 III DOMENICA DI AVVENTO
29 novembre 2015 Luca 7, 18-28
Riferimenti : Isaia 45, 1-8 - Salmo125 - Romani 9, 1-5 |
Grandi cose ha fatto il Signore per
noi. Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava
di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la
nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: «Il
Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il
Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore,
la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle
lacrime mieterà nella gioia. |
Isaia 45, 1-8 Dice il Signore del
suo eletto, di Ciro: / «Io l’ho preso per la
destra, / per abbattere davanti a lui le
nazioni, / per sciogliere le cinture ai fianchi
dei re, / per aprire davanti a lui i battenti
delle porte / e nessun portone rimarrà chiuso. /
Io marcerò davanti a te; / spianerò le asperità
del terreno, / spezzerò le porte di bronzo, /
romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò
tesori nascosti / e ricchezze ben celate, /
perché tu sappia che io sono il Signore, / Dio
d’Israele, che ti chiamo per nome. / Per amore
di Giacobbe, mio servo, / e d’Israele, mio
eletto, / io ti ho chiamato per nome, / ti ho
dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io
sono il Signore e non c’è alcun altro, / fuori
di me non c’è dio; / ti renderò pronto
all’azione, anche se tu non mi conosci, / perché
sappiano dall’oriente e dall’occidente / che non
c’è nulla fuori di me. / Io sono il Signore, non
ce n’è altri. Io formo la luce e creo le
tenebre, / faccio il bene e provoco la sciagura;
/ io, il Signore, compio tutto questo. /
Stillate, cieli, dall’alto / e le nubi facciano
piovere la giustizia; / si apra la terra e
produca la salvezza / e germogli insieme la
giustizia. / Io, il Signore, ho creato tutto
questo». Gli ebrei si trovano
a Babilonia, deportati dopo la sconfitta e la
distruzione di Gerusalemme. Sorge un profeta
anonimo per noi, ma conosciutissimo ed ascoltato
presso gli esuli che ricordano con nostalgia la
città di Dio, Gerusalemme, abbandonata e
distrutta (siamo nel sec VI a.C.).. Questo
profeta anonimo (che si usa chiamare Secondo
Isaia, ma i cui vaticini sono inseriti
nell'unico libro di Isaia) rivela ciò che Dio ha
riservato per il futuro dei suoi fedeli. Essi
ritorneranno, se lo vorranno, poiché un nuovo
re, Ciro, re dei persiani, nelle sue campagne
militari vittoriose, sta conquistando e
sottomettendo i regni dell'Asia Minore e
dell'Oriente. Si dirige verso Babilonia, la
conquista senza incontrare resistenza, libera i
popoli sottomessi e proclama, con un editto a
tutti i deportati, che possono tornare nelle
loro terre se lo desiderano. Di fatto non tutti
gli ebrei ritorneranno, ma molti si fermano a
Babilonia e addirittura vi si istituisce una
scuola ebraica famosa nei secoli futuri. Ciro si
presenta come salvatore degli oppressi e
difensore dei deboli. Se la storia racconta
queste vicende, l'autore biblico tenta di
aiutare ad interpretare i fatti avvenuti,
svelando che questo re è un eletto dal Signore,
Dio di'Israele, mandato da lui anche se il re
non lo sa e non conosce il Dio degli ebrei e
quindi attribuisce la sua vittoria al suo Dio e
alla sua buona sorte. "Io l'ho preso per la
destra, per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re (per
disarmarli), per aprire davanti a lui i battenti
delle porte e nessun portone rimarrà chiuso"
(45,1). L'avere unito insieme il Dio creatore e
il Dio che conduce la storia aiuta a capire che
"Io sono il Signore e non ce ne alcun altro;
fuori di me non c'è Dio; ti renderò pronto
all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5).
"Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il
bene e provoco la sciagura" (v7). In questo
versetto vengono rilette la natura e la storia,
le tenebre e la sciagura (che pure fanno parte
della vita e sono il suo lato oscuro). Ma in
tutto questo si intravvede l'apertura della
speranza perché Dio è presente: forma la luce e
fa il bene. Nell'ultimo versetto (8) si legge il
richiamo alla fecondità che Dio offre: rugiada e
pioggia, semi e frutti. Il cielo e la terra si
uniscono in questa abbondanza per l'opera di Dio
perché il popolo viva in pace. Ci si ricollega,
così, al versetto 44,23 e fa da chiusura ad un
inno che era cominciato con questo invito:
"Esultate, cieli, perché il Signore ha agito;
giubilante, profondità della terra". Là si parla
di cieli giubilanti e terra, di monti e alberi;
qui si dice "Fecondate il suolo perché il
ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza".
