). Viene quindi
logico il confronto tra il comportamento precedente alla
conversione dei cristiani di Efeso e la nuova vita secondo Gesù
(Ef4,17-24). Continuando questa riflessione, non ci si può
dimenticare una particolare responsabilità nella stessa comunità
che esprime, insieme, la ricchezza dei doni dello Spirito e la
tensione verso una unità più profonda (4,25-32) Così il testo
del cap. 4 è un buon antefatto che ci aiuta a cogliere il
messaggio di oggi. Paolo, infatti, finisce, raccomandando la
benignità, la misericordia "e perdonandovi a vicenda come anche
Dio, in Cristo, ha perdonato a voi" (4,32). Si capisce, allora,
il successivo incoraggiamento che leggiamo oggi: "Fatevi,
dunque, imitatori di Dio quali figli carissimi". L'impegno
suggerito è una scelta progressiva, "camminando nella carità".
Il camminare è un tipico linguaggio ebraico che traduce "un
comportamento, un seguire una data norma". E la misura, questa
volta, non è solo legata alla fede nel perdono del Padre, ma si
dimensiona sull'esempio concreto di Gesù che si è offerto al
Padre per la nostra riconciliazione. Paolo tiene ad esplicitare
un comportamento coerente, specificando che "la prostituzione,
ogni impurità, in genere, e l'avarizia" (5,3) vanno identificate
come idolatria e quindi rifiuto del vero Dio: "Perché,
sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè
nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio"
(5,5). Comportarsi secondo queste scelte non costituisce solo
sbaglio o cattivo comportamento, ma diventa una vera forma di
culto idolatra perché è una totale offerta di se stessi al
denaro o ad alcune creature, come se fossero Dio. Ci sono anche
preoccupazioni di correttezza nel linguaggio ("volgarità,
insulsaggini e trivialità") che non fa riferimento solo a buona
educazione ma a"cose sconvenienti" che banalizzano e "sporcano"
la realtà, riconducendola a "ogni specie di impurità".
L'alternativa è il rendere grazie. Solo in questo modo ciascuno
qualifica una presenza dignitosa e coerente che vive con
semplicità e gratitudine la propria esistenza, sa accorgersi
della presenza di Dio e dei suoi doni e accoglie ogni persona
con stima e rispetto. Sul linguaggio Paolo si ferma molto poiché
per ciascuno è questo il primo e il proprio modo di presentarsi,
è lo svelamento di ciò che siamo, è l'immagine della propria
interiorità. La correttezza, il significato delle parole, la
discrezione ("neppure si parli tra di voi come dev'essere tra
santi v.3"), la lealtà, la serietà di contenuto e la non
vuotezza qualificano uno stile e una dignità non comune,
riferimento alla somiglianza con Dio ed alla santità che è stata
offerta perché "siete luce nel Signore". Il dono del battesimo
ci ha resi "luce" (Col1,12: "Ringraziate con gioia il Padre che
vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella
luce"). Rigenerati dalla forza di Dio, Paolo ricorda che la vita
deve giungere alla conclusione di operosità e concretezza. E
parla di "frutti": "Ora il frutto della luce consiste in ogni
bontà, giustizia e verità.... le opere delle tenebre non danno
frutto" (vv 9-11).
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Muro del
pianto
Luca 21,5-28 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle
belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: "Verranno giorni in
cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga
distrutta". Gli domandarono: "Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il
segno che ciò sta per compiersi?". Rispose: "Guardate di non lasciarvi
ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è
prossimo"; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di
rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose,
ma non sarà subito la fine". Poi disse loro: "Si solleverà popolo contro
popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti,
carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal
cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi
davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione
di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la
vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari
non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai
genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte
alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un
capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le
vostre anime. Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate
allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella
Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e
quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta,
perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai alle donne che sono
incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese
e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti
prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché
i tempi dei pagani siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e
nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del
mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di
ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno
sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza
e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e
levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina".
