
IV DOMENICA DI PASQUA
12 maggio 2019
Giovanni 15, 9-17
Riferimenti : Atti degli Apostoli 21, 8b-14 - Salmo 15 -
Filippesi 1, 8-14 |
Il Signore è mia parte di eredità e mio
calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta
su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda. Benedico il
Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi
istruisce. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia
destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio
cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al
sicuro. |
Atti degli Apostoli 21, 8b-14 In
quei giorni. Entrati nella casa di Filippo
l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo
presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili,
che avevano il dono della profezia. Eravamo qui
da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un
profeta di nome Àgabo. Egli venne da noi e,
presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le
mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo:
l’uomo al quale appartiene questa cintura, i
Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo
consegneranno nelle mani dei pagani». All’udire
queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo
Paolo di non salire a Gerusalemme. Allora Paolo
rispose: «Perché fate così, continuando a
piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto
non soltanto a essere legato, ma anche a morire
a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». E
poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di
insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del
Signore!». Atti degli Apostoli
21,8b-14 Paolo sta ritornando dal suo viaggio
di missione e rivisita le comunità che aveva
fondato o che riconosceva cristiane perché
evangelizzate da altri (es. quelle della Fenicia
e la stessa Tiro fondate dagli ellenisti: At
11,19). Proprio a Tiro, dove si ferma con i
discepoli sette giorni, Paolo si sente dire dai
cristiani del posto, "nello Spirito", di non
salire a Gerusalemme. Paolo si ferma nella
casa di Filippo, uno dei sette eletti nella
prima Comunità cristiana per il sevizio alle
mense, insieme con Stefano. Filippo ha "quattro
figlie nubili, con il dono della profezia".
Questa notizia fa intravedere un grande lavorio
di evangelizzazione della comunità, da poco
costituita, ricca di doni dello Spirito di Dio,
capace di illuminare e aperta alla
partecipazione. Probabilmente hanno un grande
ruolo nel costituire richiami, documentazione e
approfondimento del pensiero di Gesù. Si parla
anche di Àgabo un profeta, che imita i gesti
simbolici dei profeti antichi per predire il
futuro con segni particolari. Egli ripete la
profezia sull'arresto di Paolo a Gerusalemme,
utilizzando la cintura di Paolo come un legame
di carcere. Paolo dimostra una consapevolezza
determinata a non lasciarsi sviare dal suo
cammino che ha per meta Gerusalemme: "Sono
pronto ad essere legato e a morire a Gerusalemme
per il nome del Signore Gesù". Queste parole ci
ricordano la stessa determinazione di Gesù che
cammina verso Gerusalemme e il Padre. Paolo vive
la sua vita e la sua vocazione di apostolo. Egli
sente di evangelizzare sia con le parole,
raccontando, e sia con la vita affrontando i
disagi della persecuzione, come fece Gesù, per
aiutare la fede dei fratelli e sorelle. Ritorna
così un richiamo quotidiano: "Fare la volontà di
Dio", quasi ossessivo e Gesù lo ripeteva spesso
poiché i discepoli non sapevano rendersi conto
di molti perché e di molte scelte che Gesù
faceva. Qui, nel linguaggio di Paolo, c'è una
differenza. Gesù parla della volontà del Padre,
Paolo parla della volontà del Signore Gesù.
|
Filippesi 1, 8-14 Fratelli, Dio
mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi
nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità
cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché
possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e
irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto
di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e
lode di Dio. Desidero che sappiate, fratelli, come le mie
vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo,
al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa
che io sono prigioniero per Cristo. In tal modo la maggior parte
dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor
più ardiscono annunciare senza timore la Parola.
Filippesi 1,8-14 Ci troviamo di fronte ad una particolare
testimonianza, riportata in questa lettera scritta,
probabilmente, nel periodo 61-63 d.C. durante la prigionia di
Paolo a Roma. Egli, per circostanze particolari, ha visitato a
suo tempo Filippi che è stata la prima città europea, da lui
evangelizzata, probabilmente, attorno agli anni 50, durante il
suo secondo viaggio missionario. L'affetto di Paolo si
manifesta, prima di tutto, nel ricordo e nella preghiera.
L'atteggiamento dell'apostolo è di riconoscenza e di
ringraziamento. Ciò che chiede al Signore, e lo manifesta nella
lettera, è la maturazione della carità che già i Filippesi
vivono, ma che hanno, comunque, bisogno, sempre, di crescere in
conoscenza e pieno discernimento. Egli stesso manifesta il suo
amore per la comunità che conosce e sa di essere ricambiato. E
se parla come un grande maestro, si sente anche amico e
fratello, incoraggiando la comunità nella linea della saggezza.
