IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
25 SETTEMBRE 2016
Giovanni 6, 51-59
Riferimentri : Lettura del libro dei Proverbi 9, 1-06 - SALMO 33 - Prima lettera ai Corinzi 10, 14-21
Gustate e vedete com’è buono il Signore. Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.

Lettura del libro dei Proverbi 9, 1-6
La sapienza si è costruita la sua casa, / ha intagliato le sue sette colonne. / Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino / e ha imbandito la sua tavola. / Ha mandato le sue ancelle a proclamare / sui punti più alti della città: / «Chi è inesperto venga qui!». / A chi è privo di senno ella dice: / «Venite, mangiate il mio pane, / bevete il vino che io ho preparato. / Abbandonate l’inesperienza e vivrete, / andate diritti per la via dell’intelligenza».

La prima lettura è tratta dai Proverbi, un libro in cui viene descritta la Sapienza. La Sapienza è come l'albero della vita, si presenta come una signora, offrendo l'immagine dell'innamoramento: è dono di Dio, da ricercare in continuazione senza raggiungerla mai in pieno. La Sapienza rivolge all'intera umanità l'invito a un banchetto. Il pranzo è simbolo di comunione e di intimità. C'è poi una parte successiva, che non leggiamo oggi, dominata dalla "follia", la personificazione della malvagità che con l'attrattiva del proibito è sempre suggestiva. "Sapienza" è in ebraico al plurale. La sua attività si manifesta così: Ha intagliato le sette colonne", dimostrando di costruirsi un edificio elegante per la presenza delle colonne; il numero sette richiama l'idea di un palazzo finito. La Sapienza ha una dimora fissa e signorile. All'intorno la presenza di cibo e bevande denota la ricchezza. La preparazione di un ambiente idoneo servirà ad accogliere gli invitati, allestendo tutto il necessario per rendere plausibile tale invito. La seconda parte del brano vede la Sapienza che dispone i suoi servi in punti strategici, dove si collocano i banditori: ella si preoccupa di far giungere l'invito anche lontano. "I più alti punti della città" indicano che il messaggio giunge anche nei luoghi più remoti. E' arrivato anche a noi! L'invito viene rivolto a tutti, anche a coloro che sembrerebbero meno idonei; si parla di "ingenuo" e di "inesperto" per indicare una persona disponibile, ben lontana dall'arroganza di chi si illude di sapere tutto. Meta di tale istruzione, che interessa tutta l'esistenza, è la vita, intesa come pienezza di realizzazione che si raggiunge al termine del cammino, di cui la Sapienza lascia intendere di essere esperta conoscitrice "via dell'intelligenza". Tutto è costruito su questi tre punti: "Sapienza - vita - cammino": il banchetto a cui la Sapienza invita è un mezzo per attingere forza per riprendere il cammino e arrivare alla vita. Quindi tutti se lo vogliono, possono essere beneficati da lei. Per rispondere alla domanda iniziale, non è un peso morale, essere corretti e onesti, equivale a rispondere all'esigenza della Sapienza, alla felicità, ma non ce la facciamo da soli, occorre partecipare al banchetto e assumerne le energie.

Prima lettera ai Corinzi 10, 14-21
Miei cari, state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni.

