
II DOMENICA DOPO PENTECOSTE
23 giugno 2019
Matteo 6, 25-33
Riferimenti : Siracide 18,1-2.4-9a.10-13 - Salmo 135 -
Romani 8, 18-25 |
Rendete grazie al Dio degli dèi, perché il suo
amore è per sempre. Rendete grazie al Signore dei signori,
perché il suo amore è per sempre. Lui solo ha compiuto grandi
meraviglie, perché il suo amore è per sempre. |
Siracide 18,1-2.4-9a.10-13
Colui che vive in eterno ha creato
l’intero universo. / Il Signore soltanto è
riconosciuto giusto. / A nessuno è possibile
svelare le sue opere / e chi può esplorare le
sue grandezze? / La potenza della sua maestà chi
potrà misurarla? / Chi riuscirà a narrare le sue
misericordie? / Non c’è nulla da togliere e
nulla da aggiungere, / non è possibile scoprire
le meraviglie del Signore. / Quando l’uomo ha
finito, allora comincia, / quando si ferma,
allora rimane perplesso. / Che cos’è l’uomo? A
che cosa può servire? / Qual è il suo bene e
qual è il suo male? / Quanto al numero dei
giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. /
Come una goccia d’acqua nel mare e un granello
di sabbia, / così questi pochi anni in un giorno
dell’eternità. / Per questo il Signore è
paziente verso di loro / ed effonde su di loro
la sua misericordia. / Vede e sa che la loro
sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. /
La misericordia dell’uomo riguarda il suo
prossimo, / la misericordia del Signore ogni
essere vivente. Siracide 18,
1-2. 4-9a. 10-13 Abbiamo letto un bellissimo
inno, che celebra la sapienza e la grandezza di
Dio, e viene dopo l'invito alla conversione:
"Ritorna al Signore e abbandona il peccato,
prega davanti a lui e riduci gli ostacoli.
Volgiti all'Altissimo e allontanati
dall'ingiustizia" (17,25-26). Il Signore è
misericordioso e la grandezza di Dio si mette a
confronto con la fragilità degli esseri umani. E
poiché Dio è grande, egli è ancor più
compassionevole e generoso. In questa attenzione
ad una umanità povera e tuttavia chiamata a
conoscere il vero Signore, si svolge il richiamo
della creazione. Ci troviamo così, tutti noi,
davanti alla sua misericordia, capace di
intrecciare l'universo e la nostra povera
generosità che, a malapena, riesce a perdonare
solo chi gli è più vicino. Si risente l'influsso
della cultura greca che l'autore conosce, ma
ancor più della cultura ebraica che valorizza e
ama, rivelatrice di rapporti impensabili tra i
popoli pagani. L'autore del libro: "Gesù, figlio
di Sira", e quindi Siracide, è stato detto anche
Ecclesiastico (dal "libro da leggere
nell'assemblea") ha, probabilmente, scritto
questo libro nei primi decenni del II sec. a.C.,
destinandolo agli Ebrei che sperimentano, nella
loro terra, la dominazione della cultura greca
dei Tolomei prima e dei Seleucidi dopo. Composto
originariamente in lingua ebraica, il Siracide
si è conservato completo soltanto nella versione
greca. E quindi, proprio per la sua diffusione
in lingua greca, non lo si è riconosciuto nella
Bibbia ebraica. Perciò è detto
"deuterocanonico", presente solo nell'elenco dei
libri, riconosciuti ispirati, dei cattolici. Non
è presente nell'elenco ebraico, né nell'elenco
delle confessioni cristiane protestanti. C'è la
meraviglia di una presenza di popolo che il
Signore ha scelto e che sa intravedere le opere
di Dio che, però, non si possono né misurare né
raccontare. E tuttavia, da questa penetrazione
sapiente nasce l'interrogativo fondamentale
della nostra intelligenza: chi siamo noi, a che
cosa serve la nostra vita, quali sono i
significati e la differenza tra bene e male? (v
7).