Nella serie di raccomandazioni vengono inseriti anche elementi
della filosofia greca che sa proporre la figura del saggio.
Paolo suggerisce l'importanza della conoscenza, l'atteggiamento
di attenzione all'altro con sentimenti di discrezione,
l'apprezzare le cose migliori. Nella riflessione sulla saggezza,
la filosofia greca incoraggia ad una presa di responsabilità
sulla realtà per cogliere ciò che è opportuno fare o non fare,
il giudaismo fa riferimento alla Legge per conoscere la volontà
di Dio per una scelta preferenziale, i cristiani sviluppano il
progetto di essere trovati "puri e senza macchia". Paolo sta
formulando una preghiera che conclude: " I cristiani siano
ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di
Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio". Paolo, verificando il
cammino della fede nel suo contesto, pur se in carcere, si sente
gioioso perché ovunque c'è consapevolezza, "in tutto il palazzo
del pretorio e dovunque", che la sua detenzione non abbia il
marchio della ingiustizia o del male, ma il significato di una
Parola nuova, pronunciata da Gesù, e capace di salvezza. Mentre
è in carcere e quindi ha un raggio di azione molto limitato, sa
che "la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati
dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la
Parola".
|
Giovanni
15, 9-17 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come il Padre
ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i
miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose
perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il
mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri
amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato
amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a
voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che
chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri».
Giovanni 15,9-17 Giovanni,
mentre scrive il suo Vangelo, sa e ce lo comunica, che nell'ultima cena si
svolgono grandi rivelazioni mentre si sente commovente il tempo degli addii.
Cosi quest'oggi leggiamo una parte delle intuizioni più preziose e le
raccomandazioni essenziali che si intrecciano, in quella cena piena di
presagi e di interrogativi, costituendo il tessuto di sentimenti profondi ed
essenziali che sono via via maturati, con Gesù, in quell'ultimo tempo di
cammino comune. Precede questo testo l'immagine di "Gesù, vera vite" che
illustra la necessità di una unione profonda e fondamentale dei discepoli con
Gesù stesso. Vi si ripete continuamente il "rimanere in " per 10 volte
(15,1-8). In tutto il testo, il verbo ricorrente è "amare": in particolare "
come amore fraterno". Esso ha come modello l'amore del Padre per Gesù e
l'amore di Gesù per i discepoli. Il punto di riferimento è l'amore del Padre
che essi non conoscono ma di cui Gesù si fa rivelatore. Essi comprenderanno,
in particolare, lo spessore enorme di questo amore nello svolgimento della
passione di Gesù, nell'accoglienza ed il perdono che il maestro darà loro
anche dopo la risurrezione, nella scelta di elezione che continuerà a
mantenere nonostante la loro fragilità, la loro fuga ed il loro tradimento.
Ma il rapporto di Gesù sarà sempre di tenerezza, come pieno e totale è
l'amore del Padre che ha dato ogni cosa al Figlio (3,35; 5,20; 17,24). La
parola greca che viene qui usata, rara nel linguaggio classico, è "agapao:
amore di comunione, amore gratuito, disinteressato come quello del Padre".
Gesù ha obbedito all'amore del Padre, pienamente. I discepoli sono chiamati
ad obbedire ai comandi di Gesù per restare nel suo amore. A cascata l'amore
del Padre si trasfonde nel Figlio, e quindi dal Figlio ai discepoli perché, a
loro volta, lo comunichino agli altri. Al centro di questa circolazione di
scelte e di amore, Giovanni, al v.11, colloca la gioia: "Vi ho detto queste
cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Nel
linguaggio di Giovanni si riprendono i temi dell'amore reciproco caricandolo
di richiami e di significati. La reciprocità, che resta gratuita, non è
legata al riconoscimento, alla giustizia dell'altro, al merito poiché la
misura è svincolata, ma si collega al "come io vi ho amato" (anche 13,34),
unito all'affermazione: " Amore grande è dare la vita". - Gesù distingue
tra "i vari precetti" ed "il comandamento" (v 12) che chiama "comandamento
nuovo" (13,34): "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi".. -
Questo rapporto nuovo nasce dall'essere stati scelti come amici per ricevere
le confidenze del mondo di Dio. I discepoli si sentono, in tal modo, capaci
di sostenere questa dignità perché Gesù la renderà possibile, garantendo loro
la sua presenza. - I discepoli però debbono attrezzarsi di una preghiera
al Padre che Gesù stesso sosterrà allo scopo di far fruttificare il seme e
renderlo duraturo: "perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome,
ve lo conceda". |