Mi sembra un testo splendido e inaudito per il
VT poiché qui è un pagano che viene esaltato a
strumento voluto da Dio per liberare e mostrare
la sua misericordia. Per giungere a questa
intuizione, ci si deve mettere
nell'atteggiamento di chi sa della presenza
discreta e anonima di Dio che però opera nel
mondo e ci offre "segni": sono i grandi segni
della storia e i piccoli segni della nostra vita
personale che dobbiamo identificare e
interpretare, Vi ricordo un atteggiamento
fondamentale che ci ha svelato il Card. Martini
per la sua vita interiore. Da pastore si è
chiesto: "Perche mi si presenta questo problema
concreto (un attentato terroristico, una
fabbrica che chiude, un prete che intende
lasciare l'abito, un politico che ruba, una
coppia che vuole conciliare il proprio amore e
la possibilità di decidere quando aver figli e
quanti, una donna abbandonata dal marito che si
è rifatta una vita affettiva e chiede i
sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa
vuole dirmi il Signore mettendomi davanti a tali
vicende, e come pensa che io possa essere
testimone della speranza e della fiducia che ha
posto in me?" E' lo stesso atteggiamento di come
il Card. Martini si metteva di fronte alla
Scrittura per cercare risposte. (Marco Garzonio
nella sua recente biografia sul Card. Martini).
Ma dovrebbe essere anche il nostro interrogativo
nel tempo dell'attesa.
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Romani 9, 1-5 Fratelli, dico la
verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà
testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore
e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso
anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei
consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno
l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il
culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro
proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli. Il cap 8 è un grande
canto di amore e di meraviglia per quanto il Signore ha fatto,
ha offerto e sta facendo maturare nella vita di ogni credente. E
tuttavia Paolo si sente sconcertato proprio dalla lontananza,
nell'insieme, del suo popolo dalla fede nel Signore Gesù. Questa
lettera è scritta a circa 30 anni dalla morte e risurrezione di
Gesù e ormai si è profilato con certezza l'atteggiamento
complessivo del popolo d'Israele, anche se molti hanno aderito
alla fede in Cristo. Il dramma sempre acuto di Paolo fa
riferimento al cammino del suo popolo. E lo sconcerto aumenta
quando Paolo confronta l'entusiasmo di alcuni pagani che
accolgono il messaggio di Gesù e parallelamente deve verificare
un distacco ormai incolmabile dai suoi. Egli dice che
accetterebbe persino di diventare un maledetto ("anatema") se
questo potesse servire a qualcosa. E' la stessa sofferenza che
visse Mosè di fronte al tradimento del suo popolo, che aveva
costruito nel deserto un vitello d'oro, e addirittura alla
stanchezza di Dio che voleva cancellare tutti per ricominciare
con Mosé, l'ultimo fedele rimasto, un popolo nuovo. Così Paolo
ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio: "Ora tu
perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai
scritto" (Es 32,32). Ma dopo Mosè l'esperienza della fedeltà di
Dio si è manifestata in modo impensabile e quindi Paolo continua
a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti,
garantiti rispetto ai popoli pagani. La sofferenza di Paolo è
quella di un figlio, non di un nemico, come spesso è risultato
nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice
nessuno, resta sconcertato del mistero d'Israele e ricorda i
segni della predilezione del Signore. Essi sono Israeliti: gli
autentici discendenti di Giacobbe-Israele (Gen 32,29). Da questo
privilegio scaturiscono tutti gli altri: l'adozione filiale (Es
4,22; cf.Dt 7,6); la gloria di Dio (Es 24,16) che dimora in
mezzo al popolo (Es 25,8; Dt 4,7; cf.Gv 1,14); le alleanze con
Abramo (Gen 15,1;15,17;17,1), Giacobbe-Israele (Gen 32,29), Mosè
(Es 24,7-8); il culto reso al solo vero Dio; la Legge
espressione della sua volontà; le promesse messianiche (2Sam
7,1) e, da ultimo, ma è il dono più grande, l'appartenenza alla
stirpe di "Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli" (9,5). Paolo mantiene un atteggiamento
di fiducia poiché crede nella misericordia di Dio, mentre,
comunque, assiste ad un allontanamento. Eppure è convinto che il
Signore opera continuamente ed è capace di capovolgere le cose.
Dovrebbe essere l'atteggiamento che il Signore ci chiede. Ma
certo, non va accettata la fiducia come un alibi per rassegnarsi
e non fare niente. La nostra operosità stessa sarà dal Signore
utilizzata per una maturazione, ma non sappiamo quando, poiché
la volontà di Dio non si capisce mai fino in fondo. Paolo si
fida e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo
ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella
salvezza.
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Luca 7, 18-28 In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi
discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li
mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare
un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha
mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo
aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie,
da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede
loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e
udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la
buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di
Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna
sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito
con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel
lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un
profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta
scritto: “Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, / davanti a te egli
preparerà la tua via”. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più
grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».
