VI DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
17 febbraio 2019
Luca 17, 11-19
Riferimenti : Isaia 56, 1-8 - Salmo 66 - Romani 7, 14-25a
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti. Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra.


In quei giorni. Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, / perché la mia salvezza sta per venire, / la mia giustizia sta per rivelarsi». / Beato l’uomo che così agisce / e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, / che osserva il sabato senza profanarlo, / che preserva la sua mano da ogni male. / Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: / «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». / Non dica l’eunuco: / «Ecco, io sono un albero secco!». / Poiché così dice il Signore: / «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, / preferiscono quello che a me piace / e restano fermi nella mia alleanza, / io concederò nella mia casa / e dentro le mie mura un monumento e un nome / più prezioso che figli e figlie; / darò loro un nome eterno / che non sarà mai cancellato. / Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo / e per amare il nome del Signore, / e per essere suoi servi, / quanti si guardano dal profanare il sabato / e restano fermi nella mia alleanza, / li condurrò sul mio monte santo / e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. / I loro olocausti e i loro sacrifici / saranno graditi sul mio altare, / perché la mia casa si chiamerà / casa di preghiera per tutti i popoli». / Oracolo del Signore Dio, / che raduna i dispersi d’Israele: / «Io ne radunerò ancora altri, / oltre quelli già radunati».


Con questo passo entriamo nel mondo del terzo Isaia, la cui preoccupazione forte è come aiutare la comunità che torna nel paese a ricostruirsi su principi di giustizia.nIl terzo Isaia ha molto presente la visione di speranza del profeta che lo precede. Già nell’inizio di nquesto capitolo vediamo la sua insistenza sui temi della giustizia e del diritto. Ma il secondo versetto propone quella che è la visione che anima tutta la sua opera profetica: l’inclusività e il senso di appartenenza. Questi versetti costituiscono la prima metà di una cornice letteraria che racchiude il libro profetico, l’altra metà è situata in 66:18-23 (sappiamo che il v. 24 andrebbe collocato altrove, e forse è di altra mano, così duro com’è). L’intera cornice parla di un Dio che si propone di “raccogliere tutte le nazioni” e persino di scegliere i suoi sacerdoti tra coloro che vengono da più lontano. Dunque se l’inizio è una sorta di invito a non sentirsi esclusi per nessun motivo legato alla propria identità, la conclusione mostra un Dio che opera un rimescolamento della comunità di fede attraverso l’immissione di persone esterne che ne diventano addirittura le guide. Perché ci interessa questo testo nel percorso di riflessione sull’omosessualità? In primo luogo perché si tratta di una visione molto ampia di accoglienza e inclusività: la comunità di fede che risponde all’invito di Dio è composta da persone di ogni provenienza, e nessuna di esse viene demonizzata. In secondo luogo perché l’eunuco rappresenta una condizione accostabile a
quella omosessuale, se non altro per essere una persona che non può avere una discendenza, ed è confinato in una condizione di impurità ed esclusione

Romani 7, 14-25a
Fratelli, sappiamo che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!


Da ragazzina il mio parroco mi aveva consegnato questo capitolo 7 della lettera ai Romani come parola da meditare dopo la confessione. Da allora il dramma che Paolo qui descrive, mi accompagna e mi interroga: il dissidio interiore per cui compio ciò che non voglio è solo del cosiddetto uomo vecchio, che la grazia di Cristo ha cancellato? L'uomo nuovo non vive più questa ambiguità? Il nostro non è più un corpo votato alla morte, è un corpo redento che si offre a Dio come culto, come offerta gradita! E allora... perché è ancora così vivace in noi la situazione del non fare quello che intuiamo giusto, buono? Paolo non dà immediatamente soluzioni e risposte; descrive minuziosamente questo dissidio interiore e esteriore e lo lascia a noi. Una rappresentazione emblematica del già e non ancora, di una salvezza arrivata definitivamente, ma non ancora compiuta nella vita personale di ciascuno. Quel non ancora determinato dalla libertà della persona di scegliere o non scegliere l'amore di Dio. Spazio per la ricerca, per intuire la promessa e desiderarla, per dire sì ad un dono senza superficialità. Luogo interiore dove la persona e lo Spirito si incontrano per fare spazio all'amore di Dio. Questa lancinante situazione dell'umanità apre il capitolo della vita nello Spirito e ci introduce pienamente nella vita teologale.  Tutta la riflessione si conclude con un'invocazione di lode a Dio. Come nei salmi, che dopo aver narrato e dato spazio al lamento o alla supplica a volte anche un po' arrabbiata del salmista, si concludono con una lode piena, diretta a Dio! Signore, fa' che lo Spirito in me oggi lodi e renda grazie a te, per mezzo di Gesù Cristo!


Luca 17, 11-19
In quel tempo. Lungo il cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Dieci lebbrosi fermi a distanza; solo occhi e voce; mani neppu­re più capaci di accarezzare un figlio: Gesù, abbi pietà . E appena li vede (subito, sen­za aspettare un secondo di più, perché prova dolore per il dolore del mondo) dice: An­date dai sacerdoti. È finita la distanza. Andate. Siete già guariti, an­che se ancora non lo vedete. Il futuro entra in noi molto prima che accada, entra con il primo passo, come un se­me, come una profezia, entra in chi si alza e cammina per un anticipo di fiducia con­cesso a Dio e al proprio do­mani. Solo per questo antici­po di fiducia dato a ogni uo­mo, perfino al nemico, la no­stra terra avrà un futuro. Si mettono in cammino, e la speranza è più forte dell'evi­denza. Ma chi vuol stare con l'evidenza si rassegni ad es­sere solo il custode del pas­sato. Si mettono in cammino e la strada è già guarigione. E mentre andavano furono guariti. Il cuore di questo racconto ri­siede però nell'ultima paro­la: la tua fede ti ha salvato. Il Vangelo è pieno di guariti, un lungo corteo gioioso che ac­compagna l'annuncio. Ep­pure quanti di questi guariti sono anche salvati? Nove dei lebbrosi guariti non tornano: si smarriscono nel turbine della loro felicità, dentro la salute, la famiglia, gli abbracci ritrovati. E Dio prova gioia per la loro gioia come all'inizio aveva prova­to dolore per il loro dolore. Non tornano anche perché ubbidiscono all'ordine di Ge­sù: andate dai sacerdoti. Ma Gesù voleva essere disubbi­dito, alle volte l'ubbidienza formale è un tradimento più profondo. «Talvolta bisogna andare contro la legge, per es­serle fedeli in profondità» (Bonhoffer). Come fa Gesù con la legge del sabato. Uno solo torna, e passa da guarito a salvato. Ha intuito che il segreto non sta nella guarigione, ma nel Guarito­re. È il Donatore che vuole raggiungere non i suoi doni, e poter sfiorare il suo oceano di pace e di fuoco, di vita che non viene meno. Nel lebbroso che torna im­portante non è l'atto di rin­graziare, quasi che Dio fosse in cerca del nostro grazie, bi­sognoso di contraccambio; è salvo non perché paga il pe­daggio della gratitudine, ma perché entra in comunione: con il proprio corpo, con i suoi, con il cielo, con Cristo: gli abbraccia i piedi e canta alla vita. I nove guariti trova­no la salute; l'unico salvato trova la salute e un Dio che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, che dona pelle di pri­mavera ai lebbrosi, un Dio la cui gloria non sono i riti ma l'uomo vivente. Ritornare uo­mini, ritornare a Dio: sono queste le due tavole della leg­ge ultima, i due movimenti essenziali d'ogni salvezza.