 Domenica che precede il martirio di san Giovanni il Precursore
28 AGOSTO 2019
Matteo 18, 1-10
rIFERIMENTI : 2Mac 6, 1-2. 18-28 - SALMO 140 - 2 Corinzi 4, 17 -
5, 10. |
Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; porgi
l’orecchio alla mia voce quando t’invoco. La mia preghiera stia
davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio
della sera. Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia
la porta delle mie labbra. |
2Mac 6, 1-2. 18-28 In quei
giorni. Il re inviò un vecchio ateniese per
costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi
dei padri e a non governarsi più secondo le
leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio
di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio
e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si
confaceva agli abitanti del luogo. Un tale
Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già
avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto
della persona, veniva costretto ad aprire la
bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli,
preferendo una morte gloriosa a una vita
ignominiosa, s’incamminò volontariamente al
supplizio, sputando il boccone e comportandosi
come conviene a coloro che sono pronti ad
allontanarsi da quanto non è lecito gustare per
attaccamento alla vita. Quelli che erano
incaricati dell’illecito banchetto sacrificale,
in nome della familiarità di antica data che
avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte
e lo pregarono di prendere la carne di cui era
lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e
fingere di mangiare le carni sacrificate imposte
dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe
sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in
nome dell’antica amicizia che aveva con loro. Ma
egli, facendo un nobile ragionamento, degno
della sua età e del prestigio della vecchiaia,
della raggiunta veneranda canizie e della
condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo,
ma specialmente delle sante leggi stabilite da
Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero
pure alla morte. «Poiché – egli diceva – non è
affatto degno della nostra età fingere, con il
pericolo che molti giovani, pensando che a
novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze
straniere, a loro volta, per colpa della mia
finzione, per appena un po’ più di vita si
perdano per causa mia e io procuri così disonore
e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se
ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non
potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle
mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora
da forte questa vita, mi mostrerò degno della
mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio,
perché sappiano affrontare la morte prontamente
e nobilmente per le sante e venerande leggi».
Dette queste parole, si avviò prontamente al
supplizio. 2 Maccabei 6, 1-2.
18-28 Il secondo libro dei Maccabei riferisce
avvenimenti che si sono svolti tra il 175 e il
160 a.C., al tempo della grande persecuzione. E'
un testo di grande sentimento religioso e di
grande fede. È un libro di storia ma anche di
esaltazione coraggiosa dove la fede incoraggia,
nonostante la fatica e la sofferenza, ma
garantisce il risultato di speranza e novità.
Qui siamo all'inizio della resistenza ebraica
mentre il primo libro dei Maccabei ci presenta
gli avvenimenti della ribellione in un quadro
generale. Le misure antireligiose sono
organizzate da uno specialista ateniese,
probabilmente per la competenza nell'organizzare
la vita secondo la struttura la cultura greca,
sia a Gerusalemme che in Samaria. Il tempio di
Gerusalemme e di Samaria sono dedicati a Giove e
sono profanati "con dissolutezze e gozzoviglie"
(v 4). L'inasprimento delle misure antigiudaiche
si collocano nel novembre-dicembre del 167 a.C.
e si procede all'abolizione delle istituzioni
ebraiche. Ci troviamo di fronte al martirio di
Eleazaro, come ad un esempio di coerenza e
responsabilità nella fede che vuole escludere
ogni ambiguità ed ogni ipocrisia. E' un testo
bellissimo che esemplifica come va vissuta la
fedeltà della propria fede. Eleazaro sente la
responsabilità della testimonianza e il valore
della propria fede. Il suo comportamento non è
tanto dettato dai castighi di Dio che pure può
seriamente temere, ma dalla preoccupazione di
mostrare il valore della fede per le giovani
generazioni. Eleazaro sa che nella vita la fede
religiosa è un valore che ci sorregge, una luce
che illumina il nostro cammino, è fiducia di
valori e di bene, è fedeltà che va tramandata
poiché in tal modo sappiamo di sostenere un
popolo che cammina e che cresce. Ci si trova
davanti ad un banchetto sacrificale e non si
discute sulla sua liceità ma sulla carne che si
sacrifica e che si deve mangiare: carne impura,
probabilmente maiale, assolutamente vietata
dalla legge ad un ebreo (Lev 11,7ss.). Ad
Eleazaro garantiscono che può giocare di astuzia
nel fingere di mangiare la carne proibita mentre
invece viene sostituita con carne lecita. Le
autorità non si sarebbero accorte e lui avrebbe
avuto salva la vita. Eleazaro rifiuta il
compromesso e rifiuta la falsità. Il Signore
vede ed Eleazaro si sente responsabile dei
giovani che hanno bisogno di coerenza perché il
popolo cresca nella fedeltà e nella dignità.
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2 Corinzi 4, 17 - 5, 10.
Fratelli, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione
ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non
fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle
invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle
invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà
distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda,
riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da
mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione,
noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione
celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti
siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non
vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è
mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio
per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.
Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio
lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo
infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia
e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il
Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio,
ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo
comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno
la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in
bene che in male. 2 Corinzi 4, 17 - 5, 10.