In questo testo Luca vuol aiutarci a capire quanto fosse diversa l'attesa del
Messia e quindi l'interpretazione della sua venuta nel popolo d'Israele: e
questo non solo tra le persone semplici e analfabete ma anche tra le persone
dotte ed esperte della legge e perfino nelle persone più vicine e più
coerenti quale Giovanni Battista. Luca introduce in un contesto
particolare l'interrogativo drammatico di Giovanni Battista sul messianismo
di Gesù. Nel cap 6 ha riletto le "beatitudini" di Gesù, riducendole da 9
(secondo la versione di Matteo) a 4, ma confrontandole con i "guai"
corrispondenti: 4 "beatitudini" e 4 "guai" (6,20-26). Poi fa seguire alcune
raccomandazioni sapienziali sull'amore e sul comportamento coerente.(6,
27-38). Infine Luca conclude, come Matteo, il lungo discorso delle
beatitudini, con l'immagine della casa sulla roccia, garanzia di radicamento
in Gesù (Lc 46-49; Mt 7,21-27). All'insegnamento di Gesù Luca aggiunge due
miracoli: la guarigione del servo di un centurione (7,1-10 dono ad un pagano
del servo ristabilito) e la risurrezione del figlio della vedova di Nain
(7,11-17 dono ad una vedova del figlio ritornato in vita). In tal modo Luca
ricorda che i poteri di Gesù si allargano su orizzonti immensi con gesti
ritenuti finora impossibili: accettare un pagano e risuscitare un morto. Ora
che ha preparato il campo, raccontando, in sintesi, ciò che Gesù ha detto ed
ha fatto, Luca sente di poter parlare di Giovanni, del suo ruolo
indispensabile, ma anche delle sue difficoltà ad accettare il messaggio di
Gesù, poiché è assolutamente inimmaginabile rispetto alle sue attese. Il
Messia, si pensa, deve essere un giustiziere e un regolatore di libertà, un
personaggio che rimette in valore il giusto, l'Alleanza che è garanzia di un
popolo scelto e quindi unico e privilegiato. Giovanni il Battista ha creduto
che bisogna meritarsi questa presenza, riconoscendo il male, chiedendo
perdono e facendo penitenza. Sa di aver fatto tutto il possibile, perciò
aspetta, ma è anche impaziente. Crede che il primo gesto del Messia sarà la
sua liberazione. In prigione deve essere stato trattato con rispetto (poiché
può ricevere visite e si intrattiene con i suoi discepoli). Vuole, però,
vedere il cambiamento, perché proprio per questo si è giocato tutto. Gesù
risponde in modo indiretto. E' molto chiaro e invita a riferire "ciò che
avete visto e udito" (22). Gesù anticipa il vedere all'udire. Bisogna "prima
vedere", e saper vedere la novità, la vita nuova, la liberazione che le
parole del profeta hanno solo annunciato. "Poi il ciò che è stato udito"
diventa testimonianza, significato, messaggio garantito dalla liberazione
avvenuta per la parola: pronunciata e percepita. La missione di Gesù è altro
da ciò che si aspettano, e fa prendere coscienza di 6 nuove realtà: "i ciechi
riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i
sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia"
(7,22). Le guarigioni richiamano Isaia, i lebbrosi fanno ricordare Naaman il
Siro, guarito da Eliseo (2 Re 5), la risurrezione dei morti ci riporta ad
Elia (1Re 17,21-23; 2Re,4,34). Non ci troviamo davanti a gesti di potenza ma
di fronte al nuovo Regno che viene annunciato ai poveri come "lieta (ma anche
nuova) notizia" e liberazione. Giovanni annuncia un tempo che elimina i
peccatori, Gesù annuncia un Regno di misericordia e di consolazione che li
accoglie. Perciò è il tempo della pazienza, dell'operosità gratuita, della
libertà dove Dio non interviene a castigare poiché egli ama i suoi figli e
non vuol fare loro nulla di male. «E beato è colui che non trova in me motivo
di scandalo!» E' un avvertimento che fa a tutti, mentre è fiducioso di
Giovanni poiché è coerente con la Parola e la Volontà di Dio. Ma tutto questo
richiede che bisogna rivedere la propria cultura, attese, la stessa nostra
idea di Dio. Gesù pone 6 domande retoriche e tre affermazioni: Giovanni non è
volubile, non è opportunista, non è corrotto. E' il vero credente che non
abbandona, lotta, ma continuamente si pone delle domande, anche su Dio, che
si presenta a noi nella sua Parola, nei pensieri, nelle attese, nei fatti,
nei segni. A noi il Signore chiede ancora di vedere e di udire. Il nostro
esame di coscienza ci riporta a capire che, nel nostro tempo, ci siamo
abituati a leggere la Parola di Gesù, ma poco a comprenderla; e non ci
misuriamo insieme. Non ci sembra che la proposta cristiana, per noi, sia
troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo tranquilla, troppo
scontata? Allora, probabilmente, non è quella vera. I tempi e lo stile del
Regno sono enormemente nuovi e diversi: aprono ad un mondo assolutamente
inaspettato. Dovrebbero disorientare tutti nel tempo, anche noi, come allora.
Quali sono i grandi problemi che ci fanno pensare, discutere, cambiare? La
guerra, la giustizia, il lavoro, per tutti o non piuttosto il prestigio, il
posto, il reddito alto, lo sfuggire alla solidarietà, l'interesse di parte,
il moderatismo per sistemare i propri problemi, la gelosia, l'apparire? Non
ci sembra di essere troppo vaccinati dallo scandalo di Gesù?
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