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Romani 8, 18-25 Fratelli, ritengo
che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla
gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa
della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei
figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla
caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha
sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà
liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella
libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che
tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto
fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie
dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a
figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti
siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è
più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come
potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo
attendiamo con perseveranza. Romani 8, 18-25
Il cap.18 contrappone la legge dello Spirito e la legge del
peccato e della carne. Coloro che sono in Cristo, sono uniti a
Lui che ha offerto la sua vita e che quindi, con la sua morte,
ha distrutto il nostro peccato e la nostra debolezza. Lo Spirito
di Gesù ha strutturato in noi una rettitudine morale di fronte a
Dio e ci ha offerto la vita di figli di Dio, costituendoci in
una rettitudine morale la cui pienezza si raggiungerà con la
risurrezione dei corpi. Così " Voi - dice Paolo rivolgendosi ai
cristiani di Roma - non avete ricevuto uno Spirito da schiavi
per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende
figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo
Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo
figli di Dio" (vv. 15-16). La fatica del vivere ed operare con
fiducia nella linea che Gesù ci offre, ci sarà ricompensata in
pienezza, anzi in sovrabbondanza. Non è paragonabile alla gloria
futura. Nel maturare questa attesa e questa presenza carica di
speranza e di novità su cui Cristo ci garantisce con la sua
vita, sentiamo che dalla nostra fedeltà dipende anche
l'aspettativa del creato. Si parla di uno strano destino e di
una misteriosa comunione tra noi e il creato attorno a noi. Per
il male che portiamo nel cuore anche il creato è stato travolto
e, come noi, aspettiamo la liberazione. Anche la realtà creata
attende una sua liberazione che la riporti allo splendore della
creazione, come è uscita dalle mani di Dio. Il male, l'orgoglio,
l'egoismo, la rapina, la furia omicida e distruttiva hanno
condannato questa nostra terra a subirne le conseguenze e le
lacerazioni si percepiscono via via: viene minacciata la
fertilità della terra, la purezza dell'acqua, la sanità
dell'aria. Si minacciano le colture, si inaridiscono le
sorgenti, si avvelenano i mari, si desertificano le pianure e le
foreste. Si moltiplicano i terremoti, le inondazioni, gli
incendi boschivi, le stragi di animali. Si allontana sempre più
quell'esclamazione che si ritrova alla fine della creazione dei
sette giorni. "E Dio vide che era molto buono" (Gen1,31).
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Matteo
6, 25-33 In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io
vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o
berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale
forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del
cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre
vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per
quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il
vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo:
non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta
la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del
campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per
voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa
mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose
vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete
bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e
tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Matteo
6,25-33 Il brano, scelto oggi dalla liturgia, va letto iniziando dal
versetto precedente: "Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno
e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non
potete servire Dio e la ricchezza" (6,24). Gesù infatti pone, prima di tutto,
un riferimento sconcertante e drammatico. Ne va di mezzo il senso della vita
poiché essa non si misura su l'avere o non avere un Dio come scelta e quindi
tra religiosità o ateismo, ma si misura sulla scelta comunque di un Dio, la
scelta tra il Dio d'Israele o l'idolatria di un altro Dio che è la
ricchezza.. L'uomo non può vivere senza riferimenti o dipendenza: il verbo
"servire" va tradotto con Gesù con i verbi: "amare, odiare, preferire,
disprezzare". Bisogna scegliere chi servire (e nel significato religioso
significa ubbidire, decidere totalmente, mettersi a disposizione). Se il
testo traduce il pensiero di Gesù in "non preoccupatevi", in realtà il
significato è molto più pesante, Si dovrebbe dire "non affannatevi: (il verbo
greco, nel brano, è ripetuto 6 volte e, a dire il vero, significa
letteralmente "non andate in pezzi"), preceduto, come abbiamo visto, dalla
riflessione sulla scelta tra Dio e la ricchezza. Nella lingua di Gesù il
danaro viene chiamato "Mammona". E indica, fondamentalmente, ciò che si
possiede, i beni. La cosa curiosa è la radice di questa parola, in ebraico,
"aman" (come il nostro Amen); vuol dire "stare saldo, cercare appoggio".
Perciò mi affido, mi appoggio, trovo garanzia nel possedere. Ma Gesù dice:
"Facilmente ciò che possiedi si trasforma e passa, da mezzo che dà fiducia e
sostegno, a potenza, unica realtà importante, un Dio a cui tutto rivolgi e a
cui dedichi la tua vita". Se il nostro Dio è il Padre di Gesù, allora tutti
gli uomini e tutte le donne non mi sono estranee, ma mi sono fratelli e
sorelle con cui condividere cammini, competenze, vita, possibilità e
scoperte. Se il Dio da cui dipendo è la ricchezza e quindi i beni che
possiedo e che accumulo nel mio affannarmi, allora gli altri diventano o
servi da sfruttare perché mi garantiscano o ladri che mi derubano e che
rifiuto e maledico. |