Nella sua prima lettera ai Corinzi, Paolo unisce insieme verità di fede e suggerimenti pastorali. E' un attento osservatore dei fatti della vita quotidiana e suggerisce che i credenti si convertano alla vita e alla Parola di Gesù. La fede, infatti, comporta uno stile di vita coerente con le sue scelte ed obbliga ad una revisione non solo i pagani, che si sono convertiti, ma lo stesso popolo d'Israele, legato alla legge di Mosè. Un problema pastorale, per noi curioso, è già stato iniziato al cap.8: ci si interroga sul proprio comportamento in rapporto con la carne comprata al mercato o la carne utilizzata da parenti che non sono cristiani e che hanno invitato a mangiare a casa loro amici e parenti cristiani. Il problema si pone perché tutta la carne, anche quella in vendita sul mercato, proviene da sacrifici offerti agli idoli. Paolo sviluppa alcune riflessioni teologiche. In fondo gli dei pagani non esistono e quindi il mangiare carne offerta agli idoli è inoffensivo. Ma d'altro lato l'adesione a pratiche idolatre suppongono la fede non tanto in Dio ma ad un antagonista di Dio che perciò è un demonio. In conclusione, se i cristiani non debbono partecipare al culto degli idoli, tuttavia non sono obbligati ad indagare su eventuali operazioni cultuali precedenti, qualora siano stati invitati ad un banchetto. Se non sanno la provenienza della carne, non si preoccupino. Se invece ne sono consapevoli, allora se ne astengano, soprattutto se la segnalazione viene da un fratello o una sorella nella fede, per non offendere la debolezza della fede di qualcuno che potrebbe scandalizzarsi (10,23-32).
Ma, riprendendo la problematica del capitolo 8, Paolo si preoccupa che non si ritorni alla idolatria. Partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire una vicinanza con la divinità che l'idolo rappresenta: attraverso il cibo noi costituiamo un incontro, una presenza del divino nel fedele. Viene ricordata l'Eucarestia con una formulazione già arcaica, che fa riferimento alle iniziali descrizioni sintesi, esistenti nella prima Comunità cristiana: sottolineano i tratti comunitari e la partecipazione: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane" (10,16-17). E' la sintesi dell'ultima Cena, maturata come adesione piena e totale con Gesù per cui diventiamo, con Lui, un solo corpo. E noi, insieme, siamo la Chiesa, presenza di Gesù nel mondo. In tal modo noi ritroviamo, a livello altissimo, un legame tra credenti e l'unità al Padre attraverso Gesù. Dall'idolatria come culto bisogna stare attenti poiché la si può vivere anche oggi come stile di vita e come metodo di scelte, quando la Parola di Gesù viene dimenticata nelle nostre scelte economiche, di convivenza, di rapporti sociali fino alle lacerazioni ideologiche che portano alla dissoluzione di condivisioni, alla violenza, alla distruzione della persona e dei popoli. E si vive come se Dio non esista.



Giovanni 6, 51-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». / Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Oggi è Gesù che ci parla dell'Eucaristia. Dell'Eucaristia come pane di vita per stare alle Sue parole: "io sono il pane vivo disceso dal cielo". Sono espressioni che per un verso potremmo ritenere di capire, avendo fatto un po' di catechismo. La Parola di questa domenica è un chiaro invito a superare la superficialità e il fraintendimento nei confronti dell'Eucaristia che stiamo celebrando. Nel libro dei Proverbi si dice che "la sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola". La sapienza divina si costruisce una casa nella quale siamo invitati a bere "il suo vino", sedendo alla "sua tavola". Concludendo con un invito insistente: "abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza". Questo invito a guardare con intelligenza al banchetto che Dio stesso ci ha preparato ci obbliga oggi a guardare con più intelligenza alla realtà eucaristica alla quale stiamo partecipando. Apparteniamo a un'epoca che ci impegna a riappropriarci delle realtà che dicono la nostra fede. E tra queste certamente c'è l'Eucaristia: il gesto più grande che Gesù stesso ci ha chiesto di ripetere in Sua memoria: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). Quel gesto che più immediatamente chiamiamo comunione, fare la comunione. Un gesto che oggi molti ripetono con frequenza. Talvolta anche in modo scontato e superficiale. Non ci si deve stupire, pertanto, se riandando al finale del capitolo VI di Giovanni dal quale è tratto anche il brano di oggi, dovessimo provare anche noi un certo disagio, uno sconcerto, davanti all'invito di Gesù, fatto ai Giudei e ai Suoi che Lo stavano ad ascoltare, a mangiare la Sua carne e a bere il Suo sangue. Così che alcuni cominciarono ad andarsene dicendo "questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (6,62). Anche Paolo, nell'Epistola registra un disagio nei confronti dell'Eucaristia. Il pericolo dell'idolatria. Il rischio di un travisamento di questo gesto che Gesù ha totalmente rimesso nelle nostre mani: "state lontani dall'idolatria. Parlo come a persone intelligenti". Paolo sta invitando i cristiani di Corinto ad un atto di maggiore consapevolezza, a una presa di coscienza, come diremmo noi: "giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?".