Paolo sente la fatica, sperimenta la sua fragilità di persona
anziana e scopre la limitatezza delle forze fisiche. E tuttavia
è sempre più consapevole del dono splendido che il Signore gli
ha dato accogliendo la fede di Gesù. Egli vive questa
tribolazione, ma con la consapevolezza di una profonda
trasformazione interiore, iniziata dallo Spirito. Ci sono due
immagini che si richiamano e aiutano a chiarirsi: il vestito e
la tenda. Siamo vestiti del nostro mondo ma temiamo il passaggio
in cui saremo spogliati di tutto dalla morte, prima di essere
con il Signore. Siamo in cammino e abitiamo in una tenda in
attesa di una abitazione che Dio ci prepara. Questo passaggio fa
paura. Vorremmo, tuttavia, rivestirci di questo corpo celeste
senza spogliarci, cioè senza l'esperienza dolorosa della morte
(v 4). La nostra speranza ci garantisce, comunque, che Dio ci ha
creati per questa nuova vita, mentre la nostra circostanza
attuale è una condizione di designati, lontani da Dio "(v 6). In
qualunque frangente possiamo trovarci, tuttavia, abbiamo
fiducia: sappiamo di continuare ad operare secondo la volontà di
Dio per essere a lui graditi. E sogniamo "la dimora non
costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli" (v 5,1). Sappiamo
che il passaggio è attraverso la morte e attraverso il giudizio
del tribunale di Cristo. Ci alimenta la fiducia di quella
vocazione che il Signore ci ha dato ed abbiamo davanti agli
occhi "le cose invisibili che sono eterne". "Perciò ci
sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di
essere a lui graditi". E' la confessione di fede che vale per
ogni giorno nella vita.
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Mt 18, 1-10 In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al
Signore Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora
chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi
dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete
nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino,
costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino
come questo nel mio nome, accoglie me. Chi invece scandalizzerà uno solo di
questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo
una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per
gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa
del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di
scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita
monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco
eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da
te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due
occhi essere gettato nella Geènna del fuoco. Guardate di non disprezzare uno
solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono
sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli». Matteo 18,
1-10 Ci troviamo all'inizio del IV discorso di Gesù riportato da Matteo e
rivolto alla Comunità che si raccoglie attorno al maestro e chiede gli
elementi di valore e di coesione per poter vivere, insieme, nel tempo il
messaggio ricevuto. Se l'elemento fondamentale del messaggio di Gesù è la
venuta del Regno, qui Gesù pone le premesse e le scelte fondamentali per
reggere il compito della missione. La Comunità cristiana ha come elemento
fondamentale di esistenza le stesse scelte di Gesù perché diventa un segno
concreto di motivazioni, di decisioni, di preferenze. «Chi dunque è più
grande nel regno dei cieli?». L'inizio sembra irriguardoso e supponente, ma
svela una normale logica di gerarchia. "Visto che te ne vai" e Gesù lo sta
ripetendo spesso, " chi è che ti sostituisce?" La domanda svela
preoccupazioni corrette e coerenti sullo sviluppo della propria
sopravvivenza. A dire il vero si parla del " più grande nel Regno di Dio" ma
la risposta può orientare i 12 verso una valutazione successiva. Ma la
risposta non regala sicurezza e disorienta: "Il più grande è il bambino". E
non è grande perché si è conquistato simpatia, o ha aiutato qualcuno, od ha
incoraggiato a scegliere. Entra nel Regno e sarà grande perché è sprovveduto,
è fragile, non ha pretese, ha fiducia, è piccolo e senza potenza o garanzie,
non ha raccomandazioni o persone influenti alle spalle. Perciò la risposta è:
"O diventi piccolo o accogli chi è piccolo e indifeso". - Ma poiché è fragile
e piccolo, l'orizzonte del piccolo si allarga dal bambino alle persone
disarmate, agli ignoranti, ai semplici, alle persone fragili che non sanno
difendersi, che non sanno capire le reali intenzioni dell'altro, che sono
sprovveduti e non furbi. - Guai a chi ne approfitta, mette inciampi davanti
ai piedi e li inganna, li rovina, li stravolge, li perde nel cuore. Essi non
sono soli ma i loro angeli vedono il volto di Dio e Dio stesso si fa
protettore e difensore. Si capiscono allora le parole severe per chi pone
inciampi ai piccoli: è un terribile tradimento che addirittura potrebbe
essere meno dannosa di una morte violenta in fondo al mare per una enorme
pietra da mulino legata al collo. Perciò va fatto qualunque sacrificio pur di
risparmiare un solo scandalo ai bambini.Le parole di Gesù sono severissime,
addirittura inumane eppure sono pronunciate da Gesù che dà la vita per ogni
uomo ed ogni donna della terra. Chiaramente Gesù mette sulle spalle alla
Comunità cristiana il fardello dei poveri e tra questi, in particolare, i
problema dei piccoli che vanno protetti, educati, custoditi. Si pone il
problema educativo delle nuove generazioni.
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