Tutti viviamo d'attesa: Di un mondo più giusto ad esempio e ci sforziamo di
renderlo migliore pur non sperandoci più troppo. Dobbiamo vivere da
rassegnati, senza speranza, e quindi nel relativismo che ride della verità e
di una giustizia possibile? Si può vivere senza futuro? Sarà sempre così
umiliata la condizione umana, e fino a quando? La Parola di Dio oggi ci dice
che un termine ci sarà, e quindi una giustizia sarà fatta. Vale allora la
pena di lottare, di costruire il bene perché avrà uno sbocco positivo; di
continuare ad essere coerenti e testimoni di un mondo futuro che non avrà
discontinuità con l'eterno. L'Avvento che incomincia ci educa a questa
attesa, chiedendoci di non spaventarci di fronte a un mondo sempre più
difficile e ostile, e di perseverare nel bene. Un fatto come la distruzione
di Gerusalemme e del suo tempio famoso fu interpretato dai contemporanei come
"la fine del mondo". Questo timore ritorna ad ogni epoca, ogni qual volta si
sente di guerre, di rivoluzioni e di fatti terrificanti. Sono certamente i
segni di un mondo che non è definitivo, e quindi che la nostra vita è
precaria; del resto, la paura della morte sta sempre in agguato in fondo al
cuore di ogni uomo. Effettivamente una fine ci sarà e sarà emesso un giudizio
che ribalterà le sorti dell'umanità. Anche il creato sarà scombussolato. Per
il credente tutto ciò è però segno che il mondo nuovo si avvicina. Il ritorno
glorioso di Cristo come Giudice, sarà il compimento della sua promessa di
salvezza. Certo che tutto finisce, ma per chi s'affida a Dio, questa fine è
l’inizio di una nuova creazione, di una nuova nascita e più precisamente sarà
quell'incontro dello Sposo con la Sposa - la Chiesa - con cui termina il
libro dell'Apocalisse: "Vidi un cielo nuovo e una nuova terra: il cielo e la
terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche
la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come
una sposa adorna per il suo sposo". Con questa fiducia, il cristiano sopporta
con serenità tutto l'agitarsi degli uomini e del cosmo, sentendosi sicuro
nelle mani di Dio e non crede ad altri "salvatori" ma solo a Gesù Cristo. E'
il disincanto del credente di fronte ad ogni ideologia o sistema
politico-economico che è sempre insufficiente a salvare l'uomo dalle sue
crisi e fragilità. Per il credente è il tempo di prova, di persecuzione e di
scelte difficili. Ad ogni rivoluzione o scombussolamento politico, i primi a
portarne le conseguenze sono proprio i cristiani, anche perché sono quelli
che danno fastidio ad ogni regime totalitario, essendo sudditi di un unico
Signore, il nostro Signore Gesù Cristo. Del resto il credente, rispetto al
riferimento del mondo, ha una concezione radicalmente diversa. Oggi più di
ieri aumenta la distanza: il riferimento all'eterno rispetto all'immediato,
il riferimento all'onestà rispetto all'edonismo, il riferimento a una vita
seria e coerente rispetto alle volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono
cose sconvenienti; chi crede, non deve avere niente in comune con questi
falsi valori, perché sa che nessun fornicatore, o impuro, o avaro, nessun
idolatra erediterà il regno di Cristo e di Dio. Capita allora di essere
traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici e
qualcuno potrà anche essere ucciso, nel nome di Cristo. Storia contemporanea,
storia di persecuzione in molte parti del mondo, nello scontro di civiltà e
culture tanto diverse dal vangelo. E' il dramma del Chiesa, la difficile
scelta di credere e attendere la seconda venuta di Cristo e, per noi, è la
prova della nostra fede. Ma non si è soli in questa lotta e la vittoria è
sicura: "Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto". Non c'è d'aver
paura: "Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non
potranno resistere né controbattere". Gesù un giorno ebbe a dire: "Nel mondo
avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!" "Questa è la
vